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dei Cantic

TESTO 52. La chiusura definitiva dei santuari pagan

(introduzione, note e commento a cura di Silvia Susin)

La profonda crisi generale che tra il III e il IV secolo d.C. travagliò il mondo antico, incise irreversibilmente anche sulla sopravvivenza dei festival sportivi. Le ripetute incursioni barbariche, che fecero venire meno quel clima di sicurezza generale necessario agli spostamenti di atleti e spettatori; l’aggravamento della crisi economica, che indusse la nobiltà cittadina a restringere i finanziamenti alle celebrazioni occasioni di competizioni ed infine la progressiva cristianizzazione delle istituzioni indussero alla chiusura dei santuari pagani cui era collegata la celebrazione degli agoni. La legge del 435 d.C., emanata dagli imperatori Teodosio II e Valentiniano, preceduta, nel 392, dalla legge di Teodosio I che vietò che si continuasse a calcolare il tempo in Olimpiadi e bandì la celebrazione di tutte le feste pagane, fu l’epilogo definitivo per i giochi celebrati in occasione di solennità religiose attorno ai più rinomati santuari del mondo greco. La sopravvivenza delle attività agonistiche, da quel momento, rimase esclusivamente affidata alle palestre, riservate ai giovani delle famiglie più facoltose, che qui potevano essere educati nella maniera antica.

Proibiamo a tutti coloro di scellerato animo pagano di compiere le esecrabili immolazioni di vittime e condannabili sacrifici e altre cerimonie religiose proibite dall’autorità di più antiche sanzioni277. Ordiniamo inoltre che tutti i loro santuari, templi e luoghi sacri, se ancora ne esistono integri, siano demoliti per ordine dell’autorità e siano riconsacrati erigendovi il segno della venerabile religione cristiana278. Tutti siano a conoscenza del fatto che se dovesse risultare, a seguito di prove adeguate al cospetto del giudice competente, che qualcuno non ha rispettato questa legge, sarà punito con la morte.

(Codice di Teodosio II, XVI, 10, 25; in Lidia Storoni Mazzolani, Sant’Agostino e i pagani, Sellerio, Palermo, 1987, p. 135)

COMMENTO

L’aspetto reiterativo di questo provvedimento, che vieta pratiche già vietate, dimostra quale fosse la persistenza delle tradizioni di fronte alla nuova religione di stato. A conferma di questo, si può citare il restauro del Colosseo nel 508, in quel clima di anarchia politiche che caratterizzò il decaduto Impero romano d’occidente prima del consolidamento dei regni romano – germanici: i giochi proseguirono, anche se depurati dai combattimenti cruenti. Solo nel 681, ben due secoli dopo la caduta dell’impero romano d’occidente, e solo per motivi di carattere esogeno (le pressione dei barbari e l’instabilità dell’Impero d’oriente), l’imperatore Giustiniano si vide costretto ad abolire anche le venationes, le lotte tra gladiatori ed animali: da quella data iniziò anche la decadenza delle strutture anfiteatrali, che tanto avevano significato nell’immaginario collettivo dell’età imperiale.

277 Il divieto di sacrificare alle divinità pagane e di partecipare a cerimonie destinate al loro culto era già stato più volte

decretato dalle autorità romane.

3. Attività fisica e giochi sportivi nell’età tardo-antica e

medievale

3.1. Corporeità ed attività fisica nella concezione del cristianesimo

Rispetto al tema della storia dell’educazione fisica e delle manifestazioni agonali e/o ludiche, il passaggio dall’età classica “pagana” alla tarda antichità “cristiana” è segnato da elementi di continuità e di discontinuità, dovuti i primi alla lunga persistenza di una cultura, i secondi ai nuovi significati della corporeità e dell’attività fisica nella visione cristiana della vita.

Come abbiamo visto, l’abbandono dei giochi greco – romani, e delle pratiche ad essi connesse, non avvenne immediatamente per decreto imperiale, ma fu dovuto sia a motivi contingenti (per esempio alla difficoltà di approvvigionamento di animali feroci), sia a motivi culturali, nel senso che il cristianesimo cominciò ad osteggiarli in quanto retaggio del paganesimo.

