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CAPITOLO 5 Discussione dei risultati

5.2 La professionalità e le competenze dell’operatore

L’esplorazione della domanda di ricerca relativa alle competenze professionali e alle esperienze formative necessarie per lavorare con i Minori Non Accompagnati ha condotto all’emersione di tematiche non strettamente inerenti la domanda di ricerca, ma ad essa di fatto intimamente collegate.

5.2.1 La formazione iniziale e continua

Il tema della formazione professionale degli operatori emerge in modo chiaro dai partecipanti alla ricerca, sia nella veste di formazione iniziale che in quella di formazione in itinere, a sottolineare la necessità e l’importanza di una continuità e di

un aggiornamento costante, al fine di acquisire non solo nuove conoscenze, ma anche di confrontarsi in equipe riguardo alle prassi.

Per quanto riguarda la formazione iniziale viene sottolineata l’importanza di una formazione tecnico-specialistica, suggerita dagli operatori come temporalmente successiva e più approfondita/specifica, dal punto di vista dei contenuti, rispetto alla formazione universitaria. Per quanto successiva alla formazione accademica, gli operatori ritengono che tale momento formativo debba comunque precedere l’ingresso lavorativo nei servizi di accoglienza.

Il tirocinio iniziale nei servizi per MNA, infine, viene visto da tutti gli operatori come occasione importante per l’ acquisizione di conoscenze sul campo e la sperimentazione di competenze specifiche. In questo senso una chiara progettualità degli obiettivi formativi, inerenti tale esperienza, consiglia l’individuazione di tempistiche chiare (un tempo sufficientemente prolungato, una gradualità nell’accesso a tutte le esperienze che si possono fare in struttura) e la costruzione di un’esperienza di tirocinio che consti tanto della possibilità di osservare gli operatori, compresi i momenti di criticità e di difficoltà, quanto della possibilità di accedere alla documentazione e di effettuare esperienze pratiche in modo gradualmente sempre più autonomo. Elemento di interesse è rappresentato dall’idea, riportata da molti operatori spagnoli, che l’inserimento del tirocinante rappresenti un’esperienza che deve caratterizzarsi per l’assenza della pressione di dover ‘fare subito’. Tale approccio sembra trovare analogia con la situazione dei minori.

Grande importanza viene attribuita a un percorso personale di supervisione e psicologico che sostenga l’operatore, così come esperienze di vita che lo avvicinino ad altre culture. La possibilità di una supervisione viene infatti percepita dagli operatori come essenziale non solo per l’accompagnamento all’esperienza di tirocinio, ma anche per la formazione continua degli operatori. In questo senso appare importante non solo la possibilità di poter effettuare supervisione con figure specifiche (psicologo o etnopsicologo, ad esempio), ma assume rilevanza anche il ruolo del team o dell’equipe multidisciplinare, per garantire una condivisione di conoscenze e competenze. Tale possibilità viene vista come occasione di formazione intersoggettiva alla pari non solo per la possibilità di confrontarsi con operatori che hanno accumulato maggiori esperienze, ma anche di trovare nel gruppo l’insieme delle conoscenze e delle competenze che sono necessarie all’intervento, nella consapevolezza che nessun operatore possa racchiudere in sé tutte le competenze e le conoscenze utili.

Altri elementi critici emergenti dagli operatori riguardano il fatto - con riferimento specifico a ciò che è emerso dagli operatori italiani - che gli accompagnamenti esterni

(per il disbrigo di pratiche burocratiche o sanitarie) e i momenti di gioco, vengono percepiti come facilmente delegabili a tirocinanti e volontari che possono farsene carico in autonomia. Tale elemento si scontra con l’osservazione, portata proprio dagli operatori italiani, che è proprio in tali momenti che si creano gli spazi nei quali l’infanzia emerge. Sono dunque in questo senso momenti preziosi, che potrebbero connotarsi perciò per una chiara intenzionalità educativa, e come tali potrebbero caratterizzarsi per un lavoro (anche progettato all’interno di un tirocinio) di individuazione di obiettivi e finalità.

