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5. Romanzo borghese

5.2   Romanticismo  polemico

Dopo le analisi di Moravia, per completare questo attraversamento delle recensioni bantiane che hanno per oggetto quello che – con le dovute puntualizzazioni – si è definito “romanzo borghese”, ho scelto di esaminare il commento della scrittrice al romanzo di Alba de Céspedes, Dalla parte di lei.

In quegli anni, quella per il romanzo di de Céspedes non è l’unica recensione scritta da Banti per una scrittrice. Nello stesso periodo, l’autrice recensisce infatti i romanzi anche di altre scrittrici italiane contemporanee: commenta, in particolare, i lavori di Maria Bellonci, sua carissima amica, e di Leonetta Cecchi Pieraccini, altra sua grande amica, nonché moglie dell’amico e noto critico Emilio.36 La recensione redatta per l’opera di de Céspedes è però un esempio particolarmente significativo, non solo perché completa la nostra panoramica sulle analisi bantiane degli scrittori che rappresentano la società borghese di quegli anni, ma anche perché, a livello di idee e contenuti, la linea di pensiero sviluppata da de Céspedes è molto vicina a quella seguita da Banti. L’indagine della società borghese e delle problematiche ad essa connesse, sviluppata nel romanzo e sottolineata poi dalla recensione bantiana, ha infatti per oggetto una problematica sociale che sta molto a cuore ad entrambe le autrici, ovvero quella relativa alle diverse difficoltà cui andavano incontro le donne, anche di condizione sociale medio-alta. Pubblicata nel 1949, Romanticismo polemico è la recensione a quello che molto probabilmente è il romanzo più noto della scrittrice italo-cubana e tale giudizio è uno dei pochi, fra quelli espressi dalla critica coeva, che guarda con favore ad un’opera che aveva fatto molto discutere, generando scandalo tanto nel pubblico dei lettori, quanto in quello dei critici. Prima di esaminare l’articolo nel dettaglio, è tuttavia necessario fare una premessa: il romanzo che Banti si trova a commentare ha delle analogie piuttosto evidenti con uno dei più famosi racconti della nostra autrice, Il coraggio delle donne.                                                                                                                

36 Di Maria Bellonci, Banti recensisce nel 1947 il romanzo storico Segreti dei Gonzaga, tornerà poi ad occuparsi del lavoro dell’amica nel 1965, recensendo anche Pubblici segreti; della Pieraccini invece la scrittrice commenta, nel 1952, la raccolta di note autobiografiche intitolata

Scritto nel 1940, il racconto presenta una vicenda che, per alcuni tratti, si sviluppa parallelamente a quella tracciata da de Céspedes.

Amina, la protagonista del racconto, arriva infatti a puntare una pistola carica alle tempie di un marito padrone, ma poi, giunta ormai all’indifferenza più assoluta nei confronti di quest’ultimo, non preme il grilletto. Il parallelismo con la vicenda di Alessandra, la discussa protagonista del romanzo di de Céspedes, mi sembra pertanto evidente. Potremmo anzi dire che la scrittrice italo-cubana s’inserisce nel percorso iniziato dal personaggio bantiano, sviluppandone le premesse.

Se Amina, stufa delle prevaricazioni del marito, ha trovato il coraggio di non esserne più sottomessa, ma può fare a meno del gesto estremo che sta per compiere, perché ha ormai raggiunto l’indifferenza più assoluta nei confronti del coniuge, non è così per Alessandra, che invece non può evitare di compiere tale atto. La volontà della protagonista del romanzo di de Céspedes è infatti proprio quella di abbattere “il muro” di separatezza che la divideva dal coniuge, quello stesso muro che Amina aveva invece alzato. Nel racconto bantiano manca quell’incessante bisogno di ascolto, che è continuamente riaffermato nel romanzo: il desiderio che mette in figura Alessandra, e che esprime tutta la sua urgenza mediante il compimento di un gesto estremamente tragico, è difatti quello di ricreare delle relazioni uomo-donna, alla luce di rapporti ben diversi da quelli che avevano costretto Amina a chiudersi nella propria separatezza. Ho ritenuto necessario mettere in luce questo legame proprio per il fatto che ci rivela come la nostra autrice, nel recensire una vicenda che richiama nodi problematici sui quali lei stessa aveva riflettuto e continuava a riflettere, doveva senz’altro sentirsi in qualche modo coinvolta nelle problematiche espresse da de Céspedes.

