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Output innovativi di conoscenza: brevetti e pubblicazioni scientifiche

Capitolo 1 – PANORAMICA SULL’INNOVAZIONE

1.4 Output innovativi di conoscenza: brevetti e pubblicazioni scientifiche

Un ulteriore modo per misurare il tasso di creazione di nuova conoscenza è quello di osservare i risultati in termini di brevetti e pubblicazioni scientifiche.

In letteratura (Crespi, 2008) la spesa in R&S è di frequente correlata positivamente al numero di brevetti, da cui deriva l’opportunità di utilizzare questi indicatori per valutare la capacità innovativa di un paese17, piuttosto che l’abilità che ha un’impresa nel padroneggiare una certa tecnologia (Malerba, 2000).

L’art. 45 del C.P.I. (Codice della Proprietà Industriale), in base al Decreto Legislativo n.30/2005, determina che «possono costituire oggetto di brevetto per invenzione, le invenzioni18 nuove che implicano un’attività inventiva e sono atte ad avere un’applicazione industriale» (Giudici e Sena, 2011).

Questo formidabile strumento di tutela conferisce al proprietario, per un certo periodo di tempo, un diritto esclusivo di monopolio in relazione ad un’invenzione nuova (ad esempio un nuovo prodotto o processo) suscettibile di sfruttamento commerciale. Ciò gli consente di proteggere la propria creazione da chi volesse in qualche modo

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L’importanza in materia di proprietà industriale, ha cominciato a prender forma nel 1968, anno in cui l’ONU ha fondato la World Intellectual Property Organization, avvenimento che ha contribuito a ritenere la Proprietà Intellettuale un diritto di proprietà reale (Clerico, 2006). Questa forma di output creativo, assume principalmente tre forme: brevetto, copyright e marchio commerciale.

18 Giudici e Sena (2011) ci ricordano come non siano da considerarsi invenzioni: «le scoperte, le teorie

scientifiche e i metodi matematici; i piani, i principi ed i metodi per attività intellettuali, per gioco o per attività commerciale ed i programmi di elaboratore; le presentazioni di informazioni».

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appropriarsene indebitamente utilizzandone l’idea, realizzandola o mettendola in commercio. Il brevetto fornisce così un spinta ad innovare (Malerba, 2000).

Il titolare potrà successivamente avvalersi della facoltà di concedere in licenza a terzi (comunemente sotto compenso di royalties) il proprio brevetto e quindi sfruttare una posizione dominante.

Mentre da principio potevano costituire oggetto di tutela le mere invenzioni industriali, oggi sono compresi i modelli di utilità (ossia un processo di miglioramento di un oggetto esistente, quale una maggiore facilità d’uso), quelli ornamentali, le innovative specie vegetali (Baldi, 2005).19 Tra queste ultime potremmo citare la famosa mela Pink Lady®, frutto dell’ibridazione tra la Lady Williams e la Golden Delicious, coltivata su licenza in tutto il mondo.

Le tipologie brevettuali di tutela del patrimonio intellettuale sono essenzialmente di due tipi: nazionali od internazionali. Poiché non esistono vincoli di priorità o legislativi dell’una sull’altra, la scelta dipende essenzialmente dalla tipologia di invenzione in questione ed in particolare dalla concorrenza e dal mercato nel quale di intende operare (Barbieri, 2007).

Nel nostro Paese, l’ente preposto all’accettazione e registrazione è l’UIBM (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi) - in alternativa, essa può esser effettuata presso un Ufficio Regionale istituito da un gruppo di Paesi20 - il quale provvederà, in conclusione del procedimento, alla pubblicazione sul Bollettino Ufficiale.

Qualora si rispettino le imposizioni dello Stato (ovvero pagamento delle tasse dovute al mantenimento in vita della concessione), organismo di tutela dell’attività intellettuale, la registrazione resta valida per due decenni dalla data di deposito nel caso delle invenzioni, 25 anni per i modelli ornamentali e 10 per quelli di utilità (Baldi, 2005). Il nuovo modello o invenzione affinché sia registrabile, deve rispondere a quattro requisiti (Baldi, 2005): primo fra tutti è quello della cosiddetta “industrialità”, ossia esso

19 I metodi finalizzati al trattamento chirurgico e/o terapeutico umano ed animale così come alle diagnosi,

non possono essere soggetto di brevetto (Giudici e Sena, 2011).

20 I tre maggiori uffici brevettuali sopranazionali sono: EPO (Ufficio Europeo Brevetti), USPTO (Ufficio

Brevetti e Marchi degli Stati Uniti) e JPO (Ufficio Brevetti del Giappone). Pur adottando criteri d’esame e procedure armonizzate, la stessa invenzione può esser oggetto di giudizi variabili da parte delle diverse istituzioni (Barbieri, 2007). Lo stesso autore evidenzia come l’EPO sia l’istituzione più severa nelle concessioni, con una fase d’esame più lunga (in media pari a 49 mesi, contro i 31 al JPO e i 27 all’USPTO) e un minor numero di brevetti accordati (l’USPTO ne concede in media il 30% in più rispetto agli altri due organismi).

