dei Cantic
TESTO 24. La lotta giocosa col toro: la taurokathapsìa dei giovani Cretes
Nel testo da cui il brano che segue è tratto, Giorgio Pallante attinge scrupolosamente agli scritti storici e alle fonti archeologiche sulla civiltà cretese, trattando però la materia in forma divulgativa e trasformandola in una piacevole narrazione, senza tuttavia venire meno alla serietà dell’informazione e alla qualità dell’analisi storica. Ecco la sua ricostruzione della taurokathapsìa87 cretese, la “lotta contro il toro” o “giostra con il toro” dei giovani Cretesi.
Un giovane atleta è fermo in mezzo all’arena. I suoi muscoli sono tutti tesi; egli è semisollevato sulle punte dei piedi, pronto a scattare. Lunghi riccioli neri gli scendono sulle spalle, sul torso nudo; un sottile perizoma di color rosso porpora gli ondeggia intorno ai fianchi; stivaletti di pelle bianca e morbida gli giungono quasi fino al polpaccio, due bracciali d’oro gli ornano gli avambracci, una catena di piastre d’oro gli scende sul petto.
Lo sguardo del giovane è fisso su una massa di muscoli di circa otto quintali che gli sta precipitando addosso. Egli infatti, è di professione saltatore di tori e l’animale che gli è di fronte è un magnifico esemplare bianco, molto più grosso di quelli che si usano oggi nelle corride88.
Quando il toro è circa a cinquanta centimetri da lui, l’atleta spicca in salto e ne afferra le corna divaricate eseguendo nel contempo un mezzo salto mortale che lo porta in verticale sulla testa della bestia; poi, quando il toro, per reazione al peso, alza di scatto la testa, il giovane approfitta della spinta per compiere un secondo, questa volta completo, salto mortale ricadendo in piedi sull’arena, accolto e sorretto dalle robuste braccia di un compagno, mentre dagli spalti gli spettatori esplodono in un grido e in applausi.
Il toro continua la sua corsa e si dirige questa volta verso un’esile ragazza, dai capelli ugualmente inanellati, il cui corpo è coperto da un leggero bolero azzurro e da un paio di calzoncini attillati, fermati appena sotto il ginocchio.
La fanciulla, non appena il toro le è addosso, si lancia fra le corna stringendole sotto le ascelle e quindi, approfittando del colpo all’indietro istintivamente dato dall’animale, con una capriola si pone supina sul toro stringendone i fianchi con le gambe. Mentre la bestia prosegue la propria corsa, la giovane afferra con le mani le corna e con un salto rovesciato all’indietro cade in piedi sulla groppa del bestione e usufruendo della spinta che riceve dai movimenti di galoppo della bestia, si
84 I Cretesi sostituirono ben presto gli Egiziani nel dominio del Mediterraneo: mentre questi erano sempre rimasti legati
alla navigazione costiera, quelli riuscirono ben presto a creare una vera e propria thalassokratia (“dominio sul mare”). Si tramanda il gesto simbolico di intingere il dito in un qualsiasi punto del mare Mediterraneo e di dire enfaticamente “Sa di sale, dunque appartiene a Creta!”.
85 Per esempio Odissea, VIII, 96 e 191.
86 Questa tradizione è ravvisabile nell’antica cultura delle città achee, che molto risentirono dell’influsso cretese: ecco
dunque il culto di Agamennone a Micene, di Edipo a Tebe, di Nestore a Pilo, di Eracle a Tirinto, di Teseo ad Atene (Teseo che compì molte delle sue imprese proprio a Creta).
87 In greco, kathàpto significa “annodare”, “legare”, “appendersi”.
88 Nelle corride spagnole e portoghesi si usano tori adulti del peso di 6-7 quintali; nelle novilladas, corride per toreri
porta in verticale, sempre appoggiata alle corna e con un salto rovesciato all’indietro cade in piedi sulla groppa del bestione e di qui, con un altro salto mortale, ricade in piedi sulla pista, mentre dalla folla scoppia un altro entusiastico applauso.
A chiusura degli esercizi con il toro, ecco una schiera di giovanissimi atleti: in successione, essi si attaccano alternativamente all’uno o all’altro corno del toro. Ciascuno, con una rapida capriola, si pone collocato orizzontalmente tra la base delle corna e il garrese dell’animale e di qui, con mossa scattante e approfittando dei movimenti della bestia, salta sulla pista, a destra o a sinistra, a seconda del corno che all’inizio ha afferrato. Il pubblico va in visibilio.
Così si svolgeva la corrida89 presso i Cretesi che ne furono gli ideatori. Infatti il popolo di Creta era uno dei più sportivi e si appassionava agli esercizi ginnici di estrema difficoltà, ma non amava né il sangue, né la violenza. I toreri cretesi non portavano spade o picche o schidioni90. Il toro era animale sacro, nessuno avrebbe potuto ucciderlo se non quale offerta agli dei e solo nelle prescritte occasioni rituali91.
La corrida cretese non aveva dunque, né prime spade, né matadores, né picadores92; lo spettacolo consisteva in prodigiosa abilità atletica ma non mancava tuttavia il pericolo mortale per chi si dedicava a questo sport, giacché il toro, anche se probabilmente allenato a questo tipo di gioco, caricava alla velocità di circa cinquanta chilometri all’ora e sarebbe bastato un improvviso scarto della bestia o un piccolo errore nei movimenti dell’atleta o nel calcolo delle distanze e della velocità della carica stessa, perché il ginnasta venisse travolto, sia pure involontariamente, dalle zampe e dalla massa muscolare del bovide lanciato.
