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TESTO 58. Un riflessione sullo sport alla luce della religiosità biblica
(Introduzione, note e commento a cura di Stefano Allegri)
Antonio Bonora propone una riflessione biblica sul filo dell’anacronismo: cosa può infatti dire la Bibbia di un campo dell’azione umana che ai tempi della sua redazione non esisteva, o perlomeno non esisteva nei termini in cui esiste oggi?
Come in molti altri casi, però, dalla Bibbia si distilla un messaggio che permetta di leggere anche situazioni non contemplate da essa: ed ecco che, come in un puzzle, alcune tessere della parola biblica si compongono in una riflessione adeguata anche per lo sport contemporaneo, la cui importanza individuale e sociale non è nemmeno lontanamente commensurabile all’importanza che aveva nei tempi passati.
LO SPORT
La Bibbia non conosce lo sport quale si è imposto nella nostra cultura occidentale, soprattutto nel sec. XX, cioè come istituzione civile e fatto culturale che coinvolge masse enormi. Oggi lo sport un fenomeno storico – civile di notevole rilievo, un fatto di civiltà. La Bibbia invece conosce il “gioco”, soprattutto quello dei bambini. Ismaele gioca con Isacco (Gn 21, 9)296. Per Zaccaria 8,5 il tempo della salvezza vedrà i ragazzi e le ragazze giocare insieme sulle piazze di Gerusalemme297. Is 11,8 sembra alludere a giochi di bambini sulle strade, con predilezione per piccole buche dove si
296 “Sara notò il figlio che Abramo aveva avuto da Agar, l’Egiziana: stava scherzando con suo figlio Isacco”; Gn sta per
Genesi.
297 “Bambini e bambine numerosi giocheranno nelle piazze”: Zaccaria è il profeta ebraico, vissuto nel VI secolo a. C., a
annidano serpentelli298. Secondo Gb 40, 29 le ragazze giocano volentieri con gli uccellini legati ad un filo299 e i ragazzi esercitano il tiro a segno con frecce (cf. Gb 16, 11-13; Lam 3, 12-13)300. Ricaviamo dunque ben poco dall’AT. Non di più si trova nel NT301. Testimonianza della carenza terminologica è il fatto che i dizionari biblici non hanno la voce “gioco” o “sport”. Il biblista sembra dunque condannato a tacere sullo sport. Né basta l’appello alle metafore agonistiche usate da Paolo per giustificare un discorso biblico sullo sport (cf. 1 Cor 9,24: “Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corono, ma uno solo conquista il premio?”). Paolo infatti usa l’immaginario ricorrente nella filosofia popolare ellenistica e nel giudaismo ellenistico (cf. Sap 4,2: “l’aver vinto nella gara di combattimenti senza macchia”302). Il vocabolario “sportivo” della gara, della competizione, della lotta è dunque scarsamente presente sia nei LXX303 sia nel NT.
Occorre andare oltre il vocabolario per poter legittimare un appello biblico sul tema dello sport. Più precisamente si deve riflettere sui presupposti antropologici generali che la Bibbia offre per poter discernere il fenomeno sportivo come fatto umano rilevante. Lo sport è in fatti un fenomeno culturale storicamente determinato e non un’essenza astratta. Di conseguenza, una valutazione biblica dello stesso sport deve rifarsi a parametri generali di giudizio sui fatti umani. Ma questa considerazione potrebbe condurre a fare un discorso generale sull’antropologia e non a trarre conclusioni specifiche sullo sport.
Occorre quindi una certa, almeno euristica “definizione” di sport. Lo sport è definibile come quella forma dell’esercizio corporeo che è caratterizzata in prevalenza dallo “sforzo” per una prestazione o per un confronto di prestazioni.
Distinguiamo perciò lo sport dal semplice gioco: i greci chiamavano “agones” (= competizioni) i giochi sportivi che i romani invece chiamavano “ludi” (= giochi). Riteniamo come caratteristica del gioco sportivo la competizione. In questa prospettiva la riflessione teologica distingue tra festa, gioco, divertimento, sport. Tutti questi fenomeni possono rientrare nell’ambito del cosiddetto tempo libero, ma con specificità differenti.