5.2.2 Le competenze

Per quanto riguarda il tema delle competenze è da notarsi come le conoscenze ritenute essenziali per la professionalità degli operatori che lavorano con i Minori Non Accompagnati non rappresentino un’area particolarmente rilevante. Tuttavia, le conoscenze delineate appaiono specifiche e, al contempo, capaci di coprire le diverse dimensioni necessarie per l’intervento. Sono infatti riportate conoscenze di tipo legislativo, geopolitico e relative agli aspetti culturali dei Paesi di provenienza dei minori, ma anche conoscenze relative alle varie ‘tipologie’ di minori (i vari status che possono acquisire, le caratteristiche in base alle età) e conoscenze di tipo educativo.

Relativamente agli atteggiamenti degli operatori che svolgono questo lavoro vengono evidenziati la motivazione, la disposizione all’impegno personale, alla consapevolezza, al controllo di sé e all’autocritica, al desiderio continuo di apprendere, oltre che un atteggiamento proattivo e positivo e - non ultima - l’empatia.

Per quel che riguarda le abilità, emergono in modo chiaro l’importanza di possedere capacità specifiche riguardanti la progettazione, la revisione e riprogettazione in itinere di esperienze educative, in modo flessibile, tenendo conto di tutti gli attori e del contesto di riferimento. Infine, di rilievo appare la capacità di risolvere problemi in autonomia, portando avanti in contemporanea più filoni, che va di pari passo con la capacità essenziale di confrontarsi a livello interpersonale e di lavorare in team.

Appare interessante notare come tale set di conoscenze, capacità e atteggiamenti non si connoti in modo specifico né rispetto al tema dell’intervento di stampo educativo con i minori né in chiave interculturale. Non emerge perciò una chiara caratterizzazione in un senso e/o nell’altro, e tale elemento pare in contrasto con i bisogni di cui gli operatori riconoscono essere portatori i ragazzi, caratterizzati tanto in un senso quanto nell’altro.

Si può allora ipotizzare - come occasione di sviluppo professionale delle equipe che lavorano nei centri per MNA - un lavoro di individuazione di set di competenze

trasversali che vengono ritenute utili per l’intervento educativo, a prescindere dalla tipologia di utenza. A tale fase preliminare potrebbe fare seguito un lavoro di costruzione di rubriche di competenze specifiche legate alle caratteristiche di cui sono portatori i Minori Non Accompagnati, che è necessario mettere in campo per assolvere al mandato relativo alla loro utenza e al loro servizio. (Maccario, 2005).

Tale processo può potenzialmente condurre alla costruzione di rubriche diverse, a testimonianza del fatto che i servizi - per quanto rivolti alla stessa utenza - si differenziano per forme di organizzazione, professionalità coinvolte, tipologie di interventi offerti (Portera, 2013).

5.2.3 La relazione educativa

L’analisi delle opinioni degli operatori rispetto alla relazione educativa si proponeva di esplorare l’applicazione di quanto espresso in forma dichiarativa rispetto alla professionalità necessarie per chi opera con i Minori Non Accompagnati. Rispetto a quanto analizzato è interessante notare che gli operatori attribuiscono importanza, nella costruzione della relazione educativa, alla dimensione dell’affettività, della cura, dell’affetto. Sono queste infatti dimensioni maggiormente legate all’infanzia, che paiono quindi emergere comunque anche dagli operatori che dichiarano di non riconoscere o di far fatica a riconoscere la dimensione dell’infanzia di cui sono portatori i Minori Non Accompagnati. Sembra quindi che - per quanto in maniera implicita - il tema dell’infanzia emerga e possa trovare spazio.

Altro tema di rilievo è rappresentato dalla consapevolezza, da parte degli operatori, della difficoltà e della ‘non autenticità’ di una relazione che si costruisce in caso di adulti che si dichiarano minori. Viene anche notato il rischio di una potenziale necessità, percepita da parte dei minori, di adeguarsi in modo artificioso alla relazione educativa, vista come uno degli ulteriori compiti da affrontare e in cui è necessario mostrarsi ‘capaci’: il rischio è l’assenza di autenticità e - dunque - una mancata caratterizzazione educativa della relazione, che diviene tale solo quando educatore ed educando sono nella possibilità e nella libertà di essere se stessi, pur nel rispetto reciproco dei ruoli.

E’ pur vero che questo atteggiamento rischia di essere indotto. Alcuni operatori individuano infatti non tanto elementi facilitanti per la costruzione della relazione educativa da parte degli utenti, e sembrano porre piuttosto ‘condizioni’, prerequisiti, caratteristiche degli utenti che possano consentire lo stabilirsi di una relazione educativa. Secondo alcuni operatori dunque è possibile costruire una relazione