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CAPITOLO 2- Revisione della letteratura scientifica

2.2 Il sistema dell’accoglienza

I primi centri di accoglienza nei Paesi europei coinvolti nei flussi migratori di Minori Non Accompagnati sono stati nella gran parte dei casi strutture non espressamente organizzate solo per minori, nate quando i flussi non erano ancora così importanti e che progressivamente hanno iniziato ad accogliere un numero sempre maggiore di minori stranieri. Seguendo il lento iter burocratico che in alcuni Paesi, tra cui l’Italia, ha condotto all’istituzione di una normativa specifica sulla tutela dei Minori Non Accompagnati, i centri di accoglienza si sono evoluti, differenziati e specializzati, orientandosi sull’intervento in termini di attivazione delle procedure per la richiesta di riconoscimento di uno status, l’inserimento in un iter scolastico-formativo e, in un secondo tempo, professionalizzante, l’accompagnamento nella fruizione di cure mediche e sanitarie, l’identificazione e l’immissione in progetti di tutela e/o di socializzazione.

Ad oggi, gli elementi critici delineati dalla produzione scientifica sono numerosi e restituiscono un’immagine dei servizi e del sistema dell’accoglienza che - per quanto in netta evoluzione rispetto ai primi arrivi - mostrano ancora limiti molteplici che rendono necessario lavorare in senso migliorativo. Come suggerito da Surian, Segatto, Di Masi (2018) la base di partenza è rappresentata dal rapporto Migration to the EU: five

persistente challenges (2018) secondo cui, nonostante il numero di MNA stia

complessivamente diminuendo, il grado di protezione stenta a migliorare. A tal fine il Rapporto individua quattro aree chiave di lavoro per il sistema dell’accoglienza:

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qualità delle strutture e dei percorsi di accoglienza;

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scelta dei tutori;

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accesso alle procedure di asilo;

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ostacoli frapposti alla riunificazione familiare.

Di fatto le problematiche che si evincono riguardano diverse dimensioni che, interagendo tra esse, contribuiscono al persistere di condizioni di precarietà/dipendenza e possono influire sul disempowerment (Harrel-Bonf, 2005) dei Minori Non Accompagnati.

In questo senso la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza appare ancora troppo solo sulla carta (Montgomery, Roy, 2003) e numerosi autori suggeriscono come l’impegno di ciascun Paese a garantire ai MNA gli stessi diritti debba passare attraverso l’individuazione di standard europei e una progettazione a livello internazionale del sistema dell’accoglienza (Feijen, 2008; Savy, 2011; Poloni, 2011; Attar, 2013; Accorinti, 2014).

Il tema dell’eterogeneità dei servizi è invece ancora all’ordine del giorno. In vari Paesi europei, come anche l’Italia, nonostante si sia arrivati a delineare un iter di intervento comune alle diverse prassi territoriali, le singole realtà locali hanno ancora una forte eterogeneità di standard qualitativi, modelli di gestione, modalità di presa in carico, attori coinvolti. Tale elemento conduce ad evidenti implicazioni sia riguardo i livelli di garanzia dei minori sia rispetto alle risorse utilizzate e - come sottolinea Bertozzi (2018) - spesso questa disomogeneità rende difficile la valutazione dei servizi e accentua gli squilibri tra aree territoriali diverse.

Inoltre, a prescindere dalle eterogeneità che ancora caratterizzano il sistema dell’accoglienza, appare chiaro come esista ancora un gran divario tra l’intervento predisposto dai servizi, e le motivazioni/progettualità dei minori (Wernesjo, 2012; Rania, Migliorini, Sclavo, Cardinali, Lotti, 2015); si rileva inoltre come persista un approccio emergenziale, che pone in secondo piano l’attenzione ai processi di integrazione sociale, per i quali risulta necessario un ripensamento e un rafforzamento degli strumenti di accompagnamento a tali processi (Bertozzi, 2018).

Allo stesso modo, anche in caso di assenza di divergenze e divari tra gli interventi proposti dai servizi e le progettualità dei minori, alcune dimensioni su cui tanto i minori quanto gli operatori pongono attenzione sono caratterizzate da forti criticità.

L’aspetto riguardante l’immissione nel mondo del lavoro appare, infatti, critica sia in termini di carenza di un reale orientamento al mondo del lavoro, sia in termini di mancanza di equità nell’accesso a profili professionali altamente qualificati, sia in termini di scarsa efficacia dei dispositivi e dei progetti di inserimento nel mondo del lavoro, le cui cause sono da ritrovarsi anche in motivazioni di ordine sistemico legate alle condizioni precarie del mercato del lavoro (Burgio, Muscarà, 2018).

Altro aspetto essenziale appare quello della necessità di un sistema dell’accoglienza capace di coinvolgere in modo pro-attivo e partecipato i minori, a partire dall’importanza di comunicare ai MNA il loro essere possessori di diritti (inteso in quanto primo diritto), procedendo poi verso un processo partecipativo che sottolinea e promuove la libertà di scelta e la reale presa in carico dei progetti dei minori, laddove presenti (Biffi, Francia, Edling, 2018).

Tale questione si scontra con il tema dell’interdipendenza tra i diversi livelli del sistema di accoglienza e dal rischio di ambivalenza di alcune pratiche educative. Come delineato da Di Masi e Defrancisci, infatti (2018), le pratiche di micro-sistema, influenzate da fattori macrosistemici (il sistema normativo di riferimento), rischiano di far emergere processi che possono riprodurre meccanismi non solo di mancata partecipazione attiva, ma addirittura di infantilizzazione (e quindi di non promozione della propria agency) dei Minori Non Accompagnati.

L’interazione di fattori macro, meso e micro, e la necessità di porre attenzione ai processi di inclusione sociale, segnano la necessità di sviluppare e di osservare (al fine di individuarne gli elementi di replicabilità e le buone prassi che possono essere messe a sistema) progetti di interazione che vedono la società civile coinvolta nel processo di integrazione dei Minori Non Accompagnati, con uno specifico riferimento ai Minori Non Accompagnati che si avvicinano al compimento della maggiore età. Fanno parte di questi progetti le sperimentazioni dal basso che partono dal presupposto che i MNA sono portatori di bisogni potenzialmente contrastanti, che richiedono un intervento articolato basato sull’interazione di più attori (Triani, 2016): la riuscita del percorso di integrazione passa, in sostanza, attraverso la possibilità di costruire un clima di cooperazione e di condivisione, in grado di fornire una solida rete di appoggio (Simoneschi, 2017).

È così possibile coinvolgere le scuole/ le reti di scuole (Biagioli et al, 2015; Amoruso et al, 2015) e la cittadinanza (Zamarchi, 2014) attraverso progetti legati ad appartamenti di transizione per adulti (Malmsten, 2014), alla tutela volontaria o all’affido familiare (Segatto, Bonotto, Tria, 2018; Granata, 2018), allo scambio generazionale (Pavesi, 2018) o ad attività partecipative tramite l’utilizzo di linguaggi

espressivi (Audino, 2018). Rispetto a tali sperimentazioni Segatto, Bonotto e Tria (2018) sottolineano l’importanza di supportare i bisogni specifici delle famiglie di accoglienza, tramite mediatori culturali ed educatori, affinché l’esperienza familiare possa risultare positiva. In quanto tale, Granata ne evidenza la portata a livello emotivo ed educativo, oltre che a livello formativo e culturale, e il forte impatto sociale dovuto all’interazione di minori e neomaggiorenni con le famiglie del territorio e il tessuto sociale circostante.

Le esperienze legate alle arti e ai linguaggi espressivi contribuiscono alla costruzione identitaria, disponendosi - propone Audino - come strumenti in grado canalizzare l’esperienza della sofferenza e di lasciarla emergere attraverso linguaggi alternativi; costituiscono altresì occasioni per acquisire competenze linguistiche, relazionali, professionali utili per la riuscita di una piena integrazione. La nascita dal basso di iniziative del genere ha portato all’attenzione della ricerca la necessità di un’analisi sistematica dei progetti e delle attività che punteggiano i territori, al fine di effettuare delle valutazioni utili alla valorizzazione e al consolidamento dei dispositivi esistenti, alla strutturazione di linee operative e alla promozione di un approccio riflessivo tanto a livello micro quanto a quello meso e macro (Augelli, Lombi, Triani, 2018).

In questo senso si muove anche la ricerca di Pavesi (2018), volta ad analizzare i servizi, i progetti e le iniziative messi in atto in affiancamento o in sostituzione alla seconda accoglienza. I risultati mostrano come possano essere considerate pratiche innovative tutte quelle azioni svolte secondo logiche di rete e attraverso il coinvolgimento di attori diversi per mettere in comune risorse, competenze e conoscenze. Ancora, innovative sono quelle pratiche capaci di valorizzare tanto le risorse dei singoli quanto quelle dei gruppi, e di caratterizzarsi per la flessibilità delle modalità di intervento e per la personalizzazione dei progetti. Il quadro che ne emerge è quello di una vivacità delle organizzazioni pubbliche e del privato sociale nel trovare risposte innovative e sempre più capaci di promuovere il coinvolgimento attivo di MNA e cittadinanza, ponendo un’attenzione specifica a quelle dimensioni di contesto che possono rappresentare rischi o, al contrario, elementi di potenzialità e sviluppo. Pandolfi e Manca (2018) si muovono nell’ottica della costruzione di criteri e indicatori volti alla misurazione della qualità e dell’efficacia degli interventi, e pongono in essere il tema dell’implementazione di linee guida e dell’analisi delle competenze delle figure professionali.