scon-nesse e molteplici (che sarà la«natura»
da Bacone
eHob-bes a
Hume). O
metafìsica diombre
vane, o prostrazione della ragione innanzi al massiccio ignoto e inconoscibile.8.
—
Merito di Kant, e suo errore.Quando
vieneKant
con la sua sintesi a priori che lega l’ intuizione al concetto inun
rapporto, dal quale l’una e l’altro dipendono, e senza il quale perciò nè l’unanè l’altro sono, si riprende bensì, con assai maggior vi-gore di Cartesio, lo sforzo di fare
immanente
l’universale all’ individuo, e quindi render questo davvero concepi-bile.Ma Kant
stessooppone
alfenomeno
ilnoumeno,
in cui è la vera radice dell’ individuale oggetto di quel-l’esperienza, senza la quale il pensiero resterebbe chiuso nella rete universale delle sue forme pure (che sono, nel linguaggio kantiano, gli universali degli Scolastici).
E
quando,
dopo
Kant, si toglie dimezzo
ilnoumeno,
e nello stesso pensiero che è l’universale si reca l’elemento o ilmomento
individuale, la speculazione, che pureaf-ferma non
potersi concepire altro individuo che l’auto-coscienza,non
sa rendereintelligibile questa autocoscienza senon
trascendendola nella natura e nella pura logica, che è, un’altra volta, il regno degli universali, sul quale,come
sull’ impero di Carlo V, il solenon tramonta
mai, e dal qualenon
è possibile uscire. L’universaleinsomma
si torna a separare dall’ individuo, per rivoltarsi contro di esso, e divorarlo.
9.
—
Il nuovo nominalismo prammatistico.Negli ultimi tempi la questione degli universali è
ritor-nata in onore nella dottrina del carattere pratico delle leggi e dei concetti matematici e naturalistici.
La
quale meritauna
considerazione a parte, perchè,mentre
rin-nova
il vecchio nominalismo, pare accennare, ancorchéda
lontano, a quella dottrinadell’immanenza
dell’univer-sale nel particolare, in cui,come
si vedrà meglio in se-guito, consiste propriamente l’individuo, che,soltanto è individuo,ma non
è natura.Alcuni gnoseologi moderni, venuti la maggior parte alla filosofia dalle scienze naturali o matematiche, e ispiran-dosi a osservazioni scaturite dalla stessa critica di queste scienze (Avenarius, Mach, Rickert, Bergson, Poincaré, ecc.),
hanno
avvertito che i concetti dei naturalisticome
74 TEORIA DELLO SPIRITO
le definizioni dei matematici
hanno
soltanto quel valore che vien loro conferito dalservire a certi finideterminati.Non
rispecchiano il reale, che èsempre
diverso, e quindimeramente
individuale; e perciònon
sono vera e propria conoscenza. Nel caso delle scienze naturali, sono piut-tosto simboli, etichette, schemi riassuntivi e mnemonici, foggiati dall’uomo allo scopo di orientarsi nell’esperienza, didominare
colminimo
sforzo la grande folla delle per-cezioni singole e comunicare altrui in formule abbre-viate le proprie esperienze; nel caso delle scienze mate-matiche, sono costruzioni convenzionali, la cui validità perciò è voluta,ma non
è concepibilecome
esistente in sè, e quindicome
vera: è voluta cioè, potendosi anchenon
volere. Molte sono le varietà di queste concezioni gnoseologiche, che si possono però tutte denominare,come
alcune di esse infatti sono state battezzate,pram-matistiche;perchè, contrapponendolaconoscenzaall’azione e la verità ai fini pratici del volere,
negano
il carattere conoscitivo e quindi il valore di verità ai concetti univer-sali proprii delle scienze naturali e alle matematiche, e attribuiscono a tali concetti il carattere di azioni dirette al raggiungimento diuno
scopo.io.