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deve essere applicabile in qualunque genere di industria, inclusa quella agricola. Vengono in questo senso escluse le applicazioni artigianali o, in ogni caso, quelle in cui è determinante il contributo della persona che le ha create. Inoltre è d’obbligo rispondere in modo “nuovo” ed “originale” ad un problema tecnico. La novità infatti va intesa in modo assoluto ovvero il processo/prodotto non deve esser ancora stato brevettato o prodotto in altre parti del Mondo. È un concetto ampio poiché ingloba tutto ciò che è stato reso pubblico in data antecedente a quella della domanda di brevetto. In aggiunta a ciò occorre che essa costituisca un “passo in avanti” nello stato della tecnica corrente. Da ultimo, deve essere “lecito” ovvero non contrario alle norme dell’ordine pubblico o del buon costume, anche se questi concetti si evolvono continuamente. Questa breve panoramica concernente i brevetti ci porta a sottolineare che, certamente, l’equazione “spesa in Ricerca e Sviluppo = numero di brevetti registrati” non costituisce una regola e ciò perché intervengono fattori più o meno controllabili in questo genere di processi; ma è anche vero che gli indici brevettuali possono riflettere in modo oggettivo e misurabile le aspettative della imprese riguardo la possibilità di avere dei ritorni economici dallo sfruttamento del brevetto generato e quindi rispecchiare la prospettiva di ricerca aziendale.

L’economia moderna richiede una buona conoscenza del sistema di tutela della proprietà intellettuale da parte delle imprese poiché ciò consente loro di trarre il più alto profitto dall’attitudine creativa ed inventiva, oltre ad assicurare una preziosa partnership con altre aziende titolari di brevetti e, ancora più importante, evitare di violare i diritti altrui, servendosi indebitamente di idee già registrate.

Al mondo d’oggi, differentemente dal passato, molte innovazioni sono complesse21 ossia costituite da una moltitudine di invenzioni, tra cui alcune già coperte da brevetto e/o appartenenti ad eterogenei titolari.

La Tabella n.2 ripropone un elenco delle domande di brevetto pervenute all’EPO (Ufficio Europeo Brevetti) nel corso del triennio 2008-2011.

Bisogna però prestare attenzione al fatto che non tutte le domande si trasformano in concessioni, solitamente per mancanza di uno od alcuni dei requisiti sopracitati. Nel corso dello scorso 2011, secondo i dati forniti dall’ente in questione, a fronte di una candidatura globale di 142.810 brevetti ne sono stati concessi “appena” 62.112.

21 Pensiamo ad esempio ad un’automobile oppure ad un telefono cellulare: esse incorporano diverse

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Tabella 2 - Brevetti: domande all’EPO, per Paese e gruppi di Paesi, numero ed incidenza % (Anni 2008 - 2011).

Fonte: AIRI (Associazione Italiana per la Ricerca Industriale) (2012)

In questa panoramica mondiale notiamo come, nello scorso anno, la maggior parte della domande siano state presentate dagli Stati Uniti, seguiti dalla Germania, con il continente Europa che supera il 50% delle richieste totali. Se si tenesse conto dei brevetti per milione di abitanti, la Repubblica Federale Tedesca balzerebbe direttamente in cima alla classifica mondiale: tutto merito degli ingenti investimenti in R&S, sia pubblici che privati che dal 2005 hanno registrato un incremento rispettivamente da 9 a 13,7 miliardi di Euro e, nel privato, di circa 47 miliardi (Ideam, 2012).

L’Italia presenta una situazione piuttosto altalenante dal momento che, negli ultimi quattro anni, ha visto verificarsi un continuo saliscendi, restando sempre al di sotto del 3% delle domande totali. Ancora una volta cogliamo il profondo divario che separa la nostra nazione dai leader globali.

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Tabella 3 - Brevetti: concessioni dell’EPO, per Paese e gruppi di Paesi, numero ed incidenza % (Anni 2008 - 2011).

Fonte: AIRI (Associazione Italiana per la Ricerca Industriale) (2012)

Per quanto concerne le concessioni, più rigorose dal punto di vista della reale bontà del brevetto, a fronte delle circa 35.000 domande statunitensi, ne sono state registrate solamente 13.382 (circa un terzo delle totali). Ancora una volta la Germania si dimostra “vincente”, con un’assegnazione di 13.583 brevetti, a fronte dei 26.234 richiesti. Anche il Giappone presenta una spiccata dinamica nel panorama brevettuale globale, registrando negli ultimi quattro anni una percentuale prossima al 18% dei totali.

