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CAPITOLO 2- Revisione della letteratura scientifica

2.1 I Minori Non Accompagnati

2.1.1 Contesto di origine e motivazioni al viaggio

Le prime ricerche ad essersi sviluppate in Europa avevano come obiettivo quello di conoscere da vicino e più a fondo la realtà dei MNA, con uno specifico riferimento ai contesti di origine e ai motivi che li spingono ad abbandonare il loro Paese, nonché ai percorsi seguiti per giungere nel Paese di accoglienza. Tale necessità, al fine di comprendere quali strategie fosse necessario mettere in atto per rispondere ai loro bisogni (Campani, 2003).

Per quanto riguarda il contesto di origine, non è possibile individuare una tipologia unica di contesto sociale o familiare, per quanto possano esistere alcuni caratteri comuni o comunque più frequenti, quali la vita in ambienti rurali e la struttura allargata delle famiglie (Campani, Helander, 2001). Sicuramente la precarietà economica rappresenta un fattore prevalente, per quanto in alcuni casi i minori riportino condizioni di vita abbastanza agiate. Il tessuto familiare in cui comunque matura la decisione di emigrare è caratterizzato da una generale situazione di precarietà economica, a cui si accompagna spesso un disagio sociale, che tende a produrre una maturazione precoce degli adolescenti i quali, ancora molto giovani, intraprendono la via dell’emigrazione con la volontà di aiutare i familiari (Silva, 2003). Le condizioni di vita nel Paese di origine e la spinta al viaggio, però, sono forse uno degli elementi che maggiormente si sono trasformati nel corso degli anni. Di fronte ad una partenza motivata prevalentemente dal desiderio di migliorare la condizione economica familiare, in una fase iniziale, -che solo in parte era dovuta al desiderio di fuggire da guerre e condizioni ambientali precarie (Melossi, Giovannetti, 2002) -, si è assistito successivamente ad un aumento dei minori in fuga da condizioni politiche sempre più instabili in presenza di una disgregazione della vita civile.

Ancora, il viaggio si sta sempre più configurando come risposta ad un’inquietudine generazionale, come un rito di passaggio verso l’età adulta (Quiroga, Chagas, Palacin, 2018), che ha come modello gli adulti migrati e che si nutre di relazioni a distanza con i pari (Bertozzi, 2018).

Rispetto a tale eterogeneità di motivi, Helfter (2010) propone una classificazione dei MNA sulla base delle motivazioni al viaggio e dei percorsi che svilupperanno nei Paesi di arrivo. Dall’intreccio di tali assi è possibile individuare minori rifugiati, affidati, ricongiunti, sfruttati, prescelti, conquistatori. A prescindere dalla specificità di classificazioni del genere, è però possibile immaginare di riuscire ad identificare perlomeno due profili diversi, essenziali per guidare l’accoglienza e l’intervento e per prefigurare scenari di inclusione: Surian, Segatto e Di Masi (2018) propongono infatti una distinzione tra MNA che partono con un progetto volto al miglioramento della propria condizione economica e quella familiare attraverso il lavoro, e coloro che partono senza un vero progetto migratorio, con un conseguente minor grado di motivazione e di autonomia individuale.

2.1.2 MNA in fuga

L’arrivo nel Paese ospite e l’ingresso nel sistema dell’accoglienza - quale esso sia - pone idealmente i MNA dinanzi ad un bivio, rappresentato da un lato dall’ingresso nel sistema dell’accoglienza, dall’altro dalla detenzione, dal rimpatrio o dalla fuga, con il conseguente rischio di ingresso nel circuito della criminalità. La ricerca scientifica, in questo senso, ha osservato come ad oggi esistano ancora casi in cui i MNA, una volta arrivati, sono portati in prigione, subendo un trattamento e condanne simili agli adulti, spesso senza assistenza di un tutore legale (Campart Cano, 2017). Si rilevano conseguenze psicologiche e traumi in conseguenza a tali esperienze (Silva, 2003; Bastianoni, 2010). Il timore della detenzione o del rimpatrio assistito, verso cui alcuni Paesi stanno sempre più spingendo (Husha, Orlandi, Testore, 2013; Campart Cano, 2017), porta i MNA alla fuga preventiva e più frequente dalle strutture e dai centri di prima o seconda accoglienza. Tali episodi hanno raggiunto nel tempo numeri sempre più rilevanti (Ismu, 2017), e sono ascrivibili a diverse motivazioni: vi sono infatti coloro che scappano perché i percorsi offerti dal sistema dell’accoglienza non rispondono alle loro aspettative ed esigenze (economiche e lavorative, ad esempio) (Bertozzi, 2018); quelli per i quali le regole delle strutture sono troppo rigide; o ancora perché non esiste un reale coinvolgimento degli stessi al progetto in cui vengono inseriti (Bosisio, 2011). I minori scappano anche perché desiderano raggiungere parenti o altre figure di riferimento in altri Paesi europei, o a causa di timori legati al possibile mancato riconoscimento dello status. Campani e Helander (2013) sottolineano infatti come la fuga e l’esperienza dell’illegalità possano avvenire non solo all’arrivo, prima di entrare nel circuito dell’accoglienza, ma anche durante il percorso, per sospensione del permesso di soggiorno, o per fuga, causata dal respingimento della domanda di asilo