Nella propria recensione, Banti iscrive de Céspedes nella linea tracciata da Woolf, sostenendo che anche quest’autrice arrivi a misurarsi con quella «polemica di classe», con cui ogni donna «artisticamente capace» è chiamata a confrontarsi.37 Una polemica di classe che assume, secondo il giudizio bantiano, i tratti di quello che modernamente definiremmo femminismo della differenza. Sin dall’inizio del proprio esame critico, l’autrice legge infatti i toni polemici del romanzo secondo questa specifica ottica, di cui Virginia Woolf era stata precorritrice. A proposito del valore della polemica di classe, Banti dichiara esplicitamente il legame di de Céspedes con Woolf e scrive:

                                                                                                               

Persino Virginia Woolf, torre d’avorio e dama lontanissima da certi clamori, non potè sfuggirla [la polemica di classe], quando, al suo modo capzioso e trasfigurato, decise di affrontare il problema della poetica femminile: capovolgendo alla radice e additandone lo svolgimento non nella parità, ma nella estrema differenziazione.38 Tali considerazioni su Virginia Woolf, designata qui nei termini di una vera e propria antesignana del femminismo della differenza, Banti le ribadisce anche poco dopo, quando, parafrasando il finale di A room of one’s own – un testo che ritiene attualissimo e prefigurante, «della più squisita, ma anche della più assoluta rivendicazione»39 - specifica la necessità per le scrittrici di uscire dallo stadio di imitatrici della scrittura maschile.

L’interesse di Banti nei confronti delle riflessioni sviluppate dalla scrittrice inglese non è solo la conseguenza di un lavoro di riscoperta, che si sarebbe concretizzato l’anno dopo nella pubblicazione della traduzione di Jacob’s Room, bensì è indice di un apprezzamento che risulterà ben più duraturo. Negli anni a seguire, la scrittrice dedica infatti più di un saggio alla ricca produzione saggistico-letteraria della Woolf.40 In particolare, la modernità di A room of one’s own viene ribadita nell’intervento Umanità della Woolf, dove Banti nota come, sia in questo saggio che nel romanzo Orlando, emerga in modo chiaro l’importanza attribuita alle vocazioni femminili:

Quale compito sia affidato alle femminili vocazioni, quali bellezze e verità il mondo ne aspetti, ecco il fine di un discorso che nel saggio cresce di pagina in pagina, mentre nel romanzo figura da sottosuolo, da humus nutritivo. Per questo mezzo è dato leggere limpidamente il formarsi di un’opera di poesia, la forza spirituale dei suoi motivi profondi. Che non sono, davvero, il desiderio di una dimostrazione capricciosa dei vessilli di Bloosmbury.41

In uno degli articoli successivi, Il testamento di Virginia Woolf, sempre a proposito di A room of one’s own, Banti ribadisce inoltre che, grazie questo capolavoro, Woolf aveva dimostrato «di essere non soltanto un autentico poeta, ma anche un originale e violento

                                                                                                               

38 Ibidem.

39 Ibidem.

40 Ne ricordo in particolare i due specificatamente dedicati: Umanità della Woolf, apparso originariamente in «Paragone Letteratura», a. III, n. 28, aprile 1952, pp. 45-53 e successivamente raccolto nella silloge Opinioni e Il testamento di Virginia Woolf, «Paragone Letteratura», a. XIV, n. 168, dicembre 1963, pp. 100-104.  

polemista», puntualizzando che parlare di quest’autrice significa trattare di «una penna rara […] quella del ricco che spasima di dividere i suoi capitali con l’indigente».42 Assodata l’ammirazione intellettuale ed umana che Banti porta alla scrittrice inglese, si può ben comprendere in base a quali presupposti la scrittrice ricostruisca la linea ideale tra Woolf e de Céspedes, di cui si è parlato sopra. Difatti, sebbene per se stessa, come tante altre scrittrici, Banti rifiuti il termine femminista, le sue parole su de Céspedes suonano molto esplicite di come, anche secondo il suo punto di vista, questo «parteggiare per le donne» sia da ritenere un valore fondamentale:

[De Céspedes] essa sembra aver rinunciato di proposito alla felicità del consenso per dedicarsi al tormento di parteggiare. Parteggiare per le donne: che per una donna è sempre la posizione più rara e più avaramente ricompensata.43

La nostra autrice crede difatti personalmente nella necessità di assumere un punto di vista sessualmente connotato. Molto esplicative mi sembrano a tal proposito le parole di Giuseppe Nava che, nel suo saggio dedicato ai modi del racconto della Banti, esprime molto bene questo concetto:

[…] originale della Banti è l’assunzione della dimensione femminile come osservatorio privilegiato, e la percezione della condizione della donna come radicalmente «altra» da quella dell’uomo, per dati di sensibilità, cultura e storia, oltre che per struttura biologica: una storia stratificata, che è approdata ad una vera e propria condizione antropologica, non modificabile nel breve periodo da mutamenti sociali, politici e culturali.44

Di Dalla parte di lei, la scrittrice dà pertanto una lettura molto diversa da quella suggerita dagli altri critici45, prendendo le distanze anche da colleghi stimati, come Cecchi, che pure, come abbiamo avuto occasione di ricordare, considera un esempio di critico letterario veramente illustre. Anziché puntare il dito contro il gesto della                                                                                                                

42 Anna Banti, Il testamento di Virginia Woolf, cit., pp. 100-101.  

43 Anna Banti, Romanticismo polemico, cit., p. 583.

44 Giuseppe Nava, I modi del racconto nella Banti, in L’opera di Anna Banti. Atti del Convegno

di studi a Firenze, 8-9 maggio 1992, a cura di Enza Biagini, Olschki, Firenze, 1997, p. 164.

Precedentemente pubblicato anche in «Paragone Letteratura», a. XLIV, n.s., n. 37-38, febbraio-aprile 1993, pp. 52-63.

45 Si confrontino, ad esempio, le recensioni di Emilio Cecchi, La nuova de Céspedes, «L’Europeo», 23 ottobre 1949, poi, con il titolo Un romanzo di Alba de Céspedes, in Di giorno

in giorno: note di letteratura italiana contemporanea 1945-1954, Garzanti, Milano, 1954, pp.

151-155; Pietro Pancrazi, Dalla parte di lei, «Corriere della Sera», 9 novembre 1949, poi in

Italiani e stranieri, Mondadori, Milano, 1957, pp. 255-261 e Goffredo Bellonci, Dalla parte di lei, «Il giornale d’Italia», 14 dicembre 1949.

protagonista, Banti cerca piuttosto di indagarne i motivi. Sottolinea infatti che Alessandra è «innamorata dell’amore» e che «la sua tragedia fu piuttosto un atto di fedeltà a questo miraggio».46

La nostra autrice coglie inoltre anche un ulteriore aspetto che gli altri critici non rilevano. È infatti l’unica che sottolinea come de Céspedes fosse «conscia del rischio e dell’inamenità della sua tesi».47 E proprio tale inamenità della tesi supportata dal testo è anzi, secondo questo giudizio critico, il vero punto di forza del romanzo, proprio perché scandalizza il lettore, ma, nel momento in cui lo scandalizza, lo costringe a riflettervi. Le parole della scrittrice in merito sono molto chiare:

Certo non è ameno seguire il tormento di una creatura affamata di sentimentale consenso, inguaribilmente attenta alle vostre inadempienze di cuore e di fantasia; e trovarla documentata sulla figura tradizionale della dolce sposa, della compagna indulgente, comprensiva, sicura. Le donne si sono applicate, per millenni, ad apparire piacevoli e comodissime; non c’è cosa più sgradita che esser portati a rivedere i propri luoghi comuni e a dubitarne.48

La citazione è sufficientemente esplicativa di come Banti, a differenza della critica maschile, colga l’obiettivo di de Céspedes: mettere in discussione la tradizionale immagine della donna per risaltarne, attraverso una figurazione così estrema, quell’individualità, che troppo spesso alle donne non era stata riconosciuta. Individualità che è in questo caso da intendersi non tanto come un rifiuto dell’universo maschile, quanto piuttosto come rivendicazione della possibilità per le donne di esprimere il proprio punto di vista, istaurando delle relazioni fondate sull’ascolto e sul dialogo. Inoltre, come coglie Banti, la scelta di esprimere tali convinzioni nei termini di un racconto consapevolmente volto a dare scandalo, manifesta la volontà di dare maggiore visibilità ad un concetto che doveva apparire assai scomodo, proprio perché opposto a quell’immagine tradizionale e rassicurante di donna, a cui i lettori erano da sempre stati abituati.

