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tamente oggettiva, che, come tale, è la negazione del soggetto, e conduce perciò al misticismo, autonegazione

dell’ individualità del soggetto, e identificazione

immediata

di sè con l’oggetto. L’ immortalità invece è affermazione che il soggetto fa di sè nel proprio assoluto valore.

Onde

accade che talune forme di ateismo naturalistico,

nega-trici dell' immortalità perchè negatrici d’ogni trascen-denza, riescono sostanzialmente più positive di certi at-teggiamenti mistici nel rispetto dell’affermazione di quel valore

immanente

dell’anima, che si vuole affermare col concetto dell’ immortalità.

Ma

si vedrà pure più innanzi

i che la religione nella sua estrema e ideale posizione

non

! è realizzabile: perchè lo stesso misticismo, che nega il

I valore del soggetto, è attività di questo, e quindi

impli-!

cita affermazione del suo valore.

La

trascendenza

asso-i luta allo spirito

non

si

può

affermare senza negarsi.

Dio non può

essere tanto Dio che

non

sia lo stesso

uomo.

;

Ed

ecco che lo sviluppo della consapevolezza di questo

immanente

rapporto dell’oggetto col soggetto

sviluppo

dovuto

al lavoro del pensiero, in cui consiste la riflessione filosofica

— conduce da una

parte a contaminare la

pu-rezza della religione con la razionalità del soggetto, e dall’altra a contemperare e integrare l’eternità di

Dio

con l’eternità dello spirito. ^Sicché

non

il concetto di

Dio pone

l’anima immortale;

ma

il concetto di

Dio

in quanto nostro concetto, e quindi manifestazione della potenza dello spirito; ossiail concetto dellanostra anima, la quale, volgendosi a Dio,

non

sa concepirlo se

non

eterno; esso implica l’immortalità.

Ed

è quindi il concetto della pro-pria immortalità, o dell’assoluto valore della propria af-fermazione, che genera quel concetto di Dio, a cui si

connette il concetto di

un’anima

immortale: ovvero il

concetto di

un Dio

vero e proprio, che è essere eterno.

9.

Religiosità di tutti i valori.

Dio

o

un

nostro figliuolo, o la nostra madre, o il frutto dell’opera nostra, che è la nostra proprietà, o il frutto del nostro ingegno, che è la nostra filosofìa, la nostra arte, tutto ciò che vale per noi,

ha un

valore, in

quanto

il suo valore trionfa dei limiti della nostra vita naturale oltre la morte, nell’ immortalità.

E

l’uomo con quella stessa aspirazione

onde

si ricongiunge a

Dio

e a’suoi morti, che

non

sono più nel

mondo

dell’esperienza, in

un

altro

mondo,

si ricongiunge pure in questo a quelli che vi rimangono, ai suoi eredi, a cui lega il frutto del suo lavoro, e a’ suoi posteri a cui affida e

tramanda

le creazioni del suo spi-rito: perchè tutta la sua personalità s’eterna in tutto ciò che

ha

per lui valore,

come

realtà della sua propria vita.

io.

- Aporie del concetto dei valori oggettivi.

Quali che siano, per altro, i particolari in cui la fede dell’immortalità si determina, questa fede è

immanente,

perchè, in sostanza, 1’ immortalità è la spiritualità stessa, si

può

dire, dello spirito: quel valore assoluto, che è

ca-140 TEORIA DELLO SPIRITO

rattere essenziale d’ogni

forma

e d’ogni

momento

di at-tività spirituale. Tutte le aporie tormentose dell’

immor-talità son derivate dalla proiezione che lo spirito fa del proprio valore nell’oggetto, che è il regno del molte-plice (dello spazio e del tempo): aporie che si sono

ri-specchiate, conseguentemente, in tutte quelle che in ogni

tempo han

travagliato lo stesso concetto dell’assolutezza del valore, generando lo scetticismo proprio di tutte le concezioni naturalistiche e relativistiche delconoscere, del-l’operare e di quanto

va

concepito

come

atto spirituale.

li.

L‘ immortalità come attributo dello spirito.

Ma

tutte le aporie si dissipano

quando

il

problema

dell’ immortalità

venga

posto ne’ suoi termini. L’

immor-talità è dello spirito, e lo spirito

non

è la natura, e

ap-punto

perciò, e soltanto perciò,

non

si chiude nei limiti di nessuna cosa naturale, e della natura in genere, che

non

è

mai

tutta. Giacché la natura,

come non

è infinita spazialmente,

non

è infinita nè pure nel tempo.

E non

è,

per le stesse ragioni, per cui s’ è

veduto

che è indefinita spazialmente: che sono le ragioni in cui trova la sua so-luzione la

prima

delle antinomie kantiane 1.

La

natura

non

è

temporalmente

infinita,

ma

finita: i suoi termini bensì sono spostabili; e la loro essenziale spostabilità importa che il suo

tempo

sia indefinito.