e finanche solo dal timore di vedere respinta la propria domanda. La fuga di fatto espone i MNA ad una maggior probabilità di sfruttamento da parte delle reti criminali (Bouchard, 1995; Segre, 1994; Giovannetti, 2000; Valeri, 2000; Campani e Lapov, 2002; Brancaleti, Saglietti, 2011) e rende difficile un loro recupero, che necessita di un grande lavoro di educativa di strada e della presenza di mediatori interculturali in centri a bassa soglia, al fine di offrire spazi di ascolto per il reinserimento (Bertozzi, 2018).

2.1.3 Bisogni, progetti, aspettative, realtà

I MNA che seguono il loro percorso nel sistema dell’accoglienza si trovano quotidianamente ad affrontare sfide specifiche connesse al rapporto tra il progetto migratorio, i loro bisogni e lo stato di realtà. In questo senso Montgomery e Roy (2003) propongono il concetto di identità specifica del MNA rifugiato, che è connessa a diverse dimensioni, quali l’esistenza o meno di una protezione, la necessità di venire a patti con la perdita della madre patria, il nuovo status di consumatore passivo di servizi, invece che di persona la cui precedente condizione era di vita attiva, i mutamenti nell’immagine stessa che il minore ha di sé. Tale immagine ha indubbiamente a che fare con l’insieme complesso dei bisogni di questo gruppo di minori, che necessitano innanzitutto di confrontarsi allo stesso tempo con il passato, con il presente, con il futuro (Hopkins, Hill, 2012). I bisogni materiali, e quelli immateriali, in questo senso si sovrappongono, e il loro difficile soddisfacimento contribuisce alla costruzione di una condizione di precarietà rispetto all’intero processo di inserimento (Silva, 2004). Di fatto, l’effettiva discrepanza tra bisogni, aspettative e realtà (Valtolina, 2011) deve confrontarsi con la necessità di un precoce passaggio all’età adulta, dovuto in parte al processo di adultizzazione iniziato già a partire dal Paese di accoglienza (Traverso, 2018) e proseguito poi durante il viaggio. Appare chiaro come il passaggio all’età adulta sia comunque segnato da multiple transizioni, che riguardano ogni aspetto della vita dei MNA: la dimensione dell’educazione, della formazione e dello sviluppo di competenze, del lavoro, dello sviluppo di relazioni sociali (Burnet e Peel, 2001; Roberts et al, 2017). La transizione alla maggiore età, che procede dunque in parallelo su aspetti diversi (Surian, Comini, Menini, Pietropolli, 2018), necessita di un’attenzione specifica in ognuno di questi ambiti.

2.1.4 Relazioni sociali

I rapporti che i MNA intessono nel Paese di accoglienza rappresentano un tema cruciale per la ricerca scientifica. Tale importanza è dovuta al ruolo che le relazioni

amicali e informali hanno nel processo di inclusione ed integrazione nella società ospite. Relazione però non significa esclusivamente rapporto con la società di accoglienza, ma anche rapporto con la propria comunità culturale e - in modo specifico - con la propria famiglia, vicina o lontana che sia.

Si rileva come tutti i minori che ne hanno la possibilità mantengono relazioni con il Paese di origine (Silva, 2003), coltivando più o meno intensamente desideri di riunificazione familiare e di ritorno al Paese d’origine (Stefanini, 2002). Essi ricercano comunque contatti con membri della società ospite, riportando però tale passaggio come complesso e spesso di difficile attuazione, e comunque evidenziando vissuti ed esperienze di discriminazione o di esclusione a vari livelli (Cardellini, 2018). In questo senso appaiono essenziali progetti di socializzazione volti all’incontro tra MNA e componenti della collettività (Granata, 2018).

La gran parte delle relazioni che intrattengono, dunque, si sviluppa più facilmente con membri della comunità di provenienza. Alcuni minori sono in contatto con associazioni di volontariato o di immigrati provenienti dal Paese di origine, che possono essere a carattere anche religioso (Campani, Meyer, 2003). Le catene migratorie dunque acquisiscono anche per i MNA un ruolo centrale (Williamson, 1998), pur non garantendo necessariamente il soddisfacimento di bisogni immateriali e le risorse volte alla maturazione e alla crescita personale (Sbraccia e Scivoletto, 2004; De Stefani e Butticci, 2005; Silva e Moyerson, 2006; Bichi, 2008; Zamarchi, 2014).

La diffusione dei social media sta però depotenziando il valore e la rilevanza della catena migratoria, in favore della promozione delle catene amicali (Bertozzi, 2018), le stesse in grado di favorire la spinta al viaggio.

2.1.5 Educazione, formazione, lavoro

La dimensione dell’educazione, della scolarizzazione, della formazione anche professionale e dell’immissione nel mondo del lavoro rappresenta anch’essa un nodo cruciale. In qualsiasi Paese europeo i Minori Non Accompagnati sono inseriti in un iter formativo, pur presentando differenze tra Paesi che inseriscono i minori in classi per minori cittadini del Paese ospite e Paesi in cui l’alfabetizzazione segue un percorso parallelo. La formazione rientra in ogni caso nel progetto educativo, pur rilevando numerose criticità.

