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Il valore dell’export italiano

Capitolo 3 – LA FILIERA VITIVINICOLA ITALIANA

3.1 Panoramica

3.1.3 Il valore dell’export italiano

Dopo aver fornito alcuni dati sulle superfici a vigneto e la produzione di vino, vediamo una delle destinazioni più importanti per questo prodotto ovvero le potenzialità fornite dalle esportazioni.

Il settore vitivinicolo italiano è piuttosto articolato e nell’ultimo quinquennio, pur registrando una contrazione nel volume prodotto, ha superato la crisi registrata a livello di export nel 2003, grazie all’aumento del valore e del volume delle spedizioni effettuate verso l’estero.

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Figura 21 - L’export di vino italiano, valori, quantità e variazione decennale (Anni 2000-2010).

Fonte: Pantini e Piccoli (2011)

Mentre il 2011 ha appuntato performance record in quanto a vendite estere superando i 24 milioni di ettolitri, con un fatturato di 4,4 miliardi di Euro (+9,1% nei confronti del 2010), i primi mesi del 2012 non hanno riprodotto i risultati sperati. Nei mesi di gennaio e febbraio, infatti, l’export è sceso del 5,1% in volume.

La prospettiva è ancor meno confortante se pensiamo che negli Usa, primo mercato per le etichette italiane, esse hanno annotato una contrazione del 3,1% contro un aumento del 22% nel numero totale di esportazioni.

Parallelamente al calo registrato nei volumi di vino esportato, l’aumento nel prezzo dei vini italiani sta consentendo un buon livello nel fatturato registrato oltreconfine.

I fenomeni sopra descritti hanno risentito, nell’ultimo anno, dei problemi associati alla scarsità di vendemmia che nel 2011 è stata la peggiore degli ultimi 6 decenni (40,6 milioni di ettolitri), generando una contrazione dell’offerta ed un aumento dei prezzi di vendita, in particolare dei bianchi e rossi a bassa gradazione (Filannino, 2012).

La complessità dell’ambiente competitivo richiede quindi, campagne di marketing più complesse ed incisive per gli anni a venire, che evidenzino la qualità e l’immagine dei nostri prodotti oltre alla partnership strategica tra aziende multi-settore.

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Il vino italiano gode infatti di un’ottima immagine a livello internazionale oltre che di un forte potenziale futuro, essendo associato ai campi cui il consumatore attribuisce un valore più elevato come il food, la moda, il design e l’architettura, compartimenti in cui la Penisola ricopre superiorità mondiale.

“Fare sistema” diviene quindi un obiettivo di primaria importanza, sfruttando il valore aggiunto dato dalla sinergia tra eccellenze italiane, soprattutto in ottica di scambi con l’estero.

Tutto ciò investendo in innovazione e qualità.

La classifica presente in Tabella n.21, ricalca una graduatoria delle imprese italiane in base alla quota di fatturato e alla percentuale di esportazioni ultimate nel periodo 2008- 2009.

Tabella 21 - Top imprese italiane nel settore vitivinicolo, fatturato e quota di export (Anni 2008-2009).

Top imprese Fatturato (mln €) Export (% fatturato)

1. GIV 304 70 %

2. Caviro 249 13 %

3. Mezzacorona 146 72 %

4. Cantine Riunite /CIV 135 n.d.

5. Cavit 129 73 % 6. Antinori 126 58 % 7. Martini 125 n.d. 8. Giordano 113 45 % 9. Zonin 91 50 % 10. Santa Margherita 80 57 %

Fonte: elaborazione personale su dati Mediobanca

Considerata l’alta polverizzazione aziendale esistente nel Belpaese, non sorprende che il fatturato si discosti di molto rispetto ai grandi gruppi internazionali.

Prendiamo ad esempio il Gruppo Italiano Vini (GIV), cooperativa vitivinicola di prestigio che ha toccato nell’intervallo 2008/2009, un valore superiore ai 300 milioni di Euro.

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Nello stesso 2009, Cantine Riunite - CIV è divenuta socia di GIV, dando luogo ad un giro d'affari di 500 milioni di Euro nel 2011, in aumento dell’11,4% rispetto al 2010 (Teatro Naturale, 2012).

Valutando i dati dello scorso anno, Caviro rimane in seconda posizione, aggirandosi intorno ai 250 milioni di Euro (+0,3% sul 2010).

Sembra quindi che la forma cooperativa sia quella privilegiata dai grandi gruppi operanti nel settore, fornendo i maggiori risultati, pur distanziandosi di molto rispetto a big statunitensi58, francesi ed australiani (tra questi Treasury Wine Estate, nata dalla scissione di Foster’s Group, con una quota di 1.063 mln di Euro) (dati Mediobanca elaborati da Pantini e Piccoli, 2011).