Ma

l’indefini-tezza del

tempo

è 1’ infinità temporale dello spirito nella sua unità, che resta

uno

anche moltiplicandosi, poiché ogni molteplicità

suppone sempre

l’unità. Cercare che cosa era al principio della natura e che cosa sarà alla

1

La

quale, come tutti sanno, dice nella tesi : «Il

mondo

neltempoha uncominciamento, e, inquanto allospazio, è chiuso entro certi limiti», e nell'antitesi: «Il

mondo

non ha nè comin-ciamento, nè limitinello spazio,

ma

è infinito rispetto al tempo come rispetto allo spazio».

fine è proporsi

un problema

privo di senso: perchè la

natura è concepibile soltanto

come una

data natura (questa natura), chiusa entro certi limiti di tempo, as-segnabili soltanto in

quanto non

sono assoluti, e lo spi-rito li supera nell’atto stesso di porli.

Ma

questa indefi-nitezza della natura, a sua volta,

non

sarebbe intelligi-bile se

non

fosse effetto della infinità dello spirito, che

pone

tutti i limiti di

tempo

superandoli, e quindi acco-gliendo in sè e risolvendo nella propria

immanente

unità ogni molteplicità temporale.

12.

— La

personalità immortale.

La

conclusione è, che se noi empiricamente ci consi-deriamo nel tempo, ci naturalizziamo, e ci chiudiamo entro certi limiti (la nascita e la morte), di là dai quali

non

possiamo

non

vedere annientata la nostra

persona-lità.

Ma

questa personalità, per cui entriamo nel

mondo

del molteplice e degli individui naturali, nel senso aristo-telico, è radicata in

una

personalità superiore, e soltanto in essaè reale.

La

quale contiene la

prima

e tutte le altre empiriche personalità e

quanto

altro si dispiega nello spazio e nel

tempo;

e

non

si

può

dire che sia

prima

del nascere dell’altra e

dopo

del suo morire; perchè questo

«

prima

» e questo «

dopo

» farebbero decadere lei stessa dall’uno nelmolteplice,e distruggerebbero l’uno,

distrug-gendo

quindi anche il molteplice:

ma

è fuori di ogni

«

prima

e

dopo

», di contro al tempo, che essa fa es-sere, nell’ eterno. In un’eternità,

ben

inteso, che

non

trascende il tempo, quasi

una

realtà che stia fuori di un’altra.

Ormai

è chiaro. L’eternità dello spirito è la stessa mortalità della natura, perchè ciò che è indefinito dal

punto

divista delmolteplice, è infinito

da

quello dell’uno.

La

vita, la realtà dello spirito è nell’esperienza (nella natura di cui l’esperienza è coscienza):

ma

esso ci vive

I4 2 TEORIA DELLO SPIRITO

dentro senza esservi assorbito e senza diventar

mai

esso stesso natura, anzi conservando

sempre

la propria

infi-nità o unità, senza la quale la stessa natura col suo molteplice (spazio e tempo) si dileguerebbe.

La

sola immortalità, dunque, alla quale si possa pen-sare, e alla quale effettivamente si è

sempre

pensato, affermando V immortalità dello spirito, è la immortalità

dell’ Io trascendentale;

non

quella, in cui si è

fantasti-camente

irretita la mitica interpretazione filosofica di quest’

immanente

affermazione dello spirito, l’

immor-talità dell’ individuo empirico;

onde

nel regno dell’ im-mortalità si viene a proiettare la molteplicità, e per conseguenza la spazialità e temporalità della natura.

13.

I bisogni del cuore.

essa lascia insoddisfatto alcuno dei bisogni del nostro cuore.

Lo

crederà chi

non

riesce a collocarsi al

punto

di vista del nostro idealismo, insistente

sempre

sulla necessità di passare dal pensiero astratto al con-creto, a ravvisare la realtà nella sua indefettibile condi-zione d’ inerire al pensiero: al pensiero inteso

non come

qualcosa che in sè si possa pensare (quale astratta pos-sibilità di pensiero), bensì

come

pensare attuale.

Ma

chi siasi collocato a questo

punto

di vista, deve stare attento, per dircosì, a collocarvisi con tutti

due

gli occhie a

non

guardare con

un

occhio al pensiero concreto, in cui la molteplicità è molteplicità dell’uno, e la natura perciò è spirito; e con l’ altro al pensiero astratto, in cui la molteplicità

non

è altro che molteplicità, e la natura è natura, di dallo spirito.

Che

è ciò che fanno tutti quelli che protestano e assicurano d’aver capito che cosa sia questo Io trascendentale al quale bisogna legare il

mondo

dell’esperienza; e poi tornano a cercare nel puro

mondo

dell’esperienza la risposta ai problemi che

sor-gono

dal profondo dell’

animo

loro, ossia

appunto

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