Lo sport, come dice anche l’etimologia probabilmente connessa con il francese “se desporter”, è qualificato come attività gratuita, come gioco. Il gioco è appunto l’attività umana che non è messa in relazione con il raggiungimento di un utile, un guadagno, ma che si configura come espressione libera del corpo e dello spirito. In qualche modo lo sport é paragonabile all’attività artistica. L’uomo si realizza, si dona e si manifesta esibendo tutto se stesso, ma senza alcun servilismo commerciale. Si gioca per vincere, ma non si dovrebbe giocare – e non si potrebbe in verità – soltanto per guadagnare ed accumulare ricchezze. La gratuità del gioco va intesa nel senso che l’attività umana vale, in ultima istanza, soprattutto per ciò che manifesta dell’uomo e non per ciò che produce. Nella prospettiva del “gioco”, lo sport mette in causa il rapporto dell’uomo col suo mondo. Nella concezione biblica l’uomo non è soltanto l’esser che fabbrica, manipola e usa delle realtà create: non è soltanto homo faber, né solo homo oeconomicus. Egli deve apprendere da Dio che “gioisce delle sue opere” (Sal 104, 26)304. C’è un aspetto “ludico” del rapporto dell’uomo col suo mondo che
298 “I lattanti giocheranno presso nidi di serpenti, e se un bambino metterà la mano nella tana di una vipera non correrà
alcun pericolo”: Is sta per Isaia. Questa immagine è inserita in un elenco di situazioni di “pace”, nelle quali elementi di solito antagonisti si trovano riuniti.
299 “Vorresti giocare con lui come con un uccellino e metterlo al guinzaglio per le tue bambine?”: Gb sta per Giobbe.
Nel versetto riportato si sta parlando del coccodrillo, inteso come manifestazione della forza della natura creata da Dio.
300 “Dio mi ha consegnato ai malvagi, sono caduto nelle mani dei disonesti. / Vivevo in pace, ma Dio mi ha colpito, mi
ha preso per la gola e mi ha fatto a pezzi; sono diventato il suo bersaglio; / mi lancia frecce addosso da ogni parte, trafigge il mio corpo senza pietà, il mio sangue scorre a terra”; nel libro delle Lamentazioni, al versetto indicato, si legge invece: “Ha teso il suo arco e mi ha preso come bersaglio, / ha trapassato il mio corpo con tutte le sue frecce”. Secondo il biblista, è da ritenere che in questi gesti, che nei testi risultano tormenti inflitti da Dio per mettere alla prova colui che lo invoca, siano ravvisabili comportamenti ludici.
301 AT: Antico Testamento; NT: Nuovo Testamento. 302 Sap sta per Sapienza.
303 LXX è il numero romano che indica il 70: qui ci si sta riferendo alla cosiddetta “versione dei Settanta”, la Bibbia in
lingua greca usata dalle prime generazioni cristiane.
lo sport mette in evidenza. Dio ha creato il mondo per la gioia dell’uomo, non ultimamente per il suo sfruttamento e il suo dominio.
Ma l’uomo è creato anche come essere di relazione, per vivere insieme con gli altri in un rapporto di solidarietà e di amore. Gli è quindi proibito giocare da solo o giocare contro gli altri per dominarli o distruggerli. L’amore del prossimo è la regola d’oro anche nello sport che è un fenomeno capace di formare aggregazione sociale. È chiaro che chi fa sport vuole vincere, conquistarsi il premio (cf. 1 Cor, 9, 24), ma non gioca per conquistare un potere o un dominio sull’altro uomo. La competitività, l’egoismo e lo sforzo non mirano a sopraffare l’altro. L’agonismo e l’emulazione sono parte intrinseca dello sport finché rimangono limitati alla gara da compiere; ne sono invece una minaccia quando diventano segni di protagonismo eccentrico, narcisistico ed egoistico. Se viene privato di questa dimensione di socializzazione, lo sport diventa un’esecuzione fisica a scopo igienico o pura esibizione spettacolare a scopo di lucro o protagonismo narcisistico o tecnica pura semplice. La pratica professionistica dello sport può fare spettacolo e divertire il pubblico, ma rischia anche di perdere la sua anima “sportiva” se manca della rete di relazioni personali di amore e di solidarietà che caratterizza ogni attività umana riuscita. L’agonismo sportivo è applicato da paolo alla vita cristiana: “Correte anche voi in modo da conquistare il premio !” (1 Cor 9, 24), la corona incorruttibile della gloria predisposta da Dio. Il carattere metaforico dell’espressione non deve essere dimenticato: la corona di gloria non si conquista propriamente, ma la si riceve in dono, non senza però l’impegno della libertà umana.
Lo sport è anche autodisciplina. Paolo osserva che “ogni atleta è temperante in tutto … Io tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù” (1 Cor 9, 25.27). A Paolo non interessa il corpo “in se stesso”, la sua forma fisica ottimale. Non è un igienista al quale interessa la forma fisica perfetta. Nemmeno è un asceta che disprezza o svaluta il corpo. Il termine “corpo” per Paolo indica tutta la persona. Egli si sforza di orientare tutta la sua persona al raggiungimento del premio che è la “corona incorruttibile”. La disciplina cui Paolo si sottopone equivale alla conversione, cioè all’acquisizione della vera libertà con cui accogliere il Vangelo di Gesù.
La metafora paolina è interessante per riflettere sullo sport. In quanto gioco, gratuità e complesso di relazioni sociali, lo sport diventa realizzazione di libertà umana. Si tratta di quella libertà cui Paolo accenna quando afferma
“D’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo” (1 Cor 7, 29-31).
