• Non ci sono risultati.

L'immigrazione cinese in Italia

La formazione delle comunità cinesi in Italia, le cui origini risalgono agli anni Trenta del Novecento, va collocata all'interno di un contesto più ampio che ha interessato i paesi europei: questa migrazione, infatti, nel nostro paese nasce prevalentemente come movimento di seconda immigrazione, collocandosi all'interno di un'articolata rete di rapporti tra le comunità di antico insediamento presenti in altri stati europei, come Francia, Regno Unito e Olanda.

Inizialmente l'immigrazione cinese in Italia fu considerata un fenomeno del tutto marginale, sia rispetto al grande esodo in uscita dalla Cina, sia rapportata all'incidenza numerica sulla popolazione italiana. Infatti, fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il numero di cittadini cinesi presenti sul nostro territorio rimase molto esiguo. I primi immigrati cinesi provenienti dalla Francia decisero di insediarsi prima a Milano, poi a Torino e in seguito a Bologna, Firenze e Roma.

A Milano, il lavoro più diffuso tra i migranti era quello di venditore ambulante di cravatte. Tuttavia, successivamente essi riuscirono ad entrare a far parte della filiera produttiva aprendo dei piccoli laboratori artigianali nella produzione di manufatti in pelle.

Questo primo flusso migratorio, composto esclusivamente da uomini di giovane età, si protrasse con una certa continuità nel periodo tra le due guerre, pur mantenendo dimensioni molto limitate. Per quanto riguarda il tema dei rapporti tra i migranti e la madrepatria, se fino alla fine dell'Ottocento vigeva un regime di proibizione, punibile con la condanna capitale, nei primi anni Trenta, il Partito Nazionalista dimostrò di aver acquisito piena consapevolezza circa l'entità del fenomeno migratorio. Le potenzialità degli huaqiao, i cinesi d'oltremare, cominciarono ad essere viste come fonte di ricchezza attraverso le rimesse, testimonianza tangibile del forte legame che intercorreva tra la madrepatria e i suoi cittadini, anche all'estero. Tuttavia, la situazione peggiorò nuovamente con la presa di potere del Partito Comunista Cinese, il quale stabilì il blocco totale dell'emigrazione verso l'estero, pena pesanti ritorsioni non solo nei confronti dei diretti interessati, ma anche dei loro parenti rimasti in patria.

Nonostante la dura presa di posizione da parte del regime maoista, negli anni Cinquanta, alcuni migranti riuscirono a raggiungere i propri parenti ormai residenti stabilmente in Italia. I laboratori tessili nati alla fine della Seconda Guerra Mondiale ed affermatisi grazie ai prezzi fortemente concorrenziali accolsero i neoarrivati nelle maglie della neonata economia etnica. Accanto al settore tessile e pellettiero, comparve quello della ristorazione, inizialmente perlopiù rivolto ai

connazionali, che andava a rifornirsi dalle comunità europee più attive in Europa. In seguito, grazie alle trasformazioni avvenute nel campo dei consumi, la ristorazione cinese iniziò ad attrarre anche la clientela autoctona, determinando la nascita di un autonomo mercato italiano per l'aprovvigionamento delle materie prime.6

Le migrazioni della Cina verso il mondo esterno ripresero in maniera piuttosto massiccia alla fine degli anni Settanta, anni in cui si affermò una politica di riforme e di apertura che ha portato la Cina a diventare il grande colosso dei nostri tempi. In particolare, l'ondata di migrazioni dalla Cina si colloca nel contesto delle trasformazioni economiche delle diverse aree di origine dei migranti cinesi: le province del Zhejiang, del Fujian e più recentemente l'area della Manciuria, il Nord-est della Cina, comprendente le province dell'Heilongjiang, Jilin e Liaoning. Questi migranti in seguito sono stati definiti xin yimin, nuovi migranti, per distinguerli dalla diaspora cinese storica.

Come accennato, la politica di apertura e riforma introdotta da Deng Xiaoping portò, verso la fine degli anni Settanta ad un grande cambiamento nell'approccio verso il fenomeno migratorio portando alla concessione del permesso per espatrio, seppur entro una rigida regolamentazione, e alla rivalutazione della figura dell'emigrante, denigrato e disprezzato nel periodo maoista. A partire dal 1978 fu permesso a numeri crescenti di cittadini cinesi di ricongiungersi con i familiari residenti all'estero e nel 1985 fu concesso il diritto di lasciare il paese a chi otteneva un passaporto per motivi di lavoro e un invito dall'estero.7

Parallelamente, in alcune zone della Cina, le riforme nel settore dell'imprese statali diffuse una forte incertezza fra gli operai che iniziarono a cercare fortuna tra le diverse opportunità che l'apertura del mercato forniva, sia all'interno che all'esterno del paese. Alla fine degli anni Ottanta la Cina fu presa dalla "febbre di lasciare il paese" (chuguore, 出国热). Questi mutamenti sociali in Cina e il collasso dell'Unione Sovietica rafforzarono ulteriormente le catene migratorie dirette verso l'Europa, che, agli occhi dei Cinesi, diventava una fonte di nuove opportunità in cui fare affari e insediare attività economiche.

