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In genere, quando si parla di interessi, si fa riferimento al tipico caso di interessi attivi e passivi (in base alla parte dalla quale si “guarda” l’operazione), che maturano su mutui, locazioni e altre operazioni. Tuttavia, nel recente periodo storico, sono frequenti gli interessi “negativi”336 sui contratti a tasso variabile, dovuti al perdurare di un cattivo scenario economico a livello internazionale.

T., La separazione contabile dei derivati incorporati al test della derivazione rafforzata, Bilancio e reddito di impresa, 2018

335 Attenzione che prevale l’unitarietà dello strumento, quindi dallo scorporo non deve emergere alcuno strumento finanziario assimilato alle azioni.

336 Analizzati in: Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Fondazione Nazionale dei Commercialisti, La fiscalità delle imprese Oic adopter (IV versione), documento di ricerca, 9 agosto 2019, pp 66-68

Il concretizzarsi di un interesse negativo comporta il ribaltamento dei ruoli dei soggetti coinvolti:

- il finanziatore si ritrova a non incassare interessi attivi, bensì a sostenere un onere per aver impiegato il suo capitale;

- il finanziato, anziché pagare interessi passivi, si ritrova a maturare dei proventi sul denaro ricevuto in prestito.

Si tratta quindi di poste diverse -nonostante il simile nominativo possa “trarre in inganno”- dai tipici oneri finanziari e interessi passivi, che sono componenti negativi di reddito, relativi all’area finanziaria del conto economico. Per queste ultime componenti, l’art. 96 Tuir, stabilisce dei limiti di deducibilità dalla base imponibile Ires: sino a concorrenza degli interessi attivi e proventi assimilati e, per l’eccedenza, nel limite massimo del 30% del valore del ROL (risultato operativo lordo della gestione caratteristica). L’eventuale eccedenza è indeducibile nell’esercizio, ma può essere portata in diminuzione dal reddito dei periodi successivi fino a concorrenza del ROL di competenza, se e nei limiti in cui, in tali periodi, l’importo degli interessi passivi e degli oneri assimilati di competenza eccedenti gli interessi attivi e i proventi assimilati sia inferiore (quindi “capiente”) al 30% del ROL di competenza.

Il dubbio rispetto agli interessi negativi riguarda sia la rilevanza o meno degli stessi ai fini della determinazione dell’imponibile Ires, che l’operatività o meno dei limiti previsti in tema di oneri finanziari. Qualora si ritenga operativo quanto appena detto, occorre stabilire quali sono le modalità di applicazione del regime di indeducibilità parziale degli interessi passivi (comma 2, art. 96 Tuir). Nel caso in cui si sostenga che codesti interessi facciano parte della categoria delle componenti finanziarie, ricadranno interamente nella disciplina dell’art. 96 Tuir, ma allora occorre chiarire se la qualificazione fiscale degli stessi ricade tra gli interessi attivi o passivi, per le rispettive parti del contratto.

Fiscalmente, sulla base del principio generale affermato numerose volte nel corso del presente lavoro, affinché possa operare il principio di derivazione rafforzata è necessario,

in primis, che ci sia una corretta applicazione dei principi contabili adottati. Quindi, gli

interessi negativi prima vanno correttamente qualificati, classificati e imputati nel corretto periodo temporale secondo i criteri civilistici, solo dopo aver fatto questo, possono assumere rilevanza ai fini della determinazione dell’imponibile Ires.

Tuttavia, né il legislatore, né l’Organismo Italiano di Contabilità hanno disposto regole specifiche per il trattamento contabile degli interessi negativi. Ecco che la dottrina ha elaborato tre diverse tesi:

a. la prima, sostenuta anche dallo IASB, afferma che gli interessi negativi hanno la natura di commissioni (e non di componenti reddituali di natura finanziaria) applicate al finanziatore, in cambio di una sorta di servizio di custodia delle somme di denaro svolto dal finanziato;

b. la seconda è la c.d. “qualificazione per segno”, secondo la quale gli interessi negativi hanno natura finanziaria e devono essere qualificati, in base al loro segno, tra gli oneri e tra i proventi, quindi come interessi attivi per il finanziato (proventi) e interessi passivi per il finanziatore (oneri);

c. l’ultima è la c.d. “qualificazione per natura”337 e sostiene che gli interessi negativi devono essere qualificati in base al rapporto funzionale di remunerazione esistente tra gli stessi ed il capitale “scambiato”, quindi si tratta sempre e comunque di interessi attivi per il finanziatore e passivi per il finanziato, a prescindere dai segni. Se civilisticamente non è disposta alcuna regola specifica, occorre verificare cosa accade dal punto di vista fiscale utilizzando le tre diverse tesi della dottrina, in quanto è dubbio quale sia quella giusta da seguire.

Se si opta per l’ipotesi di cui alla lettera a., quindi si qualificano e si classificano gli interessi negativi tra le commissioni, significa che si ritiene corretta l’integrale, immediata e poco prudente338 deduzione degli interessi “attivi” negativi, senza rispettare l’art. 96 Tuir.

Per contro, se si applica la teoria di cui alla lettera b. si mantiene la logica di fondo dell’operazione in merito alla redazione dei bilanci bancari. A prescindere dalla qualificazione degli interessi passivi quali componenti relativi ad un indebitamento e degli interessi attivi quali componenti relativi ad un impiego di capitale, a prevalere è il segno algebrico. Opera in questo caso il principio di derivazione rafforzata, anche se le componenti partecipano in modo “ribaltato”.

L’utilizzo della terza tesi risulta maggiormente conforme ai principi contabili nazionali, dunque non sembrano esserci problematiche rispetto alla piena operatività del criterio di derivazione rafforzata, in ossequio anche dei limiti fissati dall’art. 96 Tuir.

Concretamente, in base all’ultima tesi, il finanziatore procede a portare gli interessi attivi negativi a riduzione del monte degli interessi attivi positivi, con cui poi occorre confrontare gli interessi passivi, per stabilirne il primo limite di deducibilità. Si ricorda infatti che gli interessi passivi sono deducibili fino a concorrenza degli interessi attivi, i 337 Maggiormente applicabile nei bilanci ITA Gaap.

restanti entro il limite del 30% del ROL, quindi, l’utilizzo di questa teoria, comporta la riduzione degli interessi passivi immediatamente deducibili e, contemporaneamente, l’aumento di quelli da dover confrontare con il limite del 30% del ROL.

Il finanziato porta gli interessi passivi positivi a riduzione del monte di interessi passivi, prima del confronto con gli interessi attivi per i limiti di deducibilità, ottenendo così, in un certo senso, un beneficio anche fiscale, visto che si riduce direttamente l’ammontare delle poste finanziarie da dedurre, in un certo qual modo “scavalcando” i limiti fissati dal Tuir.

In conclusione, rispetto a questa fattispecie non è definita un’unica e chiara disciplina da seguire, permanendo incertezza sia dal punto di vista contabile, che, di conseguenza, dal punto di vista fiscale.

CAPITOLO 4 L’IRAP E LA PRESA DIRETTA