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come un processo di formazione. E non può esser così concepita per la stessa ragione che impedì a Platone e

ad

Aristotele di scorgere la vita dinamica della natura.

Una

storia che sia già fatta, chiusa in sè, esaurita, si rappresenta di necessità

come

tutta collocata sullo stesso piano, con parti che si dicono successive,

ma non

hanno

vera e sostanziale successione, ordine

intrinseca-mente

necessario, nel quale ciò che vien

dopo non

possa precedere perchè implichi, e perciò presupponga, quel che

c’è prima.

Un

tale ordine infatti

non può

essere nella storia che sia semplice materia della rappresentazione storica: quest’ordine è

un

nesso, un’unità, un’elaborazione di codesta materia, che soltanto lo spirito, autore d’una certa rappresentazione storica,

può

fare; ed è appunto,

non

l’antecedente dell’attività storiografica,

ma

questa stessa attività.

Com’

è confermato dal fatto che ogni or-ganizzazione di elementi storici, nella quale ciascun

ele-mento

abbia il suo colorito e significato di positivo fatto storico, reca l’

impronta

della mentalità (politica, reli-giosa, artistica, filosofica) dello storico.

c’ è elemento materiale di storia che

permanga puntualmente

il

mede-simo attraverso le varie rappresentazioni che

ne

fanno i varistorici, pur

quando

lo si voglia spogliare di ogni par-ticolarità soggettiva

secondo la solita empirica conce-zione

e fissare nella sua scheletrica oggettività.

x6.

L’assurdo del concetto di natura.

Quel

che si è detto della storia rappresentata

come

antecedente allo spirito dello storico, basta a chiarire

53

l’assurdo della concezione evoluzionistica della natura concepita allo stesso

modo,

ossia

come

realtà presuppo-sta dallo spirito che la conosce, e quindi indipendente dalla realtà di questo spirito: qual’ è la natura che il

Dar-win

e i suoi seguaci si provarono a concepire evoluzio-nisticamente:

non

tutta

immediatamente

posta,

ma

for-matasi e formantesi a grado a grado,

non

in virtù d’una legge che tutta la natura governi in quanto processo della stessa realtà spirituale,

ma

secondo la legge del più

forte, o della scelta naturale. Scelta, detta così

come

Incus a

non

lucendo, poichénessuno sceglie :

ma una

scelta risultadalsoccombereinevitabile deipiù deboli o dall’adat-tarsi dei più forti all’ambiente.

Legge

meccanica, quale

si conviene a

una

realtà collocata di dallo spirito, per sé stante, nella sua brutalità, dalla quale

quando

che sia dovrà pur sorgere, per effetto del

meccanismo

mede-simo, la più alta specie animale, e la sua psiche, che è ragione, volontà, realtà che si

oppone

a quella di tutte le altre specie animali e di tutta la natura, e laintende, e la signoreggia. Ora, sottratto lo spirito, che è ancora

da

nascere, l’evoluzione sta alla natura darwiniana

come

la dialettica al

mondo

platonico delle idee. L’evoluzione, cioè,

non può

essere più

un

processo, perchè importa

un

sistema di rapporti già tutti posti e consolidati.

S’

immagini

infatti realmente

un momento

in cui

una

data specie ci sia, e

non

cisia ancora quella superiore che ne deve scaturire, secondo la teoria evoluzionistica pre-tende; e ove

ben

si rifletta,

non

sarà difficile avvertire che il passaggio

da un

grado all’altro della natura

non

è intelligibile se

non

trascorrendo colla

mente da

quel

mo-mento, in cui il secondo grado

non

c’ è, al successivo, in cui c’ è il

primo

e ilsecondo e illoro rapporto. In guisa che, in generale, in tutta la lunghissima catena dell’evo-luzione il

primo

anello si

pone sempre

innanzi al nostro pensiero insieme con tutti gli altri, fino all’ultimo; cioè

54 TEORIA DELLO SPIRITO

fino all’uomo, che

non

è più natura, e distrugge quindi, col solo suo intervento, la possibilità di concepire la na-tura, in quanto tale, evoluzionisticamente.

r

Ciò vuol dire che condizione imprescindibile per inten-dere la natura,

come

la storia, in

movimento,

è che l’og-getto

non

si distacchi dal soggetto, e

non

si

ponga

in sè,

nella sua irraggiungibile trascendenza; in cui

non

si riesce effettivamente a porre se

non come

oggetto già pensato, e quindi

immanente

al pensiero,

ma

astrattamente con-siderato in

modo da

prescindere dal pensiero stesso.

E

allora è ovvio che vi si troverà dentro quello che vi

si sarà messo.

iy.

Critica della dialettica hegeliana.

L’impossibilità di pensare dialetticamente

una

realtà che ci si

proponga

di pensare prescindendodall’atto stesso del pensarla,

come

realtà in sè, presupposta dall’atto con cui si pensa, fu sperimentata dallo stesso Hegel, che

ha

il merito di aver affermato la necessità del

pensamento

dialettico del reale nella sua concretezza. Hegel

appunto

vide che

non

si concepisce dialetticamente il reale, se

non

si concepisce il reale stesso

come

pensiero: e di-stinse Yintelletto che concepisce le cose, dalla ragione che concepisce lo spirito: l’uno che si rappresenta

astratta-mente

le cose analiticamente, ciascuna per sè, identica a

sè,differente

da

tutte le altre; e l’altra che le intende tutte nell’unità dello spirito,

come

identica ciascuna a

sè,

ma

anche diversa; e quindi diversa

da

tutte le altre,

ma

identica anche a tutte le altre.