Consideriamo che le sole vendite di Champagne e vino del gruppo LVMH59, hanno fatturato, nel 2010, 1,664 miliardi di Euro (+19% sul 2009) saliti a 1,782 nel 2011 (Baccaglio, 2012). Anche in questo caso, si registra un picco di vendite nei mercati asiatici - commerci che invece rimangono stabili in Europa - rappresentando quasi un terzo (32%) del totale.

L’orientamento all’esportazione si conferma piuttosto vigoroso nel corso del recente 2011 (in particolare per le aziende toscane, che vi realizzano il 62,7% del fatturato) visto che Cantine Riunite - GIV ne fa uso per il 60,7% delle vendite, oscillando intorno a percentuali che confermano le tendenze mantenute negli ultimi anni da big italiani quali Cavit, Antinori, Zonin. Si pensi che il 93% del fatturato conseguito da Fratelli Martini nel 2011 (pari a 150 milioni di Euro), deriva proprio dai commerci con l’estero (Teatro Naturale, 2012).

In controtendenza si dimostra Caviro (produttore di vini daily in brik quale Tavernello, ma anche di prodotti premium e distillati), computando una percentuale del 20,8% (Teatro Naturale, 2012).

D’altra parte, la crisi registrata negli ultimi anni e il fenomeno dilagante della globalizzazione, hanno spinto moltissimi produttori italiani ad indirizzare le proprie

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Quali Constellation Brand, il cui fatturato solamente fornito dal vino, nel 2009/2010 è pari a 2.324 milioni di Euro.

59 LVMH (Louis Vuitton Moët Hennessy), è uno dei più grandi gruppi specializzati nei beni di lusso.

Nato nel 1987 dalla fusione di due tra le più elitarie firme della moda e del mondo degli alcolici, esso ha sfiorato, nel 2011, i 23,7 miliardi di Euro di fatturato. Attualmente, la holding vanta un portafoglio prodotti costituito da oltre 60 brand, appartenenti a molteplici categorie: gioielli ed orologi, moda, profumi, spirits e vini, etc. Tra questi ultimi ricordiamo i prestigiosi Champagne Moët & Chandon, Dom Pèrignon, Krug, la vodka Belvedere, i vini Newton Vineyard e quelli fermi Terrazas de los Andes.

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vendite verso mercati esteri. Ciò è mosso anche dalla diminuzione dei consumi registrata nella Penisola e dai nuovi sbocchi identificati nei paesi del BRIC, in particolare grazie alle richieste dei “nuovi ricchi”.

Nel fortificare l’export diventa fondamentale - come sostiene il presidente di Federvini Lamberto Vallarino Gancia - il supporto delle istituzioni e degli accordi bilaterali tra l’Italia ed i partner commerciali. Divengono così basilari i negoziati sostenuti con la Russia, al fine di semplificare le procedure burocratiche o le trattazioni con il Brasile, per ridurre l’imposizione fiscale. Tra i paesi in via di sviluppo Cina ed India sono, oltre che importatrici di bevande alcoliche, realizzatrici di alcolici e distillati e quindi bisogna prestare attenzione alle protezioni doganali che potrebbero imporre all’ingresso di prodotti extra-territoriali (Dell’Orefice, 2012).

Se da un lato, tutto questo movimento ha consentito l’allargamento di nuove frontiere e possibilità, dall’altro ha fatto emergere alcune problematiche. Prima fra tutte la conoscenza della lingua inglese, per l’Italia non ancora padronanza dell’intera popolazione.

Lo standard EF EPI (English Proficiency Index), che stima la padronanza della idioma inglese tra la popolazione attiva, posiziona l’Italia al ventitreesimo posto in una graduatoria comprendente 44 paesi di tutto il mondo, molto lontana dalle nazioni del Nord Europa. Il Belpaese conta un “basso livello di competenza” al pari di Costa Rica, Spagna e componenti del BRIC, confermando il suo forte attaccamento alla lingua madre. D’altro canto, sempre secondo la ricerca, l’uso di espressioni in lingua anglosassone nel gergo comune è percepito dal cittadino italiano come un elemento di modernizzazione, confermando attrazione per il tema in questione. Sembra insomma che si sia capito che il fatto di eliminare l’handicap che ci allontana dai paesi più avanzati, sia una prerogativa ormai irrinunciabile (Education First, 2011).

Conoscere le diverse lingue nonché competitor e culture degli stati in cui si va ad operare, diventa indispensabile per potersi muovere con efficienza e quindi totalizzare risultati positivi.

Un ruolo chiave per le imprese che decidono di puntare sui canali stranieri, diventa quello rivestito dall’export manager, individuo energico e curioso, in grado di far da tramite tra le varie aziende e mercati.

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Parallelamente, per le imprese italiane urge l’imperativo di fortificare i propri marchi a livello sopranazionale, al fine di promuovere e rendere riconoscibile la qualità del Made in Italy sui mercati di interesse. La varietà ed il carattere distintivo dei nostri vini sono ottime basi di partenza per affrontare con successo la crisi, grazie alla conquista dei mercati internazionali, tramite politiche market oriented.