I tori destinati alle corride dei Minoici93 – esercizi ginnici che compivano già tremila anni prima di cristo e le cui origini si perdono nel tempo – venivano allevati liberi nei pascoli; infatti dalle raffigurazioni venute alla luce attraverso gli scavi archeologici, questi animali hanno dimensioni e caratteristiche non riscontrabili negli attuali tori alleati in cattività. È peraltro quasi certo che prima di essere utilizzati in questi esercizi, gli animali venivano catturati ed addestrati appositamente, come si vede dalle figure e dalle scene di cattura di tori e del loro addomesticamento che si trovano incise su molti vasi d’epoca. Il metodo più seguito era quello di attendere l’animale all’abbeveratoio, saltargli sul collo all’improvviso mentre aveva la testa piegata in basso per bere e poi legargli le zampe e il collo con lacci.
Le corride si svolgevano in apposite arene nella vicinanza di qualche santuario. L’arena vera e propria era circondata da gradinate per il pubblico minuto e da tribune sopraelevate per i personaggi di riguardo. Da Creta questo tipo di corrida dilagò dapprima nell’Argolide94. Molto probabilmente anche in Cappadocia95 si svolgevano gare ginniche di tipo analogo già ventiquattro secolo prima di Cristo. (Giorgio Pallante, Creta e Micene, Giovanni De Vecchi Editore., Milano, 1973, pp. 7-10)
89 Pallante chiama “corrida” la giostra cretese col toro per fornire al pubblico un’immagine conosciuta tratta dalla
contemporaneità, ma tecnicamente questa non è proprio una corrida, un combattimento tra il toro e un gruppo di uomini armati che si conclude con l’uccisione dell’animale.
90 Come è risaputo, nella corrida per colpire il toro si utilizzano nell’ordine le picche (lunghe lance con le quali viene
colpito il collo del toro, per farlo stare a testa bassa nella carica); le banderillas (piccole aste metalliche colorate e terminanti con un uncino, che vengono confitte nel dorso dell’animale a due a due); le spade (per l’uccisione finale) e una specie di spiedo (che qui Pallante chiama “schidione”) terminante con una croce che serve a dare il colpo di grazia all’animale morente.
91 Dalle fonti a disposizione si evince che il toro era per i Cretesi l’animale sacro per eccellenza: particolarmente
celebrate erano le sue corna, immagine viva della forza: nei siti archeologici riconosciuti come santuari sono state ritrovate le cosiddette “corna di consacrazione”, corna di toro stilizzate, realizzate in pietra o in stucco; qualora non ci siano questi oggetti religiosi, ci sono sempre raffigurazioni del toro o almeno della sua testa. Il combattere e il prevalere sul toro era dunque considerato l’accedere ad una dimensione quasi divina.
92 Nella corrida attuale la “prima spada” è il torero che uccide il toro; il matador è; il picador è il torero che monta un
cavallo rivestito da una pesante protezione e colpisce il toro con la picca.
93 Altro nome col quale sono conosciuti gli antichi Cretesi: “minoico” significa “proprio di Minosse”, mitico re di Creta. 94 Regione storica della Grecia che prende il nome dalla città di Argo, nel Peloponneso orientale.
COMMENTO
La taurocathapsìa cretese non ha nulla a che spartire con la corrida contemporanea e con la tauromachia: si tratta di un’altra cosa, anche apparentemente consistono entrambe in una sfida tra uomini e tori. Dall’esame delle fonti a disposizione, qui messe in forma narrata, traspare l’intelligente abilità, la fermezza e la padronanza di sé degli atleti cretesi, nei loro volteggi elastici sulle corna e sulla groppa del toro, che viene affrontato sempre e rigorosamente senza armi. I sentimenti che si sprigionano dagli antichi affreschi sono la freschezza gioiosa, la baldanza giovanile, la serena fiducia nelle proprie capacità ginniche.
Anche nelle fonti iconografiche colpisce la capacità di rappresentare il movimento in scene che non conoscono ancora la rappresentazione prospettica: il balzo deciso degli atleti verso le corna del toro, il loro roteare armonioso sulla sua schiena arcuata dallo sforzo della carica, l’atterraggio leggero, l’attesa trepidante per l’arrivo del compagno.
Anche se la taurokathapsìa cretese, come nota opportunamente Pallante, si diffuse sul continente, essa ebbe però poco successo nel mondo greco: già nei poemi omerici non ve ne è più alcuna traccia. Quindi questa manifestazione rimane a qualificare peculiarmente il mondo cretese, come celebrazione della bellezza della natura e del valore dell’uomo.
1.5.2. Gli Etruschi
Dalle fonti a disposizione, specialmente quelle figurative, sappiamo che già alla fine del VII secolo a. C. in Etruria i giochi atletici dovevano essere in gran voga, ed avevano risvolti importanti di carattere religioso, funerario, politico, economico e sociale. Questo contrasta con l’assenza di fonti scritte sui giochi praticati: non abbiamo per esempio nessun trattato che ci parli delle regole, dello svolgimento, degli accorgimenti particolari. La ricostruzione storica dei giochi etruschi, quindi, risulta un vero e proprio rompicapo, nel quale si devono pazientemente comporre tutti gli scarsi pezzi a disposizione, oltre tutto con lo svantaggio di conoscere ancora in modo parziale la lingua di questa affascinante popolazione che dominò nell’Italia centrale per diversi secoli.