All’origine di questa ostilità nei confronti di queste manifestazioni vi era certamente una nuova idea del corpo, derivante sia dalla concezione ebraica, tramite quei libri che nella Bibbia cristiana diventeranno l’Antico Testamento, sia soprattutto dalla nuova concezione religiosa propagandata da Gesù di Nazareth e sedimentatasi nei testi evangelici.

3.1.1. L’umanità di Gesù di Nazareth e la sua dimensione fisica nei quattro

Vangeli

Per capire quindi quale fosse l’idea cristiana di corpo, e per vedere come questa idea interagì dialetticamente con la cultura pagana pre – esistente, per prima cosa occorre attingere direttamente alle originarie fonti letterarie del cristianesimo, cioè i quattro Vangeli.

Il termine Vangelo deriva dalla locuzione greca eu anghélion (“lieto annuncio”, “buona novella”) ed indica un testo nel quale sono narrate la vita e le opere di Gesù di Nazareth, nel quale gli autori riconoscono il Messia, il Salvatore annunciato dai profeti biblici ed atteso dagli Ebrei.

I brani che riportiamo in questa sezione sono tratti dal Vangelo attribuito a Marco, probabilmente il Marco conosciuto dall’apostolo Pietro279, che più tardi avrebbe accompagnato Paolo di Tarso e Barnaba nei loro viaggi missionari280. Composto verosimilmente verso il 70 d. C., è un testo prevalentemente narrativo, con un peculiare interesse per la contestualizzazione storica e realistica degli avvenimenti, che presenta Gesù come un personaggio sconcertante per quel contesto: uomo sensibile, guaritore, esorcista, predicatore indipendente dalla “legge” ebraica.

I Vangeli attribuiti all’apostolo Matteo, un agente delle tasse chiamato anche Levi281, e a Luca, un medico di lingua greca seguace di Paolo di Tarso282, si muovono nel solco tracciato dalla narrazione marciana, ma la arricchiscono in modo peculiare, per esempio aggiungendo entrambi una parte riguardante la nascita di Gesù: entrambi sono stati presumibilmente redatti verso l’80 d. C., e rispecchiano precise esigenza comunicative. Il testo di Matteo è pensato per lettori ed ascoltatori di origine ebraica, ai quali un costante riferimento ai passi dell’Antico Testamento deve dimostrare che il Gesù di Nazareth crocifisso e risorto è il vero Messia: si tratta quindi di uno scritto particolarmente curato dal punto di vista testuale e stilistico, organizzato attorno a grandi “discorsi”, il più famoso dei quali è certamente quello “della montagna”. Lo scritto di Luca è invece pensato come un unicum con la narrazione delle vicende della prima predicazione degli Apostoli, contenuta negli Atti degli Apostoli, per mettere in evidenza il legame tra la vita di Gesù e l’opera di coloro che a lui dicono di ispirarsi: è uno scritto costruito sulla centralità di Gerusalemme come luogo eletto da

279 Atti degli Apostoli 12, v. 12; Prima Lettera di Pietro 5, v. 13. 280 Atti degli Apostoli 12, v. 25 e 13, v. 15.

281 Marco 2, v. 14.

Gesù per la sua predicazione, e indirizzato ai “poveri”, colo che nella società ebraica di quel tempo erano i meno importanti, i malati, i disprezzati.

Il quarto Vangelo, infine, che un’antichissima tradizione attribuisce al “discepolo prediletto” identificato nell’apostolo Giovanni, si distacca dagli altri tre283 per la sua originalità e per la profondità teologica che raggiunge. È uno scritto centrato sulla figura di Gesù come uomo reale, ma anche come presenza nel mondo fin dalle origini, come attestato dal famoso Prologo (“In principio era la Parola …”), indirizzato a lettori che non conoscono né gli altri testi evangelici né la predicazione apostolica.

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