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6. Il romanzo allegorico-fantastico

6.3   Italo  Calvino

In un’analisi delle recensioni bantiane che hanno per oggetto il romanzo allegorico-fantastico, non poteva certamente mancare quella scritta nel 1952 in occasione dell’uscita de Il Visconte dimezzato, primo romanzo di una trilogia, quella de I nostri antenati, che ben rientra in questa tipologia romanzesca. L’analisi bantiana di quest’ottimo frutto della prima produzione calviniana è, tra l’altro, l’unica recensione che la nostra autrice redige sulla poliedrica personalità di Calvino.

La vicinanza di questo romanzo con la coeva produzione di Orsola Nemi viene esplicitata dalla scrittrice stessa, la quale ricorda come Nemi di Calvino fosse anche corregionale. A proposito delle pagine de Il Visconte dimezzato, la nostra autrice dice che «si ripete, a questo proposito, ma più pungente, la sorpresa di quando leggemmo certe pagine di Maddalena della Palude di Orsola Nemi, ligure anche lei».36 E di questa stessa terra, quella ligure, Banti nota il fatto che ha saputo rivelarsi assai fertile di fantasia; mette infatti in rilievo, in maniera molto poetica, il contrasto tra l’asprezza di una terra arida e brulla e la ricchezza di fantasia che anima la vena poetica degli autori che la abitano:

                                                                                                               

35 Serafino Maiolo, Quando la Vita diversa dall’onda, in «Realismo lirico», agosto 1957, pp. 38-39.

Strano paese la Liguria: non ci si aspetterebbe, con tutta quella asprezza di terra sassosa e di duro lavoro, con quel mare che rode e quei gradini di cotto su per i paesi come un purgatorio, di vederla irrigata dalle più schiette vene di libera fantasia.37

Nel corso dell’articolo, secondo una modalità di procedere che potremmo ormai definire usuale, Banti ricorda il precedente romanzo di un Calvino che, nel 1952, era agli inizi della sua fortunatissima parabola letteraria: Il sentiero dei nidi di ragno. Relativamente alla presentazione di tale primo romanzo, è innanzitutto interessante fare una considerazione stilistica. Le modalità utilizzate dalla scrittrice nel commentare questa prima opera di Calvino sono infatti inusuali, ma molto espressive: Banti sceglie di presentare il romanzo richiamandosi alla recensione di un altro grande scrittore e, così facendo, dà l’idea della fitta rete di legami che intercorrono tra tutte queste personalità letterarie. Per parlare del Sentiero dei nidi di ragno, Banti si ricollega ad una recensione scritta da Pavese38 – altro scrittore verso cui, lo vedremo, la critica bantiana dimostra un grande interesse – dicendo che quest’ultimo aveva considerato Calvino appartenente a quella «schiera dei narratori nuovi che “non creano grossi personaggi”, ma raccontano fatti, i fatti che “sono groppi di carne e di sangue”». 39

Nel confronto con lo scrittore piemontese, con cui pure Banti dice che, se non fosse venuto a mancare, desidererebbe raffrontarsi anche per quanto riguarda il nuovo romanzo di Calvino, la nostra autrice si espone polemicamente. Ritiene infatti che se un giudizio deve essere espresso sul Calvino del Sentiero dei nidi di ragno, è piuttosto quello di «“realista” a tutto tondo». Definizione, quest’ultima, che, benché appaia oggi superata per Il sentiero dei nidi di ragno almeno quanto quella neorealista, si spiega nel particolare interesse della nostra scrittrice verso quei romanzi che indagano le problematiche sociali della realtà. Tale interesse doveva peraltro essere particolarmente vivo in un’epoca come il 1950, in cui, per comprendere come mai il punto di vista di Banti fosse specificatamente orientato in questo senso, basta pensare alle particolari circostanze storiche.