Le forme delle istituzioni sociali e commerciali passano, sono transitorie, non bisogna fare di esse lo scopo e il senso assoluto della vita. Ciò vale anche per tutto ciò che l’uomo vive. Il gioco alimenta l’atteggiamento di saggio distacco ironico da tutte le realtà transitorie. Alla fine di un gioco si dice: “è stato soltanto gioco!” Non si è perduto del tempo, non ci si è sprecati stupidamente, ma si sa che non ci si è giocati il proprio destino. Questo atteggiamento vale analogamente (si noti: è solo analogia!) anche negli altri campi dell’esistenza umana. Occorre saper distinguere, in altre parole, tra ciò che vale in modo assoluto e ciò che è transitorio, effimero, mutabile.
Ci siamo cimentati con una riflessione biblica sullo sport, sebbene potesse sembrare subito impertinente presumere di poter fare un discorso biblico. E forse non abbiamo tratto dalla Bibbia nessuna teoria dello sport. Tuttavia questo esercizio ci è servito per imparare a ricorrere alla Bibbia in modo cauto e critico quando si affrontano problemi attuali che la Bibbia non si poneva, almeno nei termini in cui appaiono a noi oggi. In conclusione, si può affermare che lo sport non ha un valore in se stesso ma lo desume dal contesto culturale e religioso in cui è vissuto. La sua domanda di senso e di qualità trova risposta vera soltanto in una concezione generale dell’uomo e dell’esistenza umana.
(Antonio Bonora, Temi biblici per il nostro tempo, introduzione di Gianfranco Ravasi, Cittadella Editrice, Assisi, pp. 119-123)
COMMENTO
Il lettore attento ritrova nelle parole del biblista Bonora un ulteriore commento ai passi paolini precedentemente riportati, ma anche un ampliamento significativo. Il cristianesimo non disprezza nessun campo dell’attività umana, nemmeno quelli apparentemente meno importanti come quello sportivo, visto che si tratta di una forma di attività “ludica”: semplicemente spinge a riflettere sul posto che quell’attività può e deve occupare nell’esistenza del singolo e della comunità.
La dimensione sportiva, che tende spesso a presentarsi come autosufficiente anche dal punto di vista antropologico, viene in realtà problematizzata, e ricondotta ad un contesto, capace di conferirle un senso non una volta per tutte, ma di volta in volta, nella concretezza delle scelte.
3.1.3. Corpo e anima nella Patristica greca e latina
Nonostante la blanda legittimazione paolina dei giochi sportivi, almeno come termine di paragone per la fatica della vita cristiana, alcuni Padri della Chiesa, come ad esempio Tertulliano e Noviziano, considerarono l’attività ginnico – sportiva un inutile, se non dannoso, retaggio del paganesimo, e come tale da respingersi. La fede cristiana, secondo questa visione, si esercita con la mente e il cuore, mentre il corpo deve essere mortificato, specialmente quando una sua cura eccessiva tende a prevalere sugli interessi spirituali. Apologisti della primigenia civiltà cristiana, essi condannavano duramente tutto quanto era pertinente con l’esercizio fisico e la sua valorizzazione, negando ogni valore ad un’attività motoria fine a se stessa.
Altri Padri della Chiesa invece, e furono la maggioranza, finirono con l’imporre una finalità all’attività motoria: essi infatti consideravano corpo ed anima un’unità inscindibile, e quindi si mostrarono favorevoli ad una certa cura del corpo, che fosse però funzionale alla vita di fede: tra questi il vescovo di Antiochia Ignazio, il vescovo di Cesarea Eusebio, che affermò addirittura che “gli atleti sono gli uomini più timorosi di Dio”, e il vescovo di Olimpo Metodio.
Clemente Alessandrino, in un trattato sull’educazione intitolato Il pedagogo, riconobbe una certa validità alla vita fisica, considerata come supporto naturale della vita etica e spirituale. Quindi anche l’educazione del corpo poteva rientrare nel progetto di vita cristiana: l’attività motoria e le pratiche igieniche dovevano abituare il corpo alle privazioni, alle fatiche e alla continenza. Tutto quello che Tertulliano riteneva inutile, come le corse, o immorale, come la lotta, in Clemente tornava ad avere una valenza formativa; persino i giochi con la palla potevano svolgere una funzione positiva. Origene, partendo da considerazioni sulla retorica classica, e comparando questa alla vita del fisico, giunse ad affermare che l’esercizio ginnico e il movimento secondo il ritmo avevano un ruolo formativo importante per i giovani. Persino Girolamo, che predilige l’ascesi e la contemplazione, additò la vita all’aria aperta come elemento complementare della formazione cristiana. Lo stesso Ambrogio, di cui abbiamo già detto precedentemente, praticava il gioco della palla e ne parlava in termini positivi: il problema consisteva nello svincolare la pratica motoria della finalizzazione paganeggiante, utilizzandola in chiave cristiana.