—
Differenza tra l’antico e il nuovo nominalismoLa
differenza tra il nominalismomoderno
e l’antico starebbe in ciò, che laddove l’anticomanteneva
la ne-cessità del concetto per la conoscenza dell’ individuo, ilmoderno
rinunzia affatto al carattere universale della co-noscenza, epone
1’ individuo stesso, nella suastretta indi-vidualità, di fronte al pensiero.La
cui conoscenza si ridur-rebbe pertanto, quand’è conoscenza, a semplice intuizione immediata. Differenza per altro che è più un’esigenza, essa stessa, cheuna
reale deduzione; poiché è molto dif-ficile dimostrare che, sia pure per semplice intuizione, ilpensiero possa affisare
un
oggetto affattoindividualesenza75
veruna
luce di universalità.Quand’anche
l’oggetto in-tuitonon
sia intuitoneppure come un
esistente (e nèanche come un non
esistente); quando, tutto assorto nella contemplazione, lo spiritonon
abbia ancora discriminatopunto
l’oggetto, einon
potrànon
investirlo, almeno, dalla categoria dell’ intuito, senza di che intuizionenon
ci sa-rebbe. Categoria, che importa il concetto dell’essere, o dell’oggetto, ocome
altrimenti si voglia denominare.Sicché l’ individualità
nuda non
è intuibile.li.
—
Loro identità.Ma
che individuo è quello che ilnuovo
nominalismo contrappone al generico concetto ?Non
è essopropria-mente una pura
estrema individualità, spoglia d’ogni de-terminazione, bensìun
individuo, sempre, formato,deter-minato
:un
cane, p. es., che è qui ora innanzi a me, enon
il cane (la specie cane) che lo zoologo foggia rita-gliando le differenze individuali dalle rappresentazioni dei singoli cani: differenze, senzale qualinon
c’èpiùun
cane vivo,ma
soltantoun
tipo artificiale, utile alla sistema-zione delleforme
osservate e alloro apprendimento. Ora, cotesto individuo evidentemente è intuito in quanto è determinato anche giusta quel tipo, per artificiale che questo voglia considerarsi; e quanto viva è la coscienza dell’imprecisione e arbitrarietà del tipo ritagliato dal-l’esperienza viva, altrettanto imprecisa e arbitraria sarà per noi l’intuizione del singolo, che a quello si appoggia.E
tanto la nostra intuizione si perfezionerà, acquistando diprecisione e necessità,quanto
più siverràperfezionandoilnostro concetto, spogliandosidellasuaartificiositàe ade-guandosi sempre più
da
vicino all’intima essenzadel reale;finché, se ci persuadiamo filosoficamente che laintima
es-senza di questo cane,
come
di questa pietra e di tutto, sia lo spirito, il concetto di questo, ed esso per l’appunto, cifarà intuire, e cioè, propriamente, pensare l’individuo.
76 TEORIA DELLO SPIRITO
Ma, restando nelpresupposto che l’obbiettività
non
sia senon
dell’ individuo, a cui ilpensierodeve
aderire senza compenetrarlo delle sue costruzioni, de’ suoi concetti, e cioè di se stesso,non
è possibile sfuggire alle conseguenze, disastrose per la conoscenza, che derivavano dal vecchio nominalismo, e che derivano tuttavia dal nuovo.12.
—
Il carattere praticistico del nuovo nominalismo,e il primato kantiano della ragion pratica.
Al
vecchio errore, per altro, di voler raggiungere l’ in-dividuo senza l’universale, ilnominalismo
dellamoderna
gnoseologia delle scienze ne aggiunge
uno
nuovo, deri-vante dall’equivoco che si annida nella concezionepram-matistica. L’equivoco inverità
non
è di datarecentissima.Prammatistica è la celebre teoria esposta
da Kant
nellaCritica della ragion pratica, del primato della ragion
pura
pratica nella sua unione colla speculativa. «Se la ragion pratica», diceKant
>, «non
potesseammettere
e pensarecome
dato nient’altro che ciò che la ragione speculativa per sè le potesse presentare per propria cognizione, la ragione speculativa terrebbe il primato.Ma,
posto che essa avesse per sè principii originali a priori, con cui fos-sero legate inseparabilmente certe posizioni teoretiche, le quali però si sottraessero a tutta la cognizione possibile della ragione speculativa (benchénon
dovessero contrad-diread
essa), allora la questione è di stabilire quale in-teresse2 sia il più alto (non qualedovrebbe
cedere, perchè l’unonon
sioppone
necessariamente all’altro); distabi-1 Krit. d. prakt. Vernunft, in Gesamm. Schriften hg. v. der Preuss. Akad. d. Wissensch., Bd. V, pp. 119-120(trad. Capra).
2 «
Ad
ogni facoltà dellospirito», ha già detto Kant, «si puòattribuire un interesse, cioè un principio, che contiene la condi-zione alla quale soltanto vien promosso 1’esercizio di questa facoltà».
