GLI INTERVENTI DEL PROCURATORE NEL PRETRIAL E NELL’EVENTUALE
3.7 Il predominio del procuratore nel patteggiamento
Secondo la Corte Suprema federale, il procuratore, nell’ambito della procedura negoziale di patteggiamento, non ha alcun obbligo di
discovery, cioè di rivelare le prove possedute alla controparte, siano
esse favorevoli o meno per quest’ultima (sono favorevoli per l’imputato, ad esempio, quelle prove che potrebbero far dubitare della credibilità del testimone a carico).
È sufficiente, al riguardo, che:
1) il prosecutor palesi solo quelle prove che dimostrerebbero l’innocenza dell’accusato (obbligo previsto a livello costituzionale);
2) l’imputato sia pienamente consapevole dei diritti e delle garanzie processuali che il plea bargaining gli precluderebbe (privilegio contro l’auto-incriminazione, diritto al processo
126 con giuria, diritto al contraddittorio, diritto all’appello, ecc.)157.
Per rafforzare tale consapevolezza, la corte deve inoltre informare l’imputato circa la massima pena irrogabile contro di lui.
A dire della suprema magistratura federale:
«…una disclosure prematura…potrebbe turbare le investigazioni in corso, oltre ad esporre potenziali testimoni a seri rischi per la propria incolumità…, obbligando gli uffici dell’accusa a destinare maggiori risorse alla preparazione del giudizio prima della stipula di un plea bargaining, così “spogliando” il rito in questione dei suoi indubbi vantaggi in termini di smaltimento del carico di lavoro oppure, addirittura, costringendo a rinunciare alla procedura semplificata in questione in un numero esorbitante di evenienze»158.
Tuttavia, il fatto che l’imputato non abbia conoscenza delle prove (eventualmente anche per lui favorevoli) possedute dal procuratore, può spingerlo a sovrastimare le possibilità di condanna. Di conseguenza, talvolta accade che l’accusato: si dichiari colpevole ed accetti il plea bargaining anche se innocente; patteggi per una condanna più gravosa rispetto a quella che avrebbe ottenuto al processo.
Per di più, il giudice non ha poteri di controllo penetranti. È vero che, teoricamente, deve verificare l’assenza di vizi nella manifestazione di volontà dell’imputato ed il rispetto dell’interesse pubblico, rigettando, ad esempio, gli accordi troppo indulgenti per gli offensori. Non potendo però partecipare ai negoziati e nemmeno accedere ai materiali di cui il prosecutor si avvale, il magistrato ha una
157 R. GAMBINI MUSSO, op. cit., p. 57.
158 Cfr. United States v. Ruiz (2002), Justia, sito web, consultato in data 30/11/2016,
127 minore conoscenza, rispetto alle parti, dei fatti del caso concreto. Per questi motivi, il suo intervento finisce per coincidere, in pratica, con una mera ratifica di quanto l’accusa e la difesa abbiano stipulato159.
Anche le leggi penali in materia di sentencing hanno contribuito, in maniera significativa, a rafforzare l’istituto del plea bargaining e la discrezionalità del procuratore in occasione dello stesso. Il legislatore cioè, prevedendo spesso pene molto severe per i singoli reati (sia nel minimo che nel massimo edittale), ha di fatto consegnato nelle mani del pubblico ministero una potente arma: la possibilità di forzare gli imputati ad aderire a patteggiamenti unilateralmente offerti, approfittando del timore che incute il “fantasma” di una pesante sanzione comminabile al processo; ciò anche là dove, concretamente, vi sia una buona probabilità di assoluzione dibattimentale.
In questo modo, i procuratori non perdono mai e i giudici, essendo ridotto all’osso il numero dei processi (e quindi del loro carico di lavoro), sono soddisfatti. Tutto sommato, anche gli avvocati della difesa sono contenti, in quanto hanno la possibilità di far passare gli accordi di patteggiamento, agli occhi dei loro clienti, come dei risultati convenientissimi, frutto di una grande abilità professionale dei legali stessi. Ne deriva che l’imputato è l’unico soggetto perdente; a causa delle pressioni subite, egli si convince a non avvalersi dei diritti e delle facoltà che l’ordinamento costituzionale gli garantisce160.
Non è da sottovalutare, inoltre, la questione attinente alla disparità di trattamento. L’accusato, dal canto suo, può cercare di influenzare l’esito dei negoziati, presentando argomenti e prove al procuratore. Sarà però quest’ultimo a stabilire l’importanza di tali elementi, senza essere obbligato, tra l’altro, a giustificare le proprie scelte al riguardo.