Questa valutazione della scrittrice sul primo romanzo di Calvino è inoltre un strumento particolarmente utile anche per un’altra ragione: a partire da questo giudizio, Banti verbalizza infatti la propria polemica contro la narrativa neorealista, dichiarando                                                                                                                

37 Ibidem.  

38 Cfr. Cesare Pavese, Recensione al “Sentiero dei nidi di ragno”, «L’Unità», 26 ottobre 1947.

apertamente il proprio punto di vista. L’autrice, polemizzando contro quel medesimo bersaglio, preso di mira anche in altri testi scritti in questo stesso periodo,40 afferma:

Questo del neorealismo, nella letteratura e nel cinema, rischia di essere il crocicchio dei malintesi, come sempre succede, del resto, quando si seguono bandiere nuove fatte di pezze vecchie: voglio dire parole consumate dall’uso. Chi le adopra in un senso e chi in un altro, pare che abbiano tutti ragione, e l’asta della bandiera, squassata da tante mani, tentenna. Forse, ci si capirebbe meglio se a qualcuno venisse in mente di comporre un’antologia molto severa di scrittori diplomati neorealisti. Noi, per esempio ci metteremmo molte pagine di Bilenchi, tutta la Cronaca familiare di Pratolini, quasi tutta La luna e i falò di Pavese: allora ci si accorgerebbe che le insegne rimangono le insegne e i buoni scrittori buoni scrittori, in senso largo ed assoluto.41

Banti puntualizza qui la propria polemica verso la letteratura neorealista, ritenendo che l’errore sia stato quello di voler attingere da un genere già ben definito, quello del realismo, risignificandolo secondo nuove modalità di rappresentazione, affatto ben definite. Secondo la scrittrice, bisognerebbe quindi almeno definire un preciso canone di artisti che possano essere considerati tali. Anche se, pure una puntualizzazione in questo senso, non porterebbe che a ribadire che, anche nell’ambito di una letteratura apparentemente alla portata di tutti come doveva apparire in quegli anni la narrativa neorealista, non è la tipologia di scrittura a fare un bravo scrittore, bensì i bravi scrittori restano quelli che hanno dimostrato di esserlo “in assoluto”.

Allo stesso modo, “in assoluto”, Banti riconosce lo statuto di grande autore di Italo Calvino, all’interno di un panorama culturale che lei stessa ha spesso giudicato come sterile. Considerazione, quest’ultima, che la scrittrice ribadisce anche nel finale del proprio intervento, in cui ricorda che queste pagine sono «fra le poche in cui oggi respiri una vocazione».42

Come detto prima, nel corso dell’articolo Banti istituisce un paragone con la vicenda artistica di Orsola Nemi e, tra gli elementi comuni ai due autori, considera anche il fatto che lo spunto da cui trarre i propri romanzi entrambi lo cercano nei fatti di cronaca, che vengono poi trasfigurati in chiave fantastica. Mentre però per la Nemi la nostra autrice parla di un legame con il «tenebroso antico fatto di cronaca», in Calvino vede piuttosto

                                                                                                               

40 Cfr. in particolare cap. 2 e 3.  

41 Anna Banti, Opinioni, cit., p. 147-148.

il riferimento al «fatto di cronaca quotidiano, anzi il fattarello di paese e casalingo».43 Manca cioè allo scrittore quella componente di scabrosità presente in Nemi, di cui Banti ha parlato negli interventi precedenti, definendola “alla Poe”; ciò nonostante può riconoscere nei due autori il medesimo tentativo di riflettere sulla realtà, mediante una trasposizione in chiave allegorica. Forse, assumendo questo stessa ottica, si potrebbe anche dare un senso a quell’etichetta di “realista a tutto tondo”, di cui si è parlato poco fa. A tal proposito, le parole della scrittrice sono infatti molto esplicative:

Il realismo, posto che di realismo si è parlato, è tutto nello spunto, uno spunto immediatamente consegnato da una esperienza folgorante alla memoria. E sulla memoria di Calvino crescono le erbe più folli.44

La nostra autrice rileva dunque che, in Calvino, il realismo sta nello spunto iniziale e che la memoria è invece la culla di quella stessa componente fantastica, che già aveva individuato per Nemi. Nella narrativa calviniana, Banti riscontra tale valore fiabesco, oltre che nel Sentiero dei nidi di ragno, anche in molti dei racconti della raccolta Ultimo viene il corvo, della quale rileva come anche i testi di stampo più esplicitamente autobiografico vadano «configurandosi come fiabe nordiche». La scrittrice nota, tra l’altro, anche la peculiare costruzione narrativa di questi racconti, rilevando che alcuni vengono articolati secondo il modello della leggenda, mentre altri «mescolano, su un dato di fatto allontanato poeticamente, il patetico al grottesco».45

Alla tipologia della fiaba, Banti non manca di ascrivere anche la presenza nella narrativa di Calvino di un valore che, come abbiamo visto già in altre occasioni, la scrittrice ritiene fondamentale tanto nella vita, quanto nella letteratura: ovvero la moralità, che, presentata attraverso il linguaggio della fiaba, risulta a suo avviso ancora più efficace, in quanto risuona come «vecchia di secoli».