77
lire, se la ragione speculativa, la quale
non
sa niente di tutto ciò che la ragion praticale propone diammettere
[immortalità dell’anima, libertà del volere ed esistenza di Dio, oggetti di quella speculazione metafìsicachela Critica dellaragionpura
ha
dimostratoillegittima],debba
accettare queste proposizioni, e,quantunque
per essa siano trascen-denti, cercaredi conciliarle coisuoiconcetti,come una
pos-sessione estranea che le vieneaffidata, o se essasia giusti-ficata a seguire ostinatamente il suo interesse particolare, e, secondo la canonicadi Epicuro, a rigettarecome vuota
sofisticheria tutto ciò che
non può
confermare la sua realtà oggettivamediante
esempi evidenti, chedevono
esserestabiliti nell’esperienza,per
quanto
ciò sialegatocol-l’interesse dell’uso (puro) pratico, e in sè
non
sia nè anche contradittoriocoll’uso teoretico, semplicemente perchèrecaveramente
pregiudizio all’ interesse della ragione specu-lativa, in quanto sopprime i limiti che questa si è posti, e l’abbandona a tutte le assurdità e a tutte le illusioni dell’ immaginazione»La
ragione speculativa,come
si vede,non
è altro che la filosofia dalpunto
di vista della Critica della ragion pura, la quale mira a dimostrare la possibilità della ma-tematica e della fisica, enon suppone
altromondo
oltre quelloche questescienze sipropongono
diconoscere:cioè,la natura.
La
ragion pratica, d’altra parte, è, in sostanza, la filosofia dalpunto
di vista dello spirito o della legge morale, la quale ci traead
affermare la libertà, 1immor-talità e Dio. Quale delle
due
filosofie deve prevalere?Poiché, dice Kant, quella stessa ragione, che
speculati-vamente non può
spingersi oltre i confini dell’esperienza, praticamentepuò
giudicare e giudica secondo principii a priori, ed enuncia proposizioni che,mentre non
sono contrarie alla ragion speculativa, spettanoimprescndibil-mente
all’interesse pratico della stessa ragion pura; cioè sono tali che il negarle renderebbe impossibileuna
mo-rale; la ragione in generale, e però la stessa ragione
7» TEORIA DELLO SPIRITO
speculativa, deve
ammettere
queste proposizioni. «Am-metterle bensì», si affretta ad avvertire, «
come
qualcosadi estraneo, che
non
è cresciuto sul suo terreno,ma
che però è sufficientemente attestato: e deve cercare di con-frontarle e di connetterle con tutto ciò cheha
in suo poterecome
ragione speculativa, pur convenendo chenon
sono sue cognizioni,ma
estensioni del suo uso sottoun
altro rispetto, cioè, sotto quello pratico». Sicché si evita il
conflitto tra le
due
ragioni in quanto la speculativa sisottomette alla pratica;
ma
si sottomette, secondo Kant,non
perchè la ragione, passando dall’uso teoretico al pra-tico, estenda le proprie cognizioni, eveda
più in là cheprima non
vedesse;non
perchè la ragion pratica abbia nullada
insegnare alla speculativa: bensì perchè la ra-gion pratica ribadisce la catena che tiene quella specu-lativa dentro i cancelli dell’esperienza,dove
soltanto è legittimo il suo uso, secondo la Critica della ragion pura.13•
—
Critica del prammatismo kantiano.Se
non
che, se le proposizioni a cui è legato insepara-bilmente 1’ interesse della ragione nel suo uso pratico,non
sono cognizioni,ma
semplici postulati o articoli di fede, cui soltanto l’interesse praticopuò
conferireun
va-lore, essenon
sono comparabili alle proposizioni della ra-gione speculativa; e quindinon
c’ènè
la possibilità del conflitto,nè
della sua soppressionemediante
la subordi-nazione della ragione speculativa; ela teoria del primato èincompr
ensible. Affinchèsi possaconcepireilconflitto eil primato chelo dirime, bisogna metterei postulati della ragion pratica (semplici postulati, e
non
cognizioni dellamera
ragion speculativa) sullo stesso piano delle cogni-zioni della speculativa:come
fa, in realtà,Kant
appel-landosi dalle due ragioni, alla ragione unica che èsempre
quella, tanto nel suo uso teoretico
quanto
nel suo uso79 pratico.
E
alloranon
solo le proposizioni della pratica sono postulati per la speculativa,ma
tutte le proposi-zioni di questanon
sono più che postulati per quella; e l’unica ragionenon
potrà dichiarare meri postulati le sole proposizioni della ragione pratica, senza pagar questa di parole, e parteggiare in fatti per la speculativa.Non
diri-mere, pertanto, il conflitto, anzi inasprirlo.
