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CAPITOLO 3 La ricerca

3.4 Inquadramento metodologico

3.4.1 Paradigma e approccio di ricerca

La necessità di muoversi entro l’ambito della ricerca educativa ha condotto ad una prima scelta di ordine epistemologico relativa alla porzione di realtà - ossia agli oggetti e ai contesti - entro cui focalizzare l’attenzione. Se infatti la ricerca educativa è quella particolare branca della ricerca che produce riflessioni su uno specifico oggetto sociale

rappresentato dal ‘fatto educativo’, i centri di accoglienza per Minori Non Accompagnati vengono qui intesi come contesti entro i quali, attraverso la relazione tra operatore e minore - si realizzano fatti educativi, che si caratterizzano per il loro carattere eventuale (Corsi, 1997) e sono basati su una precisa intenzionalità educativa. In questo senso le cifre che caratterizzano la relazione tra minore e operatore sono riconducibili ad alcuni elementi principali (cfr. Trinchero, 2004): asimmetria; focalizzazione sul concetto di educazione; interazione di educatore, educando e ambiente; strutturazione a partire dalla triade progetto-processo-cambiamento migliorativo.

Una seconda scelta metodologica riguarda l’individuazione del paradigma entro cui declinare la ricerca e l’approccio utilizzato per esplorare la porzione di realtà prescelta. Partendo dal presupposto che la ricerca educativa mira a far luce su una situazione educativa spazialmente, temporalmente e culturalmente situata, al fine di di studiare le condizioni di educabilità entro un dato contesto e a date condizioni (Trinchero, 2004), essa può svilupparsi secondo una duplice prospettiva: da una parte può essere condotta al fine di ottenere una conoscenza approfondita della situazione considerata nella sua unicità e specificità; dall’altra può essere guidata dall’intento di astrarre da quella situazione leggi e regole di portata più generale, applicabili anche a contesti diversi da quelli in cui sono state prodotte (Cohen, Manion, Morrison, 2018). Per quanto in entrambi i casi la ricerca sia utile, nell’immediato o in un secondo tempo, per far sì che chi è chiamato a compiere scelte in ambito educativo abbia tutti gli elementi necessari per prendere decisioni informate, guidate da un’attività conoscitiva sistemica e controllata, piuttosto che dal mero senso comune, ciascuno dei due scopi fa maggiormente riferimento ad uno specifico paradigma. Laddove infatti la ricerca volta al perseguimento di una conoscenza approfondita di una specifica situazione si inscrive all’interno del paradigma interpretativista, caratterizzato dall’utilizzo di metodologie e strumenti di tipo idiografico, qualitativo, quella che persegue l’individuazione di elementi di portata più generale si muove all’interno del paradigma post-positivista, che si avvale di metodologie e strumenti di tipo nomotetico (Schwartz & Jacobs, 1979).

La presente ricerca si inserisce all’interno del paradigma interpretativista, e fa proprio un approccio di tipo emic (Pike, 1967), ossia idiografico. Essa è dunque guidata dall’obiettivo di basare i suoi asserti conoscitivi su modalità relazionali centrate sul concetto di co-costruzione della realtà. In questo senso si prefigge di fare proprie - attraverso l’utilizzo di strumenti di tipo qualitativo - le categorie cognitive e il linguaggio dei soggetti coinvolti che - secondo una processualità di tipo bottom-up -

vengono utilizzate per produrre nuove conoscenze112, utili a generare una descrizione

della realtà (Hyman, 1954).

3.4.2 Gli oggetti della ricerca: le rappresentazioni sociali

La necessità propria della ricerca qualitativa di porre al centro della propria indagine le interpretazioni che i soggetti coinvolti danno della realtà113 (Sità, 2012)

richiede di focalizzare l’attenzione su oggetti discorsivi che possono essere padroneggiati dai soggetti e che sono in grado di permettere un affondo in termini di riflessività e l’apertura a forme di interpretazione non guidate da categorizzazioni preconcette.

Per tale motivo può essere utile focalizzare la propria attenzione sul costrutto di rappresentazione sociale. Questa può essere definita come:

‘una serie di concetti, asserti e spiegazioni che nascono nella vita di tutti i giorni, attraverso le comunicazioni interpersonali. Sono dei sistemi cognitivi, con una loro logica e un linguaggio attraverso i quali gli individui di una società costruiscono la realtà sociale, e che vengono create e ricreate dalle persone nel corso delle loro interazioni’ (Moscovici, Farr, 1984, p. 34).

