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1. LA STRUTTURA CONTRATTUALE DELLA CONCESSIONE DI SERVIZ

1.4 Novità nel regime giuridico del contratto di concessione

1.4.4 Interruzioni patologiche della concessione

La nuova normativa della cessazione dei rapporti concessori induce maggiormente ad effettuare un ripensamento sulla natura giuridica delle concessioni di servizi, in favore di un istituto di matrice contrattuale. Allo stesso tempo però, l’art. 176 del Codice disciplina alcuni istituti riconducibili ad un vero e proprio esercizio di autotutela pubblicistica.

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L’art. 176 disciplina le vicende patologiche che possono interessare le concessioni di servizi, le quali sono speciali rispetto alle ipotesi di esercizio di poteri di autotutela di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della l. 7 agosto 1990, n. 241.

La cessazione della concessione è un’ipotesi speciale di annullamento di ufficio nella materia delle concessioni. La norma stabilisce che il rapporto “può cessare” senza far riferimento a nessun atto, salvo al comma 3 in cui viene utilizzata l’espressione “annullamento d’ufficio”. L’autotutela dovrebbe essere esercitata attraverso un atto di annullamento, ma nel silenzio della norma è possibile ricollegarvi anche l’ipotesi di decadenza in caso di illegittimità sopravvenuta. Sono tre i casi in cui si può verificare la cessazione del rapporto concessorio. Il primo, quando la concessione si interrompe e si accerta che il concessionario avrebbe dovuto essere escluso dalla gara ai sensi dell’art. 80 il quale si pone come garanzia di affidabilità del contraente: l’aggiudicazione che si colloca a monte del contratto è avvenuta in modo illegittimo in quanto adottata in violazione di legge. Il secondo caso, è riscontrabile nell’ipotesi di violazione del diritto comunitario: la Corte di Giustizia deve accertare con sentenza che la stazione appaltante ha violato il diritto dell’Unione, con riferimento alla procedura di aggiudicazione248. Il terzo ed ultimo caso di cessazione, si

ha quando in corso di esecuzione il contratto subisce una modifica diversa da quelle consentite dall’art. 175 ai commi 1-4. Da un lato il legislatore, per evitare di dare esecuzione ad un contratto diverso da quello posto a base di gara, ha predeterminato le condizioni entro cui le modifiche durante il periodo di efficacia sono “fisiologiche” e dunque

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consentite. Dall’altro lato, al di fuori dei confini legislativi, la modifica del contratto è illegittima e determina la cessazione della concessione. A sostegno della tesi della specialità di queste tre ipotesi di cessazione della concessione vi è proprio un regime specifico sia sotto il profilo dei termini sia sotto il profilo delle conseguenze economiche.

I termini di annullamento della concessione vengono delineati al secondo comma dell’art. 176, il quale stabilisce che “nelle ipotesi di cui al comma 1 non si applicano i termini previsti dall’articolo 21-novies della legge 7 agosto 1990, n. 241”. Diversamente, non vi è alcun riferimento all’osservanza dell’obbligo di un “termine ragionevole” il quale quindi sembra configurarsi come principio generale che contraddistingue l’istituto dell’annullamento d’ufficio e che di conseguenza risulta applicabile anche all’ipotesi “speciale” della cessazione della concessione di cui all’art. 176.

Riguardo al secondo aspetto di specialità, se dall’annullamento determinato da una delle suddette ragioni è responsabile esclusivamente la stazione appaltante e di conseguenza, l’illegittimità della concessione non dipende dal concessionario, si applica il regime previsto in caso di revoca e di risoluzione per inadempimento. Al concessionario spetta un indennizzo a titolo risarcitorio del mancato guadagno nei limiti legislativamente fissati. Quest’ultima è una deroga rispetto al principio civilistico, del carattere legittimo dei danni indennizzabili.

In tutti e tre i casi di annullamento “speciale” si pongono tre questioni interpretative. In primo luogo vi è il problema dell’efficacia della cessazione: in virtù dell’art. 176, il quale non specifica nulla sul punto, sembrerebbe valere la regola generale secondo cui l’efficacia dell’annullamento di ufficio è ex tunc. In realtà, come nel caso della