In realtà, la ragione superiore, che è la filosofia, se prima, speculando sulla natura,
non ha
potuto giustifi-care senon
la causalità, eha dovuto
rifiutare quindi la possibilitàd’una scienza della libertà; speculando poisulla moralità, che è realtà spirituale, scopre la libertà.Non
la scopre già nel suo uso pratico, bensì nel suo più alto uso speculativo, qual è quello per cui ci si rende ragione della stessa attività spirituale, alla presenza della quale s’era
ben
trovata nella Critica della ragion pura.E
quan-doKant
si fermaad
affermare il valorepuramente
pra-tico dei principii della volontà, egli equivoca tra ragion praticacome
volontà che si togliead
oggetto della Cri-tica della ragion pratica e ragion pratica secondo il con-cetto che si conquista attraverso questa Critica: tra quello che sipuò
dire il fatto della morale, e la filosofia della morale.Dal punto
di vista della ragion praticacome
filosofia, i postulati sono cognizioni vere e proprie, e,come
semplici postulati,non
si possono considerare nè pure dalpunto
di vista della ragion pratica vera e propria (chenon
èmai
l’oggetto d’una speculazione,ma
una
speculazione essa stessa), sibbeneda
quello della così detta ragione speculativa: ossia di quella che, nella Critica della ragion pura, si chiude nei limiti dell’esperienza,o come
oggi si direbbe, senz’altro, della scienza.La
quale, dichiarando postulati quei tali principii, li svaluta enon
li conserva; nè sottomette davvero sè alla morale, anzi la morale a sè, naturalizzando lo stesso atto morale, che viene a considerare
un
semplice fatto condizionato8o TEORIA DELLO SPIRITO
da
siffatti principii, ai qualinon
essapuò
attribuire va-lore necessario ed assoluto.14.
—
Critica del nuovo prammatismo gnoseologico.Sicché il
prammatismo
del primato della ragion pratica nel senso kantiano èuna
sorta di scetticismonatura-listico.
E
tale è ogniprammatismo
che svalutaun
atto di conoscenza per rivalutarlocome
atto pratico. Il qualenon può
esser tale, senon ha
valore conoscitivo, cioè senon pone
innanzi allo spiritouna
realtàobbiettiva-mente
e universalmente valida.Come
di fronte alla filosofìa la morale kantiananon ha
valore (morale) se i postulati, a cui è legato inscindi-bilmente l’uso pratico della ragione,non
sono vere e proprie cognizioni; così, di fronte allamedesima,
questa economicità dei concetti dei nuovi gnoseologinon
sarebbe vera e reale economicità, se, per essere utili, gli schemi e i simboli della scienzanon
fossero veri, enon
si potesse quindidire che utili piuttosto essi sono, inquanto hanno una
verità: diversa al certo dalla verità delle rappre-sentazioni o percezioni del singolo,ma pur
tale che solo in funzione di essa si renda possibile quest’altra.Si dice infatti che tali schemi e simboli foggiati dalla volontà servono al fine di padroneggiare la
massa
delle esperienze singole e particolari;ma
è pure evidente che questo servizio essinon
potrebbero rendere, ove cancel-lassero il carattere conoscitivo delle particolari esperienze.Anche
ciascuna di queste esperienze particolaripuò
es-sere considerata—
superata che sia— come
utile;ma
utile
può
essere solo a patto di essere esperienza vera, ossia esperienza avente il suo valore di esperienza. Così, utile è in verità ogni concetto naturalistico in quanto effettivamente essocompenetra
di sé l’intuizione del sin-golo, e la rende possibileappunto come
vero e proprio concetto.8i
15-
—
L’unità dell’universale e del particolare.L’errore nasce
sempre
dalnon
guardare all’unità dei-universale e del particolare, in cui consiste precisamentel’individuo: e nel credere che innanzi al pensiero l’uni-versale,
come
antecedente o conseguente, siponga
fuori del particolare, e viceversa. Fallace credenza, in cuinon
s’incorrerebbe senon
si considerassero idue
astrattimo-menti, che l’analisi coglie nell’individuo, astrattamente,
come
elementi dell’ individualità pensata (che per sè è inerte e inorganica) anzi che pensante.16.
