Capitolo 2 – INNOVAZIONE IN AGRICOLTURA
2.4 Biotecnologie in agricoltura
2.4.2 L’ingegneria genetica a tutela della tipicità agricola italiana
Ognuno di noi, al giorno d’oggi, è istintivamente consapevole della diversità tra ciò che è naturale e ciò che è stato concepito dalla mente umana. Anche se molte volte si tende a nutrire un certo sospetto verso ciò che è artificiale, preferendo quanto è presente in natura, non si può negare che la tecnologia sia ormai parte fondamentale della vita quotidiana (Bressanini, 2009).
Lo stesso computer che permette la stesura di questo lavoro è frutto dei progressi tecnologici degli ultimi decenni, trasformazioni che hanno permesso l’evoluzione degli stili di vita e lo svolgimento di attività prima illusorie.
Molti di noi provano però disagio nel parlare di organismi transgenici, anche questi frutto dell’intervento dell'uomo ma percepiti come un qualcosa da ripudiare perché innaturali53.
Parallelamente alle riluttanze dimostrate a livello europeo sull’adozione degli OGM, in atto da oltre un decennio, molti (Altman, 1999; Basso e Sala, 2003) sono convinti del potenziale biotecnologico come strumento per aumentare le rese ed i guadagni, attenuare la fame nel mondo e preservare la biodiversità.
Il risultato di tutto ciò è un’odierna contrapposizione nella catena alimentare tra alimenti di qualità e piante geneticamente modificate.
Al di là delle polemiche sollevate - che in questo lavoro poco rilevano - una riflessione sul potenziale degli OGM potrebbe rivelarsi utile affrontando il tema dell’innovazione,
53 A questo proposito c’è chi tira in ballo l’esempio del triticale, usato al giorno d’oggi come foraggio e
seminato su una superficie globale di 3 milioni di ettari (Bressanini, 2009); esso è ottenuto fin dal 1800, dall’incrocio del frumento con la segale. Tuttavia, non è considerato un OGM ed è talvolta venduto nei negozi di prodotti biologici, pur essendo una specie creata dalla mente umana, avvalendosi delle biotecnologie (anche se con procedimenti diversi da quelli transgenici odierni, dal momento che contiene per intero i genomi parentali e non solo l’innesto di uno o due geni).
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non prescindendo dall’ovvia necessità di preservare la tipicità italiana e la salute umana, animale e dell’ambiente.
Alcuni autori (Basso e Sala, 2003) qualche anno fa hanno presentato uno scritto in cui suggeriscono di non sottovalutare le opportunità fornite dalla scienza poiché fermare il progresso in Italia equivarrebbe a perdere gran parte della competitività internazionale. A ragion del vero, diverse minacce provengono già da tempo dal vicino Egitto e dalla Penisola iberica, da dove vengono importate arance oltre ai sempre in agguato Stati Uniti, che esportano sementi di pomodoro ibrido.
Nel corso dello scorso secolo i genetisti hanno svolto eccellenti operazioni di incroci e selezioni giungendo a fornire specie oggi rinomate come ad esempio il pomodoro San Marzano, divenuti basilari non solo per l’alimentazione ma pure per la tradizione imprenditoriale dell'Italia e le peculiarità paesaggistiche del paese.
La valorizzazione delle tipicità è divenuta nella Penisola un requisito imprescindibile nonché punto di forza e strumento per guadagnare una posizione di prestigio a livello mondiale, elevando il Made in Italy a garanzia di nicchia.
D’altra parte pensare di misurarsi con i grandi produttori di mais, soia e cotone cinesi o americani sarebbe cosa inverosimile per una nazione che non dispone delle estensioni territoriali e dell’automazione dei rivali.
In questo meccanismo si presenta però un problema di rilevante importanza: molti dei prodotti tipici italiani stanno rischiando la scomparsa soprattutto a causa di imperfezioni congenite che ne influenzano la produttività. Principalmente si tratta di sensibilità a virosi e batteri.
