• Non ci sono risultati.

VERSIONE TRADIZIONALE VERSIONE IN LINGUA CORRENTE

TESTO 70. Il ruolo del cavaliere nell’immagine trinitaria della società medievale

La cultura dell’Occidente medievale ha tramandato per alcuni secoli un’immagine trinitaria dell’uomo, sulla base della quale sia l’anima individuale sia il corpo sociale sono riflessi terreni della Trinità divina. In particolare, a partire dal IX secolo, viene elaborata una vera e propria antropologia sociale, che vede la società strutturata in tre ordines funzionalmente interrelati e gerarchicamente disciplinati: gli oratores, i sacerdoti, a cui spetta la funzione sociale della preghiera; i bellatores, i nobili guerrieri, a cui spetta l’esercizio delle armi; i laboratores, i contadini, a cui spetta la fatica del lavoro nei campi per procurare il nutrimento.

Ecco la descrizione degli svaghi della classe nobiliare secondo Guglielmo di Auxerre, maestro di teologia presso l’Universitas parigina all’inizio del XIII secolo.

Ogni genere di uomini ha una propria fatica e un proprio diletto. […] Per quanto riguarda i nobili guerrieri, essi trovano diletto nei fasti della superbia, nella numerosa servitù, nella magnificenza degli apparati, negli ornamenti dei cavalli, nella caccia col falcone, nel gioco dei dadi. Altri ancora amano vestiti sgargianti e letti carichi d’ornamenti e i bagni, e imitano le mode femminili con la ricchezza e il fasto dei loro abiti, rifuggendo il peso delle armi, le notti insonni degli accampamenti e l’incerta sorte delle battaglie. […]

Il sudore è tutto degli uomini che lavorano la terra: gli uni potano e zappano nei vigneti, altri, che riposano in una stagione, in altra faticano nell’accumulare il frumento maturo nei granai. […] Questi vivono di farine, bevono il puro succo dell’uva, lo rendono saporoso con erbe, e dispongono l’olio accanto al focolare.

(Guglielmo d’Auxerre, Declamationes ex S. Bernardi Sermonibus,X, 10-11; in Migne, Patrologia

Latina, 184, c. 443-444; citato in Maria Luisa Picascia (a cura di), La società trinitaria: un’immagine medievale, Zanichelli, Bologna, 1980, pp. 113-114)

COMMENTO

Nella laconica descrizione di Guglielmo di Auxerre, la vita del cavaliere è vista a tutto tondo, sia negli aspetti della “fatica” funzionale alla società (l’esercitare la guerra, con tutti i rischi che questo

comporta), sia negli aspetti del “divertimento” connesso alla situazione di privilegio (la caccia col falcone, il gioco dei dadi).

Si noti invece come la descrizione della vita dei contadini non comprenda nessun accenno allo “svago”, ma solo una divisione stagionale del lavoro che crea momenti di riposo, ma non di “svago” o di “gioco” propriamente detti.

3.4. La cultura fisico-sportiva medievale “alta”: la cavalleria

Le origini della cavalleria, come istituzione sociale e politica, sono da ricercarsi nelle forme feudali di gestione del potere inaugurate dai sovrani carolingi. L’esclusione dei figli maschi non primogeniti (i cosiddetti “cadetti”) dalla possibilità di ereditare le terre paterne, e conseguentemente anche da quella di intrattenere rapporti di vassallaggio316, determinò la nascita di una vera e propria élite di giovani nobili che esercitavano l’arte della guerra come unica possibilità di acquisizione di status. All’interno di questa casta militare, inizialmente assai turbolenta e tendenzialmente anarcoide, in quanto svincolata da obblighi di subordinazione vassallatica, nel corso del X secolo si andò progressivamente definendo un codice di comportamento morale e civile, su pressione dei grandi feudatari: la Chiesa fornì un supporto ideologico – religioso al fenomeno, incanalando le energie cavalleresche verso compiti di protezione nei confronti degli anelli deboli della società (le donne, i poveri, gli orfani, i chierici) e verso missioni di estensione della fede cristiana ad altri popoli.