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violazione del diritto comunitario, nonostante l’annullamento d’ufficio avvenga a distanza di molti anni, la norma parla al presente. Di conseguenza, esigenze di ragionevolezza imporrebbero di riconoscere l’efficacia ex nunc. Ulteriore questione rimasta aperta riguarda il caso di illegittimità per cui unico responsabile è il concessionario: ci si chiede se, nonostante la restituzione delle opere realizzate da parte del concessionario, quest’ultimo abbia diritto almeno al rimborso delle spese sostenute, nei limiti dell’arricchimento dell’amministrazione. Infine, dato che l’art. 176 è un’ipotesi derogatoria rispetto all’annullamento d’ufficio disciplinato dalla legge 241/1990, ci si chiede se al ricorrere di una delle tre fattispecie tipizzate debbano sussistere i requisiti generali previsti dall’art. 21-noniese: “ragioni di interesse pubblico”, “gli interessi dei destinatari e controinteressati”. Il correttivo del Codice dei contratti pubblici non ha saputo disciplinare in modo specifico queste problematiche trovandovi una soluzione, ma ha introdotto il comma 5-bis che disciplina la fase transitoria tra il verificarsi di una causa patologica di cessazione e il ripristino di una nuova concessione. Infatti, è stato previsto che in tutti i casi di cessazione del rapporto concessorio, diversi dalla risoluzione per inadempimento del concessionario, quest’ultimo ha diritto di proseguire nella gestione ordinaria dell’opera, incassandone i ricavi da essa derivanti, sino al pagamento delle somme stabilite per il tramite del nuovo soggetto subentrante, fatti salvi gli eventuali investimenti improcrastinabili individuabili dal concedente unitamente alle modalità di finanziamento dei correlati costi.

Altra interruzione patologica della concessione è data dalla revoca d’ufficio. L’utilizzo di questo istituto sembra mettere in dubbio la ricostruzione contrattuale della concessione in quanto viene utilizzato un potere di autotutela pubblicistica con riferimento ad un contratto.

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Infatti, si pone il problema della persistenza di poteri pubblicistici nella fase di esecuzione della concessione in virtù del raggiungimento dell’interesse pubblico. A sostegno di questa tesi, è possibile evidenziare come nel caso degli appalti la revoca può essere utilizzata esclusivamente prima della stipulazione del contratto, essendo possibile dopo la stipulazione solo il recesso. Invece, nel caso delle concessioni l’utilizzo della revoca è ammissibile anche dopo la stipulazione del contratto in corso di rapporto249. In quest’ultima

ipotesi si dovrebbe confinare il potere di autotutela solo alle ipotesi in cui si sia in presenza di fattispecie criminose o quando l’attribuzione del contratto sia stata ottenuta attraverso documenti falsi250 .

Secondo alcuni autori, l’istituto della revoca si spiegherebbe in quanto “oggi per le concessioni a struttura integralmente contrattuale, potrebbe valere l’antica spiegazione giudiziale della clausola implicita di revocabilità (..) altra via è quella di ricostruire la revoca come factum

principis, tramite il quale l’amministrazione-autorità si sovrappone

all’amministrazione-parte nell’obiettivo del perseguimento di pubblici interesse. O quella di accostare la revoca ad una peculiare vicenda di intervento sul contenuto contrattuale, somigliante all’inserzione automatica di clausole. La potestà generale di revoca vale per i contratti di concessione, poiché per essi è diritto vivente nella prassi e nella giurisprudenza”251.

Attraverso un’analisi ancor più approfondita dell’istituto della revoca, per poter continuare a sostenere la tesi contrattuale della concessione di servizi, è possibile indagare altri fattori. Infatti, nonostante il termine

249 Cons. Stato, Ad. Plen., 10 giugno 2014, n. 14; Cons. Stato, Sez. III, 19 novembre

2016, n. 5026, in www.giustizia-amministrativa.it

250 Di Giovanni A., I servizi di interesse generale: tra poteri di autorganizzazione e

concessione di servizi, Torino, 2018, 152

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utilizzato, il legislatore italiano colloca la revoca insieme agli altri strumenti negoziali, all’interno della disciplina di cessazione del rapporto contrattuale. Inoltre, sono previste le stesse conseguenze in caso di revoca, risoluzione per inadempimento e per le ipotesi di recesso nei contratti di appalto. In quest’ultimo caso, la corresponsione al privato delle somme di danno emergente e lucro cessante costituisce condizione sospensiva dell’efficacia della revoca252. Di conseguenza, la

specialità della revoca si rinviene con riguardo all’efficacia, subordinata alla condizione del pagamento da parte dell’ente aggiudicatario il quale dovrà un ristoro economico al concessionario comprensivo del danno emergente e lucro cessante patiti dal medesimo. Viceversa, nella ipotesi di revoca disciplinata all’art. 21 quinquies della legge 241/1990, laddove quest’ultima incida sui rapporti negoziali, è previsto un indennizzo parametrato solo al danno emergente.

