pro-venienti dal
noumeno,
l’unità dell’ Io rimarrebbeun
puronome.
Essa infatti sisommerebbe
cogli altri fattori dei-esperienza e parteciperebbe quindi di quella totalità, checomprende
la molteplicità dei dati; e verrebbe per talmodo ad
essere parte.Uno
tra moltinon
èveramente
uno, poiché partecipa della natura dei molti.Ma
la molteplicità delle cosenon
sta accanto all’unità dell’ Io; essa appartiene alle cose inquanto
queste sono oggetto dell’Io, ossia inquanto
tuttevengono
raccolte nell’unità della coscienza.Le
cose sono molte in quanto sono insieme, raccolte nell’unità della sintesi. Spezzata la sintesi,ognuna
è soltanto se stessa, senza riferimento di sorta alle altre.E
allora la coscienzanon può
più averneuna
per oggetto senza chiudervisi dentro, emet-tersi nell’impossibilità assoluta di passare
ad
altro. Il che vuol dire, che la cosa alloranon
è piùuna
tra molte,ma
unica.Quindi, in tanto c’è molteplicità, in
quanto
c’è sintesi dimolteplicitàe di unità.La
molteplicità, peresserequella molteplicità che è propria dell’oggetto della coscienza, implica la risoluzione della molteplicità stessa; implica cioè l’unificazione di questa nel centro a cui tutti i raggi infiniti della sfera convergono.La
molteplicitàinsomma non
si aggiunge all’unità, anzi è assorbita in questa.Non
si
ha
n-\-1,ma n—
i. Gli oggetti dell’esperienzanon
pos-sono avere tra sè anche ilsoggetto, perchè sono tuttiesso.E quando
noi sentiamo la differenza (e la differenza sola) tra noi ele cose, e l’affinità delle cose traloro, e noicome
chiusi in
una
piccolissima parte del tutto, quasi granello di sabbia in fondo all’oceanoimmenso,
noiguardiamo
36 TEORIA DELLO SPIRITO
al noi empirico,
non
a quelNoi
trascendentale, che solo è soggetto vero della nostra esperienza, e quindi è ilsolo vero Noi.
ij.
—
Apparente limite dello spirito come attività pratica.Ma
è così eliminata ogni difficoltà?Lo
spiritonon
è soltanto legato alla molteplicità dell’oggetto e delle cose.Si suol dire che esso
non
è soltanto attività teoretica, in rapporto con le cose; sì anche attività pratica,quando
sipone
in rapporto con le persone, ed è costretto quindiad
uscire dalla sua unità, ead ammettere
e riconoscere realtà trascendenti la sua.Mettiamo
bene in luce questa difficoltà, che è della maggiore importanza per le sueimmediate
conseguenze rispetto alla concezione morale della vita.Lo
spirito, si badi,non
èmai
propriamente quellapura
attività teo-retica che siimmagina
in opposizione all’attività pratica:non
èmai
teoria, contemplazione della realtà, chenon
sia intanto azione, e però creazione di realtà. Infatti
non
c’ è atto conoscitivo che
non
abbiaun
valore, ossia chenon
si giudichi, in quanto appunto atto conoscitivo,come
conformeappunto
auna
sua legge, per esser riconosciuto ono
quale dev’essere.Volgarmente pensiamo
che si sia responsabili di quel che si fa, enon
di quel che si pensa, quasinon
si potesse pensare altrimentida come
si pensa, e noi fossimo bensì padroni della nostra condotta,non
però delle nostre idee.Le
quali sarebbero soltanto quelle che possono essere, quelle che la realtà le fa essere.Ma
questa volgare credenza,
quantunque
accettata ancheda
filosofi insigni, è
un
errore gravissimo. Se noinon
fossimo autori delle nostre idee, se cioè le nostre ideenon
fosseropure
azioni nostre, essenon
sarebbero nostre, enon
sipotrebbero giudicare,
non
avrebbero valore:non
