Capitolo 2 – INNOVAZIONE IN AGRICOLTURA
2.4 Biotecnologie in agricoltura
2.4.1 La sfida biotech del XXI secolo, tra impulsi positivi e preoccupazioni
Nell’ultimo ventennio il brusio che si è generato intorno al mondo delle biotecnologie, ha contribuito ad accendere il motore per lo sviluppo di prodotti innovativi.
Cerchiamo da principio di chiarire cosa si intende con il suddetto termine. Una delle definizioni più diffuse e largamente accettate è quella fornita dall’OCSE negli anni’80, che circoscrive le biotecnologie all’applicazione dei principi della scienza oltre che della chimica e dell’ingegneria, alla “lavorazione” di organismi viventi, cellule o loro costituenti, per fornire beni e servizi (Spalla, 2008).
Intese in questa maniera, esse sono venute alla luce durante i primi decenni del 1900 con la fermentazione aceton-butilica e la generazione di acido citrico, per poi evolvere dagli anni ’50 negli antibiotici, proteine e prodotti per la fermentazione.
Nel corso degli ultimi vent’anni, le cosiddette “biotecnologie avanzate” (soprattutto la scoperta del DNA ricombinante ovvero possibilità di trasferirlo tra gli organismi) annettono all’enunciazione riportata l’opportunità di esaminare e «modificare in modo predeterminato e controllare l’agente biologico usato», in chiave di progettualità e prendendo le distanze dalla casualità (Spalla, 2008).
Nella maggior parte dei paesi del mondo, dai più evoluti a quelli in crescita, l’attenzione per il mondo trasversale e pervasivo del biotech ha scatenato un interesse strategico, fatto di incertezze ed occasioni non colte. Biotecnologia come fonte di innovazione, tramite la generazione di prodotti e processi completamente nuovi, ricerca e produzione di specie animali e vegetali migliori del passato.
Quel che è certo è che per rendere concretamente applicabili i vantaggi offerti da questo settore in espansione, urge un accordo tra cittadini ed aziende, inserito in una cornice strategica supportata dalle politiche dei vari governi e fondata sulla ricerca;
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fondamentale importanza rivestono le politiche attuate a livello regionale e nazionale oltre che, in alcuni casi, di portata mondiale.
Secondo un rapporto pubblicato dall’OECD nel corso del 2009, nel 2030 le biotecnologie concorreranno a rappresentare approssimativamente il 2,7% del PIL nei paesi industrializzati (contro l’1% attuale) ed una quota ancor superiore in quelli in via di sviluppo50, per il loro spiccato orientamento al settore primario (OECD, 2009). Le analisi derivano da un quadro costruito su studi che ruotano attorno ai tre campi più interessati da queste tecniche ovvero quello industriale, sanitario ed agricolo.
In regola con l’analisi svolta finora privilegeremo lo studio dell’ultima di queste aree, pur essendo i primi due campi fondamentali ed essendo, col settore primario, comunque interrelati.
Anche se il settore della produzione primaria include un’innumerevole vastità di specie viventi come foreste, coltivazioni, bestiame, pesce e risorse marine, al giorno d’oggi l’uso che se ne fa in campo transgenico si ferma principalmente all’allevamento e alla diagnostica di piante ed animali. Secondo l’organizzazione, tra due decenni, circa il 50% della produzione agricola e di mangimi risentirà dell’aiuto fornito dalle biotecnologie.
L’OECD vede in questo settore delle straordinarie opportunità tecnologiche per affrontare le sfide che ci si prospettano: esse potrebbero contribuire ad incrementare la sostenibilità ambientale nella produzione alimentare, provvedere alla generazione di energie rinnovabili, migliorare la qualità delle acque e la salute delle specie umane ed animali oltre a preservare la biodiversità (OECD, 2009).
La Tabella n.15 riassume in pochi passaggi le prospettive che l’associazione delinea per i prossimi decenni nei tre campi maggiormente influenzati dalla bioeconomy.
50 Nel corso del 2008 più di 13 milioni di imprenditori agricoli hanno messo a coltura OGM e il 90% di
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Tabella 15 - Biotecnologie con alte possibilità di raggiungere il mercato entro il 2030 (2009).