Tutti questi elementi allontanano la revoca ricostruita dal Codice dal tradizionale esercizio di un potere di autotutela pubblicistica e, sembrano avvicinarla all’esercizio di un diritto potestativo in una logica paritaria e contrattuale assimilabile al diritto di recesso previsto negli appalti253.

In caso di inadempimento da parte del concessionario viene adottato il rimedio civilistico della risoluzione per inadempimento ex art. 1453 la quale prevede che la parte che subisce l’inadempimento altrui, può chiedere l’adempimento o la risoluzione del rapporto contrattuale fatta salva la risarcibilità del danno. Questa disposizione deve essere coordinata con altre disposizione del Codice ad esempio l’art. 1455 il quale stabilisce che in caso di scarsa importanza di un inadempimento

252 Art. 109, comma 1, Codice dei Contratti Pubblici

253 Di Giovanni A., I servizi di interesse generale: tra poteri di autorganizzazione e

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di una parte nei confronti dell’altra, non è ammessa la risoluzione del contratto. Per quanto riguarda la fattispecie della risoluzione per eccessiva onerosità invece, nonostante non trovi espressa disciplina nel Codice dei contratti, trova espressa disciplina nel Codice Civile cui il Codice dei Contratti rinvia in quanto compatibile. Di conseguenza, la risoluzione per eccessiva onerosità dovrebbe trovare applicazione anche nel caso della concessione, ma in realtà così non è. Infatti, dato che la risoluzione non può essere ottenuta se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto, è necessario verificare, nel caso in cui vi sia il trasferimento del rischio operativo in capo al concessionario, se si sia o meno in presenza di eventi che rientrano nell’alea normale del contratto. Sul tema la giurisprudenza amministrativa stabilisce che i contratti di concessione sono caratterizzati da una “alea normale” in quanto prevedono il conseguimento di un equilibrio patrimoniale all’esito di un non breve periodo di gestione del servizio pubblico, per sua natura esposto ad eventi negativi, ma pur tuttavia normali e prevedibili254. Di

conseguenza, tutti gli eventi imprevedibili che il concessionario si è assunto nel momento del trasferimento del rischio operativo, i quali rientrano nella normale alea del contratto, non possono essere fatti valere come idonei motivi per ricorrere alla risoluzione per eccessiva onerosità.

Infine, il subentro integra un’ipotesi di risoluzione del contratto: l’art. 176 parla infatti dei “casi che comporterebbero la risoluzione di una concessione per cause imputabili al concessionario”. È possibile rinviare all’art. 108, previsione generale in materia di appalti, come cause legittimanti la risoluzione. La stazione appaltante comunica per iscritto al concessionario di voler risolvere il rapporto. Purché sia

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prevista questa possibilità nel bando di gara, è ammesso che gli enti finanziatori entro novanta giorni possano indicare un operatore economico disposto a subentrare nella concessione. Il concessionario subentrante deve avere caratteristiche tecniche e finanziarie necessarie avuto riguardo allo stato di avanzamento dell’oggetto della concessione.

L’istituto del subentro è un ulteriore strumento a conferma della natura civilistica della concessione in quanto siamo di fronte ad una vera e propria cessione del contratto in senso civilistico. Infatti da un lato, l’operatore economico subentrante si obbliga a garantire la ripresa dell’esecuzione della concessione e l’esatto adempimento originariamente richiesto al concessionario sostituito, entro il termine indicato dalla stazione appaltante e, dall’altro lato, il subentro ha effetto dal momento in cui la stazione appaltante vi presta il consenso. Tuttavia, la sostituzione del concessionario, a differenza di ciò che può avvenire nel diritto civile, è limitata all’espletamento di una nuova gara, altrimenti si tradurrebbe in un’elusione del principio dell’evidenza pubblica. Diverso è il caso in cui si abbia una modificazione soggettiva ammessa dalla legge in seguito ad una clausola di revisione. In particolare, il nuovo concessionario può considerarsi a tutti gli effetti cessionario dell’originario quando: nel contratto sia inserita una clausola di revisione; ricorre un’ipotesi di successione universale o particolare in seguito a ristrutturazioni societarie; nel caso in cui la stazione appaltante si assume gli obblighi del concessionario principale nei confronti dei suoi subappaltatori. Con riguardo al subentro è stata l’ANAC a chiarirne la funzione che è quella di assegnare una tutela ai finanziatori dell’opera che altrimenti rischierebbero, a seguito della risoluzione, di perdere i ricavi del progetto. È necessario che venga

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mantenuto in vita il contratto il quale è l’unica garanzia per i finanziatori di conseguire il loro utile.255