sarebbero nè vere nè false. Sarebbero,sempre
e tutte, quelle certe idee cheuna
necessità naturale e irrazionale le farebbe37 essere: tutte e
sempre
indistintamente concorrenti nellamente umana
impotente a ogni discriminazione e scelta.Il che è assurdo: perchè questa stessa tesi scettica
non
sipuò
pensare, se si vuole, senon ad un
patto: che cioè la si tenga per vera, investita cioè d’un valore di verità, per cui essa deve pensarsi, e la sua contraria rifiutarsi.Dunque,
ogni atto spirituale (compreso quello che è ritenuto semplicemente teoretico) è pratico, in quantoha un
valore, essendo onon
essendo quale dev’essere; e perciò è libero o nostro.Ogni
atto, pertanto, è spirituale inquanto
è governatoda una
legge, per la quale si chiede conto agli uomininon
pure di quel che fanno,ma
di quel chedicono o chepotrebbero direpoichélo pensano.Si
ponga mente
bensì che questa leggenon ha
nulla che fare con le leggi proprie dei fatti naturali: le qualinon
sono altro che fatti, esse stesse; laddoveuna
legge dello spiritoè,come
sidice,un
ideale, ossiaun’idea chelospirito si rappresenta distintamente dal suo operare.E
noi tutti si pensa che altro sia in fatti lo spirito, altro la legge che lo governa.Lo
spirito è libertà;ma
è anche, eappunto
perciò, legge, che esso distingue
da
sècome
superiore alla sua propria attività.Ancora.
La
legge dello spirito è razionale: e in ciò sidistingue pure dalla legge di natura. Quest’altra è quella che è, e
non
cirimane
checonstatarla, essendovano
ricer-carne
un
perchè. Il perchè d’un terremoto o diun
altro male fisico qualsiasi lo chiediamonon
alla natura, ma, se mai, a Dio, che cipuò
rendere intelligibile lanaturacome
opera dello spirito, o atto di volontà.La
legge spirituale, invece, in ogni sua determinazione,ha sempre un
perchè determinato, che parla all’animo nostro il suo proprio linguaggio. Il poeta che corregge l’opera sua, obbedisce auna
legge chegliparlail linguaggio del suostesso genio;niente più familiare e più intimo al filosofo, della voce che lo
ammonisce
via via, impedendogli di insisterene-gli errori dei quali egli si accorga. Ogni legge che altri.
38 TEORIA DELLO SPIRITO
educatore o superiore,
imponga
alla nostra condotta, s’impone davvero ed efficacemente,quando
ci riesca tra-sparente ne’ suoimotivi e nella sua intrinsecarazionalità, e così adeguata alla nostra concreta natura spirituale.In conclusione, se lo spirito è libero in
quanto
limitatoda
leggi, queste legginon
sono a lui realtà diversada
quella che esso realizza,ma
la realtà stessa.Lo
spiritonon
sipuò
concepire in libertà, col proprio valore, senon
vedendosi al cospetto di altri spiriti. L’ Io che,come
soggetto di
pura
astratta conoscenza,ha
bisogno del non-io,come
libertàha
bisogno diun
altro Io.E
ecco l’uomo pensare aDio come
autore della legge, che s’im-pone
a lui e a tutti gliuomini
particolari; ecco l’uomo cingersi di doveri, e porre intorno a sè tanti spiriti, tante persone, quanti soggetti occorrono ai diritti, chei suoi doveri riconoscono.
E quando guardiamo
dentro allanostra stessa coscienza, alvalore diquelchefacciamo, di quel che diciamo a noi stessi, ci par quasi di vedereinfiniti occhi aperti a guardare anch’essi lì dentro, per giudicarci.
La
necessità stessa della molteplicità delle cose, cheabbiamo
già chiarita, ci fa forza a concepire molteplici doveri, molti soggetti di diritto, molte persone.Il cui concetto