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dei Cantic

TESTO 37. L’inutilità sociale dell’atletica nella critica filosofica del retore Isocrate

(introduzione, note e commento a cura di Silvia Susin)

Non tutti i Greci condividevano con la stessa intensità il gusto per le attività sportive e la passione per le competizioni agonistiche. L’orazione dalla quale è tratto il passo che segue, il cui autore è l’illustre retore Isocrate, scritta nel 380 a.C., critica ampiamente l’inutilità dell’agonismo sportivo,

senza comunque intaccare il valore religioso dei giochi né il sistema agonistico. Lo stesso Isocrate vedeva nell’Olimpiade, occasione in cui la sua orazione avrebbe dovuto essere pronunciata, la situazione più adatta per presentare un discorso che gli avrebbe procurato fama e gloria.

Mi sono spesso stupito che i fondatori delle Panegire185 e gli organizzatori delle gare atletiche abbiano messo in palio premi così magnifici per le prestazioni fisiche, senza riservare alcun riconoscimento a chi ha personalmente lavorato per il bene comune e ha perfezionato le proprie qualità spirituali per essere utile agli altri. E invece era a questi uomini che si doveva pensare. Infatti, se gli atleti avessero anche il doppio della loro forza fisica, l’umanità non ci guadagnerebbe nulla, ma se solo un uomo è saggio, tutti quelli che vogliono condividerne le idee possono trarne vantaggio.

(Isocrate, Panegirico, I, 2; in Orazioni, traduzione italiana di R. Romussi, Rizzoli, Milano, 1997, p. 95) COMMENTO

Piuttosto, tale concezione sottolineava come l’impegno intellettuale di scrittori e pensatori possedesse un valore sociale di gran lunga superiore a quello delle gare atletiche. Ciò che si criticava, sia agli atleti che agli spettatori, era la completa inutilità sociale degli allenamenti, dell’abilità tecnica e delle gare stesse se paragonati al coraggio e al senso civico espresso dai cittadini nell’amministrare la comunità o combattendo per difendere il territorio.

2.3. La cultura fisica e sportiva nell’età ellenistica

Gli storici fanno cominciare la cosiddetta età ellenistica dalla metà del IV secolo a. C.: con la battaglia di Cheronea, Filippo di Macedonia sottomette le città greche, e suo figlio Alessandro, detto “il Grande”, conquisterà un vasto impero, dal quale nascerà poi un mosaico di regni, affidati ai suoi generali e ai loro discendenti. In questi regni, come era nell’idea di Alessandro, la cultura greca e gli elementi locali si fonderanno, dando vita ad una civiltà dai tratti originali e vivaci, che durerà fino alla progressiva conquista romana.

Quando i Romani conquistarono la Grecia, la cultura greca si era quindi già diffusa nel bacino mediterraneo, anche se con alcune varianti non secondarie. I giochi panellenici, per seguire le sorti degli aspetti culturali dei quali ci occupiamo in questa antologia, avevano del tutto perso il loro significato di collante nazionale, per cui di quelle manifestazioni i Romani percepirono solo l’aspetto esteriore dell’agonismo professionistico, ormai fine a se stesso.

Rispetto all’età classica, l’età ellenistica si caratterizza per alcuni aspetti assai significative. Prima di tutto, si assiste ad un esponenziale aumento del numero di gare: gli atleti greci cantati da Pindaro nei suoi epinici (VI – V secolo a. C.) avevano a disposizione una quarantina di competizioni, mentre in epoca ellenistico – romana queste raggiunsero anche il numero di 300.

In secondo luogo, un così grande numero di gare non poteva che essere praticato da atleti professionisti. Non si tratta più semplicemente di atleti in qualche modo aiutati dallo stato. Dato che l’essere rappresentanti di questa o di quella città non ha più alcun valore politico, l’attività sportiva diventa una professione vera e propria. Questo è attestato anche dal consolidarsi della figura dell’allenatore: pur rimanendo una figura professionale non altamente considerata nel mondo greco, diventa molto più diffusa nella società, come attestato all’incremento del numero di testimonianze storiche. Il loro compenso rimane tuttavia lungamente inferiore a quello degli atleti vincitori: per esempio, nel IV secolo a. C., una città dell’Asia Minore pagava l’allenatore capo del proprio ginnasio 500 dracme all’anno (poco meno del doppio di un lavoratore salariato), e un’altra città, nel

II secolo a. C., 30 dracme al mese186. Siamo dunque molto lontani dalla situazione attuale (basti pensare agli allenatori di calcio), ma siamo in ogni caso di fronte ad una figura professionale che si è emancipata dal controllo dello stato, e che si presenta sul mercato del lavoro in modo del tutto indipendente.