La prima è rappresentata dal fatto che, per coloro che hanno seguito un iter formativo nel Paese di origine, è difficile il riconoscimento del percorso compiuto (Silva, 2003), e appare scarsa la valorizzazione delle competenze acquisite. Allo stesso tempo, appare complesso l’inserimento scolastico di minori che hanno un basso tasso

di scolarizzazione. In questo senso le storie dei minori riportano spesso episodi di abbandono scolastico precedente all’esperienza migratoria (Silva, 2003). Altro elemento di criticità è rappresentato dal fatto che spesso i MNA non percepiscono l’importanza di un percorso di formazione scolastica, pressati dall’urgenza di trovare un lavoro, e contemplano esclusivamente l’idea di frequentare la scuola per apprendere la lingua veicolare del Paese d’accoglienza (Ayotte, 2000; Amoruso, D’Agostino, Jaralla, 2015).

Rispetto all’urgenza di lavorare, inoltre, i minori mostrano spesso una scarsa e poco realistica capacità progettuale in relazione alle scelte future scelte lavorative. Inoltre, per quanto alcuni abbiano desideri potenzialmente realizzabili, la difficoltà nel perseguire tali progetti è insita nella lunga preparazione che tali professioni richiedono (Burgio, Muscarà, 2018) e cozza con la necessità che essi diventino autonomi dal punto di vista economico a partire dal diciottesimo anno di età. Tale questione riguarda non solo coloro che immaginano di impegnarsi in professioni di tipo ‘intellettuale’, ma anche coloro che si prefigurano lavori manuali che - per quanto più facilmente raggiungibili - richiedono comunque una formazione specifica.

2.1.6 Dimensioni psicologiche: fragilità e resilienza

L’evoluzione dei flussi migratori, l’aumento di incidenza di minori richiedenti protezione internazionale così come di quelli provenienti da Paesi in guerra -o comunque con situazioni politiche instabili-; il peggioramento delle condizioni di viaggi che divengono sempre più pericolosi e lunghi contribuiscono e generare condizioni di indeterminatezza e di necessità di un forte adattamento psicologico alla società di accoglienza (Yule, 1998), all’aumento di vissuti traumatici e di sradicamento, con una conseguente condizione di fragilità (Bertozzi, 2018) all’arrivo dei minori e nel corso del processo di adultizzazione. Le conseguenze dalla separazione dalla propria famiglia e dalla vita in un Paese altro possono essere multiple ed essere rappresentate da sintomi psicosomatici, depressione, disturbo da stress post-traumatico, psicosi, insonnia, disturbi dell’attenzione, aggressività (Sariola, 1996; Sourander, 1998; Chiarolanza, Ardone, 2008; Monacelli, Fruggeri, Carlotti, 2009; Bastianoni, Taurino, Fratini, 2009; Fratini, Bastianoni, Zullo, Taurino, 2013). Tali condizioni richiamano la necessità un sostegno psicologico utile a riorganizzare i propri vissuti legati ad esperienze traumatiche (Segneri, Gatta, 2017), al fine di ridurre il rischio di difficoltà nell’adattamento o frammentazione dell’identità (Bastianoni, Taurino, 2012).

La ricerca in ambito psico-pedagogico ha però sottolineato come la maggior vulnerabilità e fragilità non sia l’unica dimensione che può caratterizzare e

contraddistinguere i Minori Non Accompagnati, che per loro stessa ‘condizione’ vengono percepiti come ‘carenti’ e caratterizzati da ‘minorità’. Come indicato da Dal Lago (2010) e ben sottolineato da Granata (2018), la prospettiva della carenza insita nella definizione stessa di minore - e a maggior ragione quella di Minore Non Accompagnato - rischia di far percepire i MNA come mero oggetto di tutela e cura, senza tenere in considerazione le risorse di cui sono portatori. Ponendosi nella prospettiva della resilienza appare invece possibile valorizzare quelle competenze maturate e quelle risorse personali e psicologiche (Walsh, 2008; Bastianoni, Sullo, 2012; Monacelli, Fruggeri, 2012; Hopkins, Hill, 2013) necessarie per una compiuta transizione all’età adulta (Surian, Comini, Menini, Pietropolli, 2018). Ancora, accanto ad una maggior vulnerabilità è possibile trovare anche una maggior motivazione (Watters, 2008; Pastoor, 2015), che rende i MNA capaci di essere essi stessi agenti attivi di cambiamento per la propria esistenza (Eide, Hjern, 2013). Tale resilienza è visibile in prima istanza, ad esempio, nella non passività durante il percorso di appropriazione della nuova cultura. I MNA capaci di esprimere motivazione, resilienza, riescono infatti anche a manipolare i codici culturali, classificando le loro appartenenze secondo i propri interessi e le proprie istanze. (Chiarolanza, Ardone, 2003).