159 R. GAMBINI MUSSO, op. cit., pp. 58-59.
160 Cfr. W. T. PIZZI, Una tempesta perfetta: la discrezionalità del prosecutor negli
Stati Uniti d’America, Archivio Penale, 2012, pp. 560-567, documento web,
consultato in data 28/11/2016,
128 Non di rado, quindi, una situazione del genere comporta trattamenti diversi nei confronti di imputati che si trovino nelle stesse (o in simili) condizioni. Certamente essi possono richiedere l’apertura del processo, là dove non siano d’accordo con le valutazioni della controparte; ma non è questa una strada facilmente praticabile, in ragione dei forti condizionamenti psicologici che, come già visto, la supremazia del
prosecutor causa nei loro confronti.
La disparità di trattamento può aver luogo non soltanto tra coloro trattino con il pubblico ministero, ma anche tra imputati che decidano di comportarsi diversamente: alcuni di essi si dichiarano colpevoli (con o senza plea bargaining), mentre gli altri non rinunciano al processo. Le statistiche parlano chiaro: le condanne a seguito di un plea of guilty sono in media il 35 % più lievi rispetto a quelle pronunciate, in situazioni simili, al processo. Possono addirittura alleggerirsi del 50 % nei casi in cui l’accusato collabori con la giustizia.
Il sistema nordamericano giustifica tale realtà argomentando che l’imputato, quando rinuncia al dibattimento, fa risparmiare energie, tempo e risorse sia alle procure che ai tribunali. E, a maggior ragione, coloro che, oltre a confessare, dimostrino un reale pentimento o collaborino con la giustizia, sono considerati meritevoli di una pena notevolmente ridotta rispetto a quella che dovrebbero ricevere teoricamente. Che poi, se da un lato la collaborazione con le autorità è un fattore rilevabile concretamente, dall’altro lato viene da chiedersi come sia possibile riscontrare un “reale pentimento”. Cioè, come si possono distinguere chiaramente gli imputati che si dichiarino responsabili perché effettivamente ravveduti da quelli che, invece, lo facciano per motivi di mera convenienza? Risulta difficile, se non impossibile, rispondere a questa domanda161.
Le corti federali, per poter concedere all’imputato cooperante uno sconto di pena, necessitano di un atto con cui il prosecutor certifichi
129 che l’accusato abbia fornito sostanziale assistenza nelle indagini o (più in generale) nel procedimento penale condotti nei confronti di un altro individuo. Mediamente, in tali ipotesi, la condanna alla reclusione è ridotta di 28 mesi rispetto al minimo edittale. Le maggiori riduzioni si hanno in favore dei pentiti di mafia o di altre organizzazioni criminali, in quanto si tratta di soggetti che, essendo sottoposti a notevoli rischi, necessitano di un incentivo molto forte.
Il procuratore può solo raccomandare una sentenza più lieve; la decisione finale spetta ovviamente al giudice. Tuttavia, nel momento in cui il pubblico ministero, per ricompensare il collaboratore di giustizia, riduce l’imputazione nei suoi confronti (facendo cadere capi d’accusa o “declassandoli” a reati meno gravi), ciò comporterà, molto probabilmente, l’alleggerimento della condanna.
È bene precisare, per completezza, che l’accordo di patteggiamento in questione è stipulato in vista di una cooperazione futura (e non già avvenuta) dell’imputato. Là dove quest’ultimo, successivamente, dovesse deludere le aspettative della controparte, non avrebbe la possibilità di opporsi, davanti alla corte, alla scelta del procuratore di non richiedere lo sconto di pena162.
Gran parte dell’opinione pubblica, della politica e della dottrina ritiene che sia necessario disciplinare i plea bargainings in modo da ridurre l’eccessivo e scorretto potere negoziale della pubblica accusa. In passato, i tentativi che alcuni politici e procuratori fecero in tale direzione si conclusero con un nulla di fatto, a causa di una forte opposizione del sistema giudiziario. Oggi sarebbe opportuno che la giurisprudenza e i parlamenti statunitensi riproponessero quei tentativi e studiassero, per renderli stavolta efficaci, delle riforme adeguate. Queste dovrebbero prendere le mosse da un rafforzamento degli
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standards etici, elaborati dall’American Bar Association, relativi alle
condotte dei procuratori163.