Pensiamo per esempio ai pomodori di San Marzano, una specie particolarmente sensibile alle infezioni virali (tipicamente al Cucumber Mosaic Virus), le quali possono addirittura causare la perdita del 100% del raccolto locale in specifiche annate. Potremmo compilare un intero elenco di tipicità che si trovano nella situazione del pomodoro citato: il vitigno Barbera patisce l’infezione epidemica della Flavescenza Dorata, il riso Carnaroli è sensibile a funghi patogeni che aggrediscono il collo della pianta, le coltivazioni di meli valdostani sono duramente colpite da un insetto che si nutre delle loro radici (Battaglia, 2003).
I rimedi, molte volte istituiti a livello nazionale e regionale, vanno da quelli biologici, all’isolamento in quarantena e/o estirpo delle piante infette, all’impiego di fitosanitari
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(Regione del Piemonte, 2012) ed altri agenti chimici, talvolta assiduamente reiterati a distanza di pochi mesi.
Oltre ad un aumento dei costi sostenuti dalle imprese produttrici ciò comporta pericoli per la salute e molte volte insuccessi con la conseguenza che, l’abbassamento nella volume prodotto e la relativa qualità, si traducono copiose volte in scelte di abbandono della specie in questione. Ciò è accaduto anche in Valle d’Aosta usufruendo di un fungo parassita della larva del maggiolino, che ha provocato una pericolosa ricaduta sull’ambiente, con la propagazione di tossine nei campi (Basso e Sala, 2003).
Battaglia (2003) sostiene che, inserendo nella pianta porta-innesto del melo un gene resistente al rischioso insetto, si risolverebbe il problema, non provocando conseguenze sui frutti derivati. Ciò potrebbe essere valido per combattere la malattia che attacca il Barbera o l’”oro-rosso” di San Marzano, senza implicare modificazioni organolettiche e nutrizionali.
Per quanto riguarda i prodotti tipici italiani si prospetta un altro problema che limita le possibilità di incroci sessuali, dal momento che la pianta non sarebbe più identica alla primitiva che si intendeva salvare, così come un figlio non sarà mai tale e quale ad uno dei genitori ma presenterà caratteristiche di entrambi. In altre parole, se incrociassimo il famoso pomodoro con un’altra varietà non potremmo più chiamarlo San Marzano DOP anche se, con incroci ripetuti, riuscissimo a re-immettere gran parte del DNA parentale ed ottenere le caratteristiche originarie.
Questo sarebbe possibile solo con lo sfruttamento delle pratiche del DNA ricombinante (Pautasso, 2012).
D’altra parte l’agricoltura conosce da sempre continue evoluzioni, confermando ancora una volta come l’innovazione concepita nelle sue molteplici forme sia il motore del futuro, in risposta ad un ambiente che cambia e al mutare delle esigenze di chi ci abita. Le sfide OGM premono sui vari ambiti dell’innovazione tecnologica: variano i processi di produzione, qualche volta conducono alla formazione di novità di prodotto e possono agire sui modelli organizzativi (Casati e Frisio, 2003).
Come ogni innovazione passata, interposta fra la novità e l’equilibrio produttivo antecedente, le resistenze verso l’ingegneria genetica possono essere interpretate come strumento di autotutela andando ad innescare meccanismi sociali, economici, morali.
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La sfida per l’agricoltura dei decenni che verranno sarà quella di potenziare la qualità dei prodotti che ci hanno accompagnato finora, non per forza alleandosi nella fazione dei “biologici” o dei “sostenitori degli OGM”; adottare una sfumatura, da adattare caso per caso anziché schierarsi da una parte o dall’altra, moderando l’impiego di fitofarmaci e sostanze chimiche, tutelando l’ambiente e chi ci vive.
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Capitolo 3 – LA FILIERA VITIVINICOLA ITALIANA