Grazie all'intersecarsi di questi fattori, negli anni Settanta ed Ottanta si riattivò un terzo e più consistente flusso migratorio, proveniente dai paesi europei, quali Francia e Olanda, e dalla nuova Cina aperta al mondo. L'incremento delle presenze fu tale da determinare l'avvio di nuovi settori 6 Cfr. Alessandra MINNELLA, L'immigrazione cinese nella Provincia di Vicenza, Tesi di Laurea, Università Ca'

Foscari, Anno accademico 1999/2000, Relatore Prof. Guido Samarani, Correlatrice Prof.ssa Laura De Giorgi, http://www.click.vi.it/sistemieculture/Minnella2.html.

7 CHEN Xiao 陈校, ZHANG Yibing 张义兵, YANG Yi 杨怡, “Guowai laodongli shichang zhong de zhongguo yimin shehui shefen rentong weiji” 国外劳动力市场中的中国移民社会身份认同危机 (La crisi del riconoscimento identitario della società dei migranti cinesi all'interno del mercato del lavoro all'estero), Zhongguo qingnian

lavorativi. E' negli anni Ottanta che nell'area fiorentina, tradizionalmente dedita al settore tessile, i cinesi iniziarono ad aprire numerosi laboratori di pelletteria e di confezioni. Negli anni successivi quest'attività si svilupperà sempre di più anche in altre regioni dell'Italia quali la Lombardia, il Veneto, l'Emilia-Romagna e la Campania.

Per comprendere l'ulteriore aumento della consistenza dei flussi, bisogna considerare l'emanazione delle leggi di regolamentazione dell'immigrazione, le cosiddette sanatorie, che hanno reso possibile la regolarizzazione di quei migranti che si trovavano in uno stato di clandestinità.

Dalla seconda metà degli anni Ottanta in poi, anche le comunità cinesi hanno usufruito dell'opportunità di emergere da una condizione di invisibilità sociale e lavorativa. La vera novità in materia di immigrazione consiste nell'approvazione della prima legge di regolamentazione basata sull' "accordo tra il governo della Repubblica Italiana e la Repubblica Popolare Cinese relativo alla promozione e alla reciproca protezione degli investimenti" firmato a Roma nel gennaio del 1985 ed entrato in vigore nel marzo del 1987. L'obiettivo dell'accordo era quello di intensificare la cooperazione economica tra i due paesi, permettendo ai residenti nel territorio dell'altro stato di realizzare investimenti. Per quanto riguarda l'Italia, l'effetto dell'accordo fu quello di consentire ai cittadini cinesi di regolarizzare lo stato delle aziende costituite prima del 1985 e di incentivare la creazione di nuove. Tuttavia, dopo i fatti di Tiananmen del 1989 le concessioni per l'apertura di nuove attività vennero drasticamente ridotte.

Nello stesso periodo, la politica riformista cinese iniziò una fase di rivalutazione nei confronti dei migranti cinesi di vecchia data, gli huaqiao, volta a riconquistarne la fiducia e ad attrarre i loro investimenti. Nelle tradizionali aree di emigrazione, venivano riabilitati i parenti degli emigrati, restituite le proprietà che erano state confiscate e riaperte le tombe degli antenati.

Dopo la metà degli anni Novanta, il governo cinese iniziò a concentrare le proprie attenzioni sui nuovi migranti, i cosiddetti xin yimin, nuovi potenziali investitori, i quali mantenevano con la Cina un legame più stretto rispetto ai vecchi emigrati che si erano ormai stabiliti nei paesi di immigrazione.8

Queste misure contribuirono a creare nel paese e in maniera particolare nelle aree tradizionali di emigrazione un nuovo status del migrante, incarnato nella figura dell'imprenditore di successo. L'identità del migrante cinese all'estero, prodotta e rinforzata dal governo cinese, è quella di una persona forte, di successo, che mantiene un forte legame di fedeltà nei confronti della madrepatria.9

8 LIU Yijun 刘逸君, “Yidali zuixin yimin zhuangkuang fenxi” 意大利最新移民状况分析 (Analisi della situazione dei migranti in Italia negli ultimi anni), Gaige yu kaifang, Gennaio 2013, p. 91.

9 Rossella CECCHINI, Lanterne amiche. Immigrazione cinese e mediazione interculturale a Reggio Emilia, Reggio Emilia, Edizioni Diabasis, 2009, pp. 26-28.