Fonte: OECD
Spiccano dalla prima colonna in Tabella n.15, particolari riguardanti la resistenza agli agenti infestanti, in grado di subire un incremento grazie alle nuove tecniche così come l’aumento del tasso di crescita e la qualità; inoltre, la riduzione del livello di lignina, permetterà in silvicoltura di ottenere piante più atte alla generazione dei biocarburanti. In Europa sono in atto da anni numerose controversie circa la positività dei governi alle implementazioni biotecnologiche. Molti paesi favorevoli tra cui Danimarca, Svezia, Repubblica Ceca e Spagna51 si scontrano contro le resistenze di nazioni come Austria,
51 La Spagna già da anni coltiva mais OGM, realizzando nel 2011, l’85% delle colture europee. Si parla di
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Italia e Francia con la conseguenza che un quadro preciso non esiste a livello continentale (Greenpeace, 2012).
Non tutti saranno a conoscenza del fatto che, nonostante le resistenze italiane dimostrate sul tema, moltissimi allevamenti del nostro paese si avvalgono di grandi quantitativi di mais e soia geneticamente modificati per alimentare gli animali, dai quali poi si ricavano latte, formaggi, salumi (anche DOP, come il Prosciutto di Parma e di San Daniele), uova, etc. Essi sono comunemente reperibili nei comuni consorzi agrari, a loro volta importati da Argentina, Brasile, Canada e USA; d’altro canto, ai contadini europei non è richiesto per legge di segnalare in etichetta l’impiego di OGM come mangime per il bestiame, tutelando commercialmente i prodotti, dichiarati OGM free (Bressanini, 2012).
I paesi favorevoli sostengono così che sia illogico non poter coltivare siffatti prodotti, contraendo così la filiera alimentare, dal momento che si vedono obbligati ad importarli dall’estero.
I dati forniti dal rapporto annuale dell’ISAAA (International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications) enunciano che, durante il 2011, solo lo 0,06% degli appezzamenti agricoli dell’Unione Europea ha impiegato coltivazioni OGM: 114 mila ettari contro una SAT che ne conta 179 milioni (Greenpeace, 2012).
Gli unici prodotti OGM ammessi a coltura in Europa (non in tutti i paesi) sono mais e patata; nonostante questo, lo scorso gennaio, la BASF - leader mondiale del settore della chimica - ha annunciato di ritirarsi dal mercato europeo degli OGM a ragione della resistenza troppo forte di consumatori, imprenditori agricoli e forza politiche. Il suo prodotto di rilievo, la patata Amflora52, è stata diffusa nei primi mesi del 2010; il flop
(ad eccezione degli esseri umani) è stato modificato, in modo differente rispetto a quanto succede in natura (Regione del Veneto, 2005).
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In Europa, una sola patata su quattro viene utilizzata per l’alimentazione dell’uomo. La quantità rimanente, viene suddivisa in metà ad uso animale e ¼ industriale, per la produzione di alcool ed amido (in particolare per la produzione della carta, oltre che tessile e cosmetica). Questo tubero è costituito per l’80% da amilopectina e per il 20% da amilosio.
Nell’uso industriale, solo il primo componente è interessante ma, scinderlo dall’altro, è complicato ed economicamente poco vantaggioso. Dopo vari tentativi ad incrocio, non andati a buon fine, all’interno della multinazionale tedesca BASF, alcuni scienziati, sfruttando l’ingegneria genetica, sono stati in grado di creare una patata costituita interamente di amilopectina. Dopo esser stata sottoposta a vari test, i quali hanno dimostrato la mancanza di rischi per esseri viventi ed ambiente (anche se non utilizzabile per l’alimentazione), il 2 marzo 2010 ha iniziato ad essere coltivata in alcuni paesi europei (Morandini e Potrykus, 2010).
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registrato nel corso del 2011 ovvero una coltivazione pari ai 20 ettari, giustifica la scelta della multinazionale.
Nel 2012 sta perseverando in alcune nazioni UE la coltivazione di un unico prodotto, il mais MON810 della Monsanto, che continua a destare apprensioni di tipo ambientale e sanitario, tanto che all’inizio del 2012 l’azienda produttrice ha deciso di tirarsi indentro dal commercio in Francia, non sussistendo favorevoli condizioni di mercato.