—
L’ individuo.Così anche oggi,
come
altempo
di Aristotele, si acuisce nelle filosofie della pura esperienza, dell’ intuizionismo e dell’estetismo, l’esigenza della individualitàcome
concre-tezza del reale, e si batte in breccia contro le astrazioni del pensiero che universaleggia l’esperienza, chiudendosi in se stesso.Ma
la filosofia, in verità,non
riesce a sot-trarsi all’alternativa antica del concetto vuoto o dell’in-tuizione cieca.Da una
parte, la luce, la chiarezza del pensiero a se stesso, l’elaborazione soggettiva dei dati immediati; elaborazione che si allontana dai dati, e ne perde le tracce. Dall’altra, il dato, l’ immediato, il posi-tivo, il concreto, che è hic et nunc,ma non
si riesce a raggiungerlo. Tutti assetati d’individualità;ma
che cosa sia quest’individuo, a cui bisogna abbracciarsi per uscire dal pelago senza fondo del pensiero e dei suoi schemi privi d’ogni portata teoretica, nessuno sa dirlo.La
do-manda
è quellamedesima
che simosse
Aristotele, in-soddisfatto dell’idealismo platonico.E
resta tuttavia senza risposta.Gentile, Teoria generaleHello Spirito. g
82 TEORIA DELLO SPIRITO
iy.
— La
positività dell’individuo.Per rispondere a tale
domanda
bisogna tornareap-punto
all’origine ideale di questa esigenza dell’individuo, e tener presente ilmotivo
per cui, sorta con Socrate e Platone la coscienza del pensierocome
realtà che sistacca dal puro immediato, oggetto dell’esperienza, si sentì il bisogno dell’elemento individuale che al pen-siero
—
quale cominciò a fissarlo di fronte allo spiritola speculazione platonica
—
era del tutto sfuggito.Che
cosamancava
a quel pensiero ? Dalla polemicaaristote-lica contro la teoria delle idee e dagli sforzi che lo stesso Platone fece nella sua speculazione per concepire il rap-porto delle idee con la natura, è chiaro, che il difetto delle idee, subito avvertito e tornato poi
sempre ad
av-vertirsi nella storia dellafilosofiaogni volta che ilpensierosi è alienato dalla realtà empirica, è questo: che le idee sono state già concepite
come
idee della realtà enon come
la realtà stessa, cosìcome
l’idea della casa, cheun
architetto deve costruire,
non
è la casa. Ora, in questo caso, 1’ idea diun
architetto, cheèuna
realtàperse stessa nellamente
dell’architetto, potrà anchenon
tradursimai
in realtà; e
ad
intendere il suo esserenon
occorre perciò che sivegga
la casa già costruita, bastando che essa, in quanto idea, sorga (possa sorgere) in chi la concepisce.Nel
caso invece delle idee e della realtà, in generale, la realtà c’è già; e alle idee sipensa
infattimovendo da
questa; e le ideesono escogitatecome
a principio o causa di essa. Sicché queste idee, effettivamente sono pensatecome
principio della realtà; e il loro concettoha
bisogno di un’integrazione per diventare concetto della realtà.La
quale realtà, pertanto,
non
è altro che le idee stesse,ma
con
una
sola differenza che le ideenon
sono reali] e la realtà sono le idee realizzate. All’ideale, proprio delpen-siero, il reale, che, per Platone e per tanti altri
dopo
di lui, è proprio della natura, sioppone
e si aggiunge solo in quanto l’idealeha da
esistere, e il reale esiste. Se Platone dice che quel che esisteveramente
o, per di più proprio, È, è anzi l’idea che la cosa, egli intendedell 'esistere o essere nel pensiero,
non
di quell’essere che (come diceKant
etanti conlui, ponendosi à quello stessopunto
di vista, a cui si colloca, del resto, lo stesso Pla-tonequando
passaad
opporrele idee allecose)non
è la nota diun
concetto.Nè
Platone,nè
nessun altromai ha
negato che l’idea del cavallonon
èun
cavallo chesi possa cavalcare.
18.
—
II positivo.Orbene, la natura di Aristotele, l’ individuo, è
appunto
questo essere che è, enon
soltanto dev’essere: è il posi-tivo. Positivo è ciò che è posto, è in essere, enon
più infieri : ove si concepisca
come
effetto, o risultato d’un pro-cesso, di essonon
si pensa che ci sia solo il principio, omagari
il processo tuttavia in corso;ma
c’è già ilfieri : ove si concepisca