In seguito, Banti non dimentica nemmeno di tracciare un quadro linguistico, ponendo in correlazione le prove di Calvino di cui allora poteva disporre: Il sentiero dei nidi di ragno, Ultimo viene il corvo e Il Visconte dimezzato. In tale analisi, seppur molto breve, la scrittrice riesce a mettere in evidenza il percorso di sviluppo seguito dall’autore, affermando che egli aveva raggiunto il culmine della propria maturità espressiva proprio                                                                                                                

43 Ivi, p. 148.  

44 Ibidem.

in quello che allora era l’ultimo romanzo pubblicato, dove i suoi modi narrativi avevano trovato la loro forma più piena.

La riflessione dell’autrice mira a sottolineare che, in una tipologia romanzesca come quella praticata da Calvino, il linguaggio assume un ruolo fondamentale. Si sofferma pertanto efficacemente sulle caratteristiche stilistiche dell’autore: sottolinea che quella praticata da Calvino è una lingua non «faticosa», specificando però che ciò non significa che essa non possa avere dei tratti idiomatici o caratteristici, e ricorda il contributo delle «immagini-motivo», un aspetto quest’ultimo particolarmente caratteristico del genere fiabesco. Queste le parole dell’autrice:

La lingua di Il sentiero dei nidi di ragno era volutamente grezza e aritmica, non mai, tuttavia, faticosa. Nei racconti del ’49 essa si coordina e dosa saggiamente le interpolazioni dialettali: e a volte canta, timida, intorno ad immagini-motivo. Anch’essa, insomma, prepara la prova di Il Visconte dimezzato.46

Banti non manca infine di tracciare dei collegamenti tra la produzione narrativa dell’autore e quelli che, a suo avviso, possono esserne considerati, a vario titolo, i modelli, provenienti tanto dal mondo della letteratura, quanto da quello delle arti figurative e da quello del cinema, che sono tra l’altro anche i tre grandi ambiti entro cui spazia l’attività critica di Banti.

Tra i collegamenti qui messi in luce, degno di nota risulta il rimando a Nievo; secondo la scrittrice, a quest’autore Calvino si sarebbe ispirato per la figura del nipote del Visconte, narratore del romanzo, prendendo spunto dal Carlino delle Confessioni. A mio avviso però, il motivo per cui questo accostamento appare particolarmente interessante non si limita a tale legame esteriore e va piuttosto spiegato tenendo conto del particolare punto di vista della nostra autrice, che istituisce il paragone. Si è infatti già detto dell’ammirazione per Nievo espressa da Banti, la quale, appena qualche anno dopo, avrebbe inserito questo scrittore in quel canone, da lei stessa istituito, di illustri penne dai modi narrativi tipicamente italiani47; di conseguenza, il fatto che sottenda a Calvino un modello come Nievo mi sembra particolarmente esemplificativo del valore che Banti attribuisce all’autore che sta recensendo, il che peraltro conferma quanto lei

                                                                                                               

46 Ivi, pp. 148-149.

stessa già aveva fatto intendere definendo quest’ultimo uno scrittore «in senso assoluto».

Per quanto riguarda gli altri modelli indicati, va detto che sia per quelli narrativi, che per quelli figurativi, la scrittrice non propone una soluzione univoca, bensì indica diverse alternative: spazia infatti dagli autori italiani a quelli stranieri (come è il caso dei modelli narrativi, Nievo e Verne), dalle opere dei grandi artisti alle realizzazioni di carattere più divulgativo (come è il caso dei riferimenti alle stampe di Callot e a certe incisioni artigianali), arrivando sino ai modelli cinematografici, come è il caso del rimando ai «disegni di Walt Disney».

Nonostante lei stessa abbia tracciato il quadro di cui si è appena dato conto, Banti non manca però di notare anche che questa pratica di ricerca del modello, che è molto comune tra i critici e che lei pure fa, è una pratica assai sterile, per non dire fine a se stessa. La scrittrice sottolinea infatti che questo procedimento è un «inutile gioco d’astuzia», proprio perché, alla fine, «ogni artista si nutre dove vuole e può».48 Da considerazioni di tal genere, mi sembra si possa riconoscere che l’autrice ritiene che la critica abbia la sua utilità, ma che possa arrivare solo fino ad un certo punto, oltre il quale, per capire davvero un romanzo, non resta che rapportarsi direttamente con lo scrittore e la sua opera.