Banti non trascura poi le notazioni di carattere stilistico e, se sulla «fluida naturalezza» dei modi di de Céspedes, come «sulla ingegnosità costruttiva della sua immaginazione»49 non ha dubbi – ricorda infatti il successo di pubblico e di critica a cui                                                                                                                

46 Anna Banti, Romanticismo polemico, cit., p. 583.

47 Ivi, p. 590.  

48 Ibidem.

andarono incontro Nessuno torna indietro e i primi racconti décespediani – non dimentica nemmeno di rilevare l’ulteriore cambio di passo che caratterizza quest’opera. In particolare, Banti si sofferma sull’ultima parte del romanzo, specificatamente incentrata sulla figura di Alessandra, definendo quelle pagine «capitoli lucidi e veloci, tutti fatti parlanti, in cui l’interiorità diventa otticamente pungente».50

In tale sottolineatura di come l’ultima parte del romanzo raffiguri in maniera quasi tangibile l’interiorità della protagonista, mi sembra possibile rilevare un’ulteriore analogia con le considerazioni fatte dalla nostra autrice a proposito della narrativa woolfiana. Nel già nominato intervento Umanità della Woolf, Banti parlando della poetica della scrittrice inglese, fa infatti un’osservazione molto simile:

Era questa, per Virginia Woolf, la realtà: un inseguirsi e inserirsi di motivi interiori, legati alla storia di un minuto o di una vita, e che prendon le mosse dalle più fugaci e terrestri occasioni: il suono di una parola, il sapore di un cibo, l’ombra di una nuvola sul mare.51

Tali capacità di «profondo accostamento alla realtà di ogni giorno»52, che Banti attribuisce a Virginia Woolf, sembrano riecheggiare quella stessa acutezza nel penetrare la profondità delle cose con cui, secondo questo giudizio critico, de Céspedes scandaglia la vicenda della sua protagonista. La nostra autrice ritiene infatti che la scrittrice italo-cubana abbia saputo dare grande concretezza alla raffigurazione dell’interiorità, scegliendo una sapiente modulazione del monologo interiore. E scrive:

[…] una vigilanza tecnica, un’intensità di scrittura difficilmente raggiungibili; ma qui certamente presenti, almeno nella seconda parte del volume, per quel ritmo di monologo assiduo, ossessivo, che come un torchio stringe l’attenzione del lettore, guidandola per i meandri di un’interiorità lineare e senza scampo.53

Nella conclusione dell’intervento, Banti puntualizza che Dalla parte di lei potrebbe essere considerato «un libro di quelli che si augurava Virginia Woolf: di midolla scrupolosamente femminile». E la ragione la trova proprio nel fatto che si tratta di un

                                                                                                               

50 Ivi, p. 590.

51 Anna Banti, Opinioni, cit., p. 68.  

52 Ivi, p. 66.

romanzo in cui «una donna ha cercato di parlar chiaro sul mondo delle donne»54, così come le donne sanno fare, partendo dalla midolla, cioè dall’intus.

Mi sembra infine interessante notare un ultimo aspetto, evidenziato dalla recensione bantiana. Nell’intervento è presente un riferimento anche ad un altro elemento del romanzo che aveva destato scandalo: un passaggio del testo in cui la relazione tra due donne assume dei toni decisamente ambigui, collocandosi al limite tra un rapporto di amicizia e qualcosa di ben più profondo. Banti parla per questo luogo del testo di «risultato esemplare». Ritiene infatti che de Céspedes raggiunga i propri vertici proprio in queste pagine, in cui mostra, facendolo a mala pena intravedere, il «presagio di un accostamento più intimo e come sillabato», dimostrando così di possedere le capacità di accostarsi ad un argomento molto difficile – tanto più se si pensa agli anni in cui è pubblicato il romanzo – con una leggerezza «che diventa poesia».55

                                                                                                               

54 Ibidem.