Ebbene, Hegel

stesso, volendo definire nei

momenti

del suo ritmo la dialettica del pensiero, che intendesè

come

unità del vario, e quindi

le cose

come

varietà dell’uno; Hegel, dico, tornato a rap-presentarsi questa dialettica

come

legge archetipa del pensiero in atto, e quindi suo ideale presupposto,

non

potè

non

fissarla egli pure in concetti astratti e quindi

LO SPIRITO

COME

55 immobili, che sono allatto privi di ogni dialettismo, e di cui perciò

non

è dato intendere

come

possano, per se stessi, passare l’uno nell’altro e unificarsi nel reale con-tinuo

moto

logico.

Celebri sono le difficoltà incontrate

da

lui, e dai molti che vi si son provati sulle sue orme, nella deduzione delle prime categorie dellasua Logica, e quindi di quel concetto del divenire, che è il carattere specifico della dialettica.

Il divenire è identità di essere e non-essere; poiché diviene l’essere che

non

è.

Ed

ecco

Hegel muovere

dal concetto dell’essere, puro essere, scevro d’ogni determi-nazione, che è infatti il

meno

che si possa pensare, e che

non

si

può non

pensare, nella sua assoluta indetermi-natezza, per astrazion che si faccia

da

ogni contenuto del pensiero. Posto così innanzi al pensiero e determinato

mediante

la sua stessa indeterminatezza codesto concetto dell’essere, è possibile indi passare al concetto del dive-nire, e dimostrare così che niente è,

ma

tutto diviene ?

Sì, secondo Hegel; perchèl’essere

come

tale

non

è pensa-bile:

non

èpensabile

come

affatto identico, e

non

altrimenti che identico, seco stesso.

Non

è pensabile perchè, pensan-dolo privo d’ogni contenuto, assolutamente indeterminato, lo si pensa

come

nulla, o non-essere, o essere che

non

è;

e l’essere che

non

è, diviene.

— Ma,

è stato osservato, se

1’ indeterminatezza assoluta dell’essere lo ragguaglia dav-vero alnulla, noi

non abbiamo

così quell’unitàdi essere e non-essere, in cui consiste il divenire:

non

c’è quella contraddizione tra essere e non-essere, di cui parla Hegel, e che genererebbe il concetto del divenire.

Che

se l’essere è per

un

verso identico e per

un

altro diverso dal non-essere, si

ha

allora

un

essere che

non

è non-essere e

un

non-essere che

non

è essere; e

manca sempre

quell’unità del diverso, che occorre al divenire. In tal caso l’essere

come

puro essere sarebbe estraneo al non-essere

come

puro non-essere, e

non

ci sarebbe quell’incontro e quel-l’urto dei due, da cui Hegel

vede

sprizzare la scintilla

56 TEORIA DELLO SPIRITO

della vita. In conclusione, siamo,

da una

parte e dal-l’altra, innanzi a

due

cose morte, le quali

non

concor-rono in

un movimento.

18.

Riforma della dialettica hegeliana.

E

altre osservazioni si potrebbero fare, e si sono fatte;

poiché questaè stata

una

vera crux philosophorum

messa

in

campo da

Hegel,

mentre

tutti sentono la necessità di rendersi conto del concetto del divenire, nè si

può

ritenere soddisfacente la deduzione fattane

da Hegel

I.

La

quale è viziata

da

questo errore che noi

abbiamo

additato

come

proprioalladialettica intesa

come

dialettica del pensato anzi che (come solamente

può

essere conce-pita la vera dialettica) dialettica del pensare, fuori del quale

non

c’ è pensato.

L’ essere, che Hegel dovrebbe mostrare identico al non-essere nel divenire, che solo è reale,

non

è l’essere che egli definisce

come

l’assoluto indeterminato (1 as-soluto indeterminato

non può

essere altro che l’assoluto indeterminato!);

ma

l’essere del pensiero che è soggetto del definire e, in generale, pensa: ed è,

come

vide Car-tesio, in quanto pensa, ossia

non

essendo (perchè, se fosse,

il pensiero

non

sarebbe quello che è,

un

atto), e perciò

| ponendosi, divenendo2.

Sicché tutte le difficoltà incontrate dalla dialettica hegeliana

vengono

eliminate

appena

si acquisti chiara co-scienza del divario

immenso

tra la realtà, che Platone e Aristotele, il

comune

storicismo e il rude naturalismo evoluzionistico si sforzano di concepire dialetticamente.

1

Una

breve esposizione critica de’ tentativi principali di interpretazione ho data io stessonel citato volume:

La

Riforma

della Dialettica hegeliana2, cap. I.

2 Tale è il concetto da

me

esposto nel citato libro sulla

Dia-lettica, come riforma del principio hegeliano, e poi nel II voi.

del Sistema di Logica.

57

e quella realtà che la

moderna

filosofia idealistica defi-nisce

come

dialettica; l’una, realtà pensata (o pensabile, che è lo stesso); l’altra, pensante.

Sottraetevi all’ordinaria e inconsapevole astrazione per cui la realtà è quella che voi pensate, mentre, se voi la pensate,

non può

essere se

non

nel vostro pensiero; mi-rate con fermo occhio a questa vera e concreta realtà che è il pensiero in atto; e la dialetticità del reale vi ap-pariràevidenteecerta

come

certo ed evidenteèaciascuno di noi l’aver coscienza di ciò che pensa: il vedere, per esempio, quello che vede.

Capitolo V

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