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j.

Il problema hegeliano della natura.

Posta

una

dialettica

puramente

ideale, posto illogo di-stinto dalla coscienza di esso, che è lo spirito o pensiero pensante, ad Hegelrestava apertala strada a dedurre dal logo lo spirito passando attraverso la natura: giacché,

concependo

la dialettica

come

dialettica del pensato o puro pensabile, egli

aveva modo

di

ammettere una

con-cezione dialettica anche della natura, che è

un

pensato e

non un

pensante.

Ma

codesta strada,

dopo

quel che

abbiamo

detto, era soltanto

una

strada dipinta in

una

parete: perchèintanto Hegelsiconservavaiapossibilità dipensare dialetticamen-telanatura, in quanto

non aveva

ancora scopertala vera dialettica, e continuava a servirsi della vecchia e inser-vibile dialettica platonica. Noi, facendo coincidere la dia-lettica col pensiero,

non

possiamo,

come

s’è

veduto

nel capitolo precedente, neppure proporci il

problema

as-surdo della dialettica della natura: e se alla falsa conce-zione della storiaopposta allo spirito che se larappresenta

abbiamo

potuto indicare quale sia la vera concezione

da

sostituire, e

come

nella sua dialetticita

venga ad

elimi-narsi quell’opposizione e arinsaldarsi l’unità infinita dello spirito nella sua attualità; la critica invece che si è pro-posta del concetto dialettico della natura, riesce a sca-vare anche più profondo l’abisso che separa dallo spirito

codesta realtà restìa

ad

ogni

pensamento

dialettico.

E

posta la dialetticità dello spirito,

una

limitazione della dialettica pare indurre

una

limitazione alla realtà dello spirito, e quindi ridurre alla necessità di negare quell’ in-finità, che s’è detta

immanente

al concetto dello spirito.

Sorge qui

dunque

il

problema

: che cos’ è questa natura che si

oppone

allo spirito,

non

suscettibile di rappresen-tazione dialettica? questa natura, che lo spirito trova fuori di sè,

come

proprio antecedente ? Senza rispondere

a

questa

domanda

evidentemente

non potremmo

man-tenere la nostra affermazione fondamentale dell’unità

infi-nita dello spirito.

2.

— La

natura come individualità.

Ma

per poter dire che cosa sia la natura, bisogna

prima

sapere se questa natura

va

pensata

come

genere o univer-sale, o

come

individuo. Sorta con Socrate la netta distin-zione tra genere e individuo, Platone fu indottodalla

ten-denza

speculativa e trascendente della sua filosofìa a pensare la natura

come

genere, risolvendo, per conse-guenza, 1’ immediatezza e positività della realtà

propria-mente

naturale nell’idea della natura. Il vero cavallo

non

è per lui il singolo individuo particolare,

ma

la specie

(non, beninteso, nelsenso empirico delnaturalista): quella ÌKTtóvqq, quella cavallinità, di cui si racconta che celiasse

il suo avversario Antistene*.

Nè da

Platone si poteva altrimenti concepire

una

natura chefosseoggettodi scienza, o semplicemente, che fosse, senza idea.

Ma una

tale con-cezione della natura cade sotto la critica che Aristotele fa della trascendenza platonica, la quale rende incon-cepibile quell’ individuo che,

premendo

sul pensiero e richiedendod’essere inteso nella suaattualità,

aveva

fatto sorgere il

problema

dell’universale socratico. Per

Ari-1 Simplicio, in Arisi. Cai. 66 b, 45 Br.

6o TEORIA DELLO SPIRITO

stotele, la natura, nella sua opposizione al pensiero, si

pone

infatti

come

unità di forma, o idea, e del suo

oppo-sto, che è la materia (il non-ente di Platone): perchè

la sostanza è

appunto

codesta unità, che è l’individuo.

E

con Aristotele la natura comincia

ad

opporsi alla uni-versalità dell’ idea o del puro pensiero con la sua indi-vidualità, che importa l’ incarnazione della

forma

nella materia: incarnazione, che è l’attuarsi di

una

potenza

mjrcè

ilrealizzarsi della stessaforma, di cui nellamateria

non

c’è altro chel’astratta e inerte possibilità.

3.

Dottrina aristotelica dell’ individuo.

Il concetto dell’ individuo

ha

nella filosofìa aristotelica

una

grande importanza

come

affermazione della necessità di superare l’astratta posizione dell’ idea, che è lo stesso pensiero in quanto pensato.

Ma

più che

un

concetto, esso è

una

esigenza, o l’aspirazione del pensiero aristote-lico a raggiungere il concetto

immanente

dell’universale.

Il concetto, in effetti,

non

è raggiunto; e

non

poteva essere raggiunto finché la filosofia cercava la realtà, e la realtà dell’individuo, nel pensato invece che nel pen-sante. Si osservi, invero, chel’individuo si vuoldistinguere dall'idea

come

processo di realizzazione di quella realtà che sarebbe l’ idea.

Ma

questo processo di realizzazione,

come abbiamo

veduto, dal

punto

di vista aristotelico che coincide col platonico

presupponendo

al pensiero la realtà pensata,

non

è concepibile se

non

in

quanto deve

ancora cominciare (potenza, materia), o è già esaurito (atto, forma).

Di

guisa che, analizzando l’individuo, si dovrà necessariamente trovare innanzi ai

due

elementi che lo costituiscono, senza possibilità di vederne il rapporto, che sarebbe

appunto

il processo d’attuazione dell’

indivi-duo

stesso; e cioè proprio quella natura, che si vuole affermare di contro

aha

trascendente realtà delle pure idee platoniche.

4.

— La

ricerca scolastica del principium individuationis.

La

storia millenaria della questione, nata dal concetto aristotelico dell’ individuo, circa il principium, individua-tionis servì infatti a dimostrare le difficoltà

insormonta-bili a cui era

condannato

l’aristotelismo,

non

volendo restare all’universale astratto del platonismo, e tuttavia

non

potendo cercare

l’immanenza

dell’universale, ossia l’individualità sua, là

dove

soltanto è possibile trovarla:

nella realtà,che

non

è l’antecedente del pensiero,

ma

10 stesso pensare. Gl’interpreti d’Aristcjtele si

doman-darono: dei

due

elementi costitutivi dell’individuo,

ma-teria e forma, quale si deve considerare principio del-l’individuazione? Giacché, se universale è la forma,

co-me

l’aveva escogitata Platone, universale pure è, per se stessa, la materia,

come

quella dal cui seno possono uscire tutte le forme più disparate che si dispiegano nella serie indefinita degl’ individui,

non avendo

ella in sé nessuna delle determinazioni che in lei si realizzano per

l’intervento della forma. Sicché tanto la

forma

quanto lamateria, prese ciascuna

da

sé, escludono affatto la pos-sibilità d’ ogni determinazione o individuazione: l’indi-vidualità sorge dal loro incontro.

Ma,

in questo incontro, quale dei due determina l’indeterminato, e fa essere l’

in-dividuo ?

5.

— La

difficoltà della ricerca secondo G. Bruno.

Data

l’astratta dualità originaria di materia e di forma,

non

era facile trovare la ragione della loro unità, ossia

11 vero principium individui.

E

ciò vedrà chiaramente, nella maggiore maturità del Rinascimento, Giordano Bruno. Il quale