Questo excursus sull’output innovativo ci porta ancora una volta a prendere atto del ritardo che il nostro paese ha accumulato rispetto a quelli che dimostrano una propensione più avanzata all’innovazione. Ma è doveroso sottolineare che non sarebbe appropriato fermarsi a considerare i citati indicatori in senso assoluto perché confrontare al medesimo livello (senza “pesare” i dati per la popolazione del singolo paese) nazioni come l’Italia, il Giappone o gli Stati Uniti, potrebbe risultare fuorviante. In simili condizioni una patria di 7,8 milioni di abitanti quale la Svizzera, non potrebbe nemmeno “gareggiare” con i 128 milioni di giapponesi.

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Figura 10 - Numero di brevetti, per mille abitanti (Anno 2010).

Fonte: OECD

In questo caso, i dati forniti dall’OECD22 per l’anno 2010 non fanno altro che confermare l’andamento delineato in senso assoluto, evidenziando una forte lontananza italiana (ben sotto la media degli EU27) non solo dai paesi performanti sopracitati (Giappone, Germania e Stati Uniti) ma anche da numerose nazioni del Nord Europa. In sostanza, lo “Stivale” sembra - così come i paesi dell’area mediterranea - inserirsi in uno scenario perlopiù caratterizzato da imprese che avanzano a livello incrementale, con investimenti che richiedono alle aziende uno sforzo organizzativo e monetario minore di quello che servirebbe per allinearsi alle economie più avanzate in termini di output brevettuale e attività di R&S (Bugamelli et al., 2012).

Se, senza dubbio, possiamo considerare i brevetti e la spesa in R&S come un’utilissima proxy dell’attività innovativa aziendale, bisogna tenere in considerazione alcuni limiti dati dal fatto che la maggioranza delle imprese italiane conta una dimensione ben più piccola di molti paesi europei23, motivo che comporterebbe una sottostima del nostro impegno nelle statistiche ufficiali. Molte spese in R&S potrebbero non essere registrate ufficialmente a causa della medio - piccola estensione aziendale, che non consentirebbe la presenza di veri e propri laboratori dediti esclusivamente allo sviluppo (Bugamelli et al., 2012).

22 L’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) - in italiano OCSE

(Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) - è un’organizzazione internazionale istituita nella seconda metà del XX secolo, allo scopo di favorire lo sviluppo economico e migliorare lo stile di vita dell’intero mondo. Oggi conta 34 membri, dal Nord e Sud America, fino all’Europa e alle regioni asiatiche, abbracciando paesi evoluti ed emergenti in uno sforzo comune.

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Nel 2009, la dimensione media d’impresa in Italia era, secondo l’Istat (2009), pari a 4 addetti (pari a Portogallo e superiore solo alla Grecia, che ne contava in media 3,3), contro i 6,3 dell’UE27. Slovacchia, Germania, Irlanda e Regno Unito possedevano le imprese più grandi, con una dimensione compresa tra 10,9 e 16,1 incaricati.

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Inoltre, è da ricordare che non tutti i tipi di innovazioni sono brevettabili; oltre a ciò le legislazioni in materia di tutela intellettuale dei vari paesi non sono omogenee così come gli standard qualitativi e quantitativi usati per giudicare il contenuto di nuova conoscenza dei brevetti (Aiello e Castiglione, 1987).

Contrariamente ai medio - bassi risultati registrati dal sistema di ricerca nazionale nelle attività brevettuali, è da segnalare una certa solidità per quanto riguarda il livello di produttività scientifica (nei campi della fisica, chimica, biologia, ricerca biomedica, etc.): con un numero di articoli scientifici prossimo alle 400mila unità, nel decennio 1998-2008, l’Italia si pone all’ottavo posto su scala mondiale (Crespi e Iemma, 2009), posizionandosi così tra i primi 20 paesi virtuosi (in cima alla classifica si trovano gli Stati Uniti con circa 3 milioni di articoli scientifici).

Utilizzando un indicatore relativizzato alla numerosità degli abitanti utile a ridurre i difetti di scala, la graduatoria rinvia gli USA all’undicesimo posto, elevando sul podio Svizzera, Scozia e Svezia, con un numero di articoli scientifici pari a circa 20 pubblicazioni ogni 1000 abitanti; l’Italia, con una media di 6,8, si posiziona in quindicesima posizione, similmente a Spagna e Giappone (Crespi e Iemma, 2009). Il Bel Paese totalizza una posizione di tutto rispetto anche in riferimento alla qualità e rilevanza scientifica degli scritti, allineandosi ai maggiori poli mondiali di innovazione scientifica.

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