In terzo luogo, assistiamo ad una progressiva tecnicizzazione delle competizioni, come è attestato dalla soluzione raffinata dei problemi tecnici di ciascuna gara. Per esempio, risale a questo periodo la suddivisione in corsie degli ippodromi. Una struttura di questo tipo aveva però un problema tecnico non secondario: i partecipanti posti ai lati estremi delle corsie erano svantaggiati rispetto a quelli che correvano in posizione centrale, perché dovevano percorrere uno spazio maggiore per raggiungere la seconda meta durante il primo giro: per lungo tempo però, forse dato anche il numero non eccessivo di carri di volta in volta sfidantisi il problema rimase. Per risolverlo, ad Olimpia venne adottata la soluzione detta àphesis, appositamente progettata dall’architetto Kleoitas nel III secolo a. C. e successivamente perfezionata da Aristeides: essa consisteva nell’allineare i concorrenti sui due lati uguali di un triangolo isoscele orientato nella direzione della corsa, in postazioni delimitate da corde che cadevano sequenzialmente, in modo tale da allineare i cavalli su un fronte leggermente arcuato in corrispondenza della prima meta, dal quale poi questi potevano cercare la via migliore verso la seconda meta, visto che non c’erano ostacoli divisori. Questa soluzione aveva anche il duplice vantaggio di evitare sia le false partenze sia le collisioni in una partenza simultanea e inevitabilmente “ammucchiata”; a regolamentare la partenza, forse il momento più delicato della gara, ad Olimpia c’erano anche uno squillo di tromba, la caduta di un delfino di bronzo da un piedistallo posto al vertice dell’àphesis e il volo di un’aquila bronzea da un altare lì vicino. Quello che vale per le corse ippiche vale anche per tutte le altre competizioni: la parola d’ordine è specializzazione e professionismo anche nell’organizzazione di eventi sempre più significativi dal punto di vista spettacolare e sempre meno da quello culturale.

In quarto luogo, nell’età ellenistica assistiamo anche ad una considerazione più attenta, da parte della cultura “alta”, degli aspetti tecnici delle competizioni, come attestato dalla presenza di descrizioni assai realistiche e competenti, nella letteratura greco – ellenistica, di eventi sportivi. Abbiamo due esempi di poeti esperti anche di pugilato, quali Teocrito187, che descrive l’incontro tra Polluce ed Amico, re dei Bebrici, con il primo che si ispira alla vecchia scuola della tecnica e dell’agilità di movimento, ed il secondo che fa affidamento solo sulla forza fisica, ma viene atterrato e finisce con la sua richiesta di pietà a Polluce vincitore. Lo stesso incontro è narrato un secolo più tardi da Apollonio Rodio188, che però fa concludere l’incontro con la morte violenta di Amico, forse accordandosi ad un gusto del pubblico che ama sempre più lo spettacolo brutale. Non si tratta qui di celebrazioni, come era nel caso di Pindaro, che non indulgeva nella descrizione approfondita degli eventi sportivi, ma di narrazioni analitiche, comprensive di dettagli tecnici che possono essere colti solo da un occhio esperto.

In quinto luogo, si consolidano le forme celebrative degli atleti vincitori. Oltre al modo di onorare gli atleti ed eternare la loro fama mediante l’erezione di statue, prende piede dal IV secolo a. C. in poi anche la coniazione di monete commemorative delle loro vittorie. Ad esempio, la città di Sicione emise monete commemorative per celebrare le vittorie del suo atleta Sostrato in tre Olimpiadi consecutive (364, 360 e 356 a. C.).

In conclusione, nell’età ellenistica le competizioni ginnico – sportive si diffondono sì in tutto il bacino mediterraneo, ma perdono il significato di “giochi dei Greci e per i Greci” e diventano semplicemente “giochi greci” nel senso di giochi “al modo dei Greci”, mere forme espressive del divertimento e della bravura atletica, del tutto prive del significato che avevano nell’epoca precedente, spesso connotate come modalità di controllo politico dei territori assoggettati, come nel caso della costruzione di un ginnasio di fronte al tempio di Gerusalemme189.

186 Cfr. M. I. FINLEY – H. W. PLEKET, The Olympic Games: The First Thousand Years, Chatto and Windus, London,

1976; traduzione italiana I gichi olimpici, Editori Riuniti, Roma, 1980, p. 92.

187 TEOCRITO, Idilli, XXII, 83-130.

188 APOLLONIO RODIO, Argonautiche, II, 25-97. 189 Cfr. TESTO 22 della presenta antologia.

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