La cavalleria dunque, all’inizio del secondo millennio, era diventata un’istituzione alla quale si accedeva per merito, e non per nascita, mediante una forma di educazione militare, disciplinata in modo assai rigido ed inquadrata in una forte e cogente ideologia religiosa. Dopo un lungo periodo di addestramento alle armi come paggio (dai 7 ai 14 anni), l’aspirante cavaliere diventava scudiero (dai 14 ai 21) al servizio di un altro cavaliere, e poteva cominciare a possedere una propria cavalcatura e una propria armatura: lancia, scudo, elmo, corazza e speroni d’argento. Lo scudiero poteva diventare cavaliere solo dopo la forma rituale dell’investitura: l’aspirante passava in digiuno e in preghiera la notte precedente la cerimonia (la cosiddetta “veglia d’armi”), per presentarsi “pulito” al momento dell’investitura. Dopo avere prestato giuramento, gli venivano consegnati l’armatura completa, la spada e degli speroni d’oro. A partire dall’XI secolo, nella cerimonia solenne intervenne anche la Chiesa, che nominava il cavaliere miles Christi (“soldato di Cristo”) e ne benediceva la spada, perché potesse essere sempre e solo usata per le nobili finalità previste. Sempre a partire dall’XI secolo, proprio in virtù di questa convalida religiosa del loro ruolo sociale, i cavalieri cominciarono ad associarsi in ordini religioso – militari, ai quali la Chiesa delegava il compito di portare la fede laddove vi era ancora il paganesimo, per esempio nei vasti territori dell’Europa orientale, o di difenderla laddove questa era minacciata, come nel caso delle crociate per riconquistare il Santo Sepolcro occupato dai Musulmani o delle spedizioni contro le grandi eresie del XIII secolo (Catari, Albigesi, Valdesi). Nacquero dunque i Cavalieri di Rodi, i Cavalieri di Malta, i Cavalieri Teutonici, i Templari e altri ancora, alcuni dei quali sopravvivono ancora oggi, come associazioni dalle finalità etico – culturali.

Fu in Francia che, nel XII secolo, si consolidò l’ideale cavalleresco, mediante una compiuta definizione del codice di comportamento, che esaltava virtù come la lealtà, il coraggio individuale, la generosità, la cortesia verso le donne: determinatosi nell’ambiente delle grandi corti feudali, visibilizzato nelle grandi manifestazioni di prodezza quali erano i tornei, esaltato da una ricca letteratura, questo modello culturale si impose all’aristocrazia europea di secoli successivi. Nei secoli XIV e XV, con la creazione di onorificenze cavalleresche da parte del re di Francia, come l’Ordine della Giarrettiera del 1344, la cavalleria trapassava in ricompensa per servigi o per meriti

316 Ricordiamo che, nell’ordinamento feudale, il vassallaggio era il rapporto che si costituiva tra un uomo libero e un

signore, attraverso un giuramento di fedeltà che impegnava il primo nel servizio e nella dedizione al signore e il secondo alla concessione di un beneficio, cioè di terre da sfruttare. “Vassalli” (da vassus) furono chiamati coloro che dipendevano direttamente dall’imperatore o da un re, “valvassori” (cioè vassi vassorum, vassalli dei vassalli) coloro che dipendevano dai vassalli e “valvassini” coloro che dipendevano dai valvassori.

particolari: questo accadeva proprio quando la comparsa sui campi di battaglia dei quadrati di fanteria svizzera prima, e delle armi da fuoco poi, cominciavano a mettere fuori gioco l’arma della cavalleria pesante che tanta parte aveva avuto nelle fortune dei sovrani e dei signori nei secoli precedenti.

TESTO 71. Una svolta nella tecnica militare dell’Occidente medievale:

Outline

Documenti correlati