Le rappresentazioni sociali, dunque, costituiscono delle categorie euristiche che aiutano ad orientarsi nel variegato e complesso mondo circostante (Arbric, 1984). La loro natura è multiforme, giacché fa riferimento a processi individuali ed interindividuali (o interguppi), in equilibrio dinamico tra loro (Doise, 1992), ed è caratterizzata da una essenziale dimensione culturale (Jaspars, Fraser, 1989). Di fatto le rappresentazioni sociali sono delle vere e proprie cornici orientanti che ciascuno utilizza per comprendere, organizzare ed interpretare la realtà, che si intrecciano in modi multiformi (Doise, 1993).

In questo senso appare importante sottolineare che le rappresentazioni sociali sono coinvolte nella dinamica di processi di diversa natura: la diffusione e l’assimilazione di conoscenze, lo sviluppo individuale e collettivo, i processi di definizione identitaria

112 La ricerca qualitativa, in sostanza, ricorre ad una forma di ‘osservazione ravvicinata del proprio oggetto di

studio’ (Clifford, 1997; tr. it. 1999, p. 73) declinata in modalità che - in ultima istanza - vengono plasmate dal contesto empirico, ‘in un registro che può essere etichettato come context sensitivity’ (Corbetta, 2011, p. 16).

113 Dal punto di vista epistemologico la scelta della ricerca qualitativa vuole fondarsi su un diverso

concetto di scientificità rispetto alla metodologia quantitativa, che si richiama a procedure “perfette”, in quando standardizzate e controllate. Le procedure “imperfette” della ricerca qualitativa intendono riuscire a dare una maggior apertura al proprio oggetto di indagine, pur garantendo la validità dei risultati tramite una riflessione sistematica da parte del ricercatore dei processi messi in atto, considerare la fallibilità insita nel processo di ricerca come stimolo a non irrigidirsi su risultati certi ma aperta, l’uso della verificabilità intersoggettiva dei processi di analisi e interpretazione (Sorzio, 2005).

personale e collettiva, le forme di espressione dei gruppi e le trasformazioni sociali. Sono dunque non solo ‘opinioni su o atteggiamenti verso, ma (…) teorie o branche della

conoscenza che vengono usate per la scoperta e l’organizzazione della realtà’ (Moscovici, Farr,

1989, p. 130). Tale definizione chiarisce e pone l’accento sull’importanza che le rappresentazioni sociali hanno sulla componente operativa dei soggetti. Esse infatti divengono dei veri e propri costrutti orientanti l’azione, capaci di indirizzare scelte e modalità operative di singoli, gruppi e organizzazioni. Per tale motivo la ricerca educativa che si muove entro il contesto dell’accoglienza dei Minori Non Accompagnati ha sovente utilizzato il costrutto di rappresentazione sociale per indagare specifiche porzioni di realtà, con specifico riferimento al rapporto tra teorie implicite e prassi/procedure.

La presente ricerca si inserisce dunque nel filone delle ricerche educative che hanno inteso indagare le rappresentazioni sociali proprie degli operatori dei centri di accoglienza dei Minori Non Accompagnati (Saglietti, 2012; Campart Cano, 2017; Cardellini, 2018; Di Masi, Segatto, Surian, 2018; Lorenzini, 2018).

Declinando il concetto teorico di rappresentazione sociale rispetto ai costrutti di infanzia e di competenza si può pensare che ogni attore coinvolto nei contesti dell’accoglienza (i minori, gli operatori, i coordinatori dei servizi, i volontari) abbia la propria personale idea di ciò che l’infanzia è e rappresenti, e di quelle che le competenze professionali dovrebbero essere. Ciascuna di queste idee - ossia ciascuna di queste rappresentazioni sociali - è il risultato di un mix di atteggiamenti, opinioni, credenze costruite sulla base delle esperienze, del contesto familiare e sociale, dell’educazione formale e non formale. Inoltre tali rappresentazioni possono risultare implicite o esplicite, e le diverse caratteristiche attribuite possono essere più o meno manifeste e/o consapevoli in ciascun attore coinvolto (ed interpellato).

Inoltre, date le implicanze operative delle rappresentazioni sociali - dal momento cioè che le azioni di ciascuno vengono intraprese in virtù o a causa di questo mix di atteggiamenti, opinioni, credenze, emozioni in relazione ad un oggetto sociale (Folgheraiter, 2009; Donati, Folgheraiter & Raineri, 2011) - si può immaginare che diverse rappresentazioni sociali di infanzia possano condurre a differenti scelte da parte di tutti gli attori coinvolti. Ciò infatti vale sia per i Minori Non Accompagnati - che organizzano la loro ‘nuova’ vita e progettano il futuro anche sulla loro personale idea di infanzia - così come per operatori sociali, educatori, coordinatori, che effettuano scelte educative in termini progettuali, di analisi ed interpretazione di bisogni/obiettivi educativi e delle azioni ad essi coordinate, e di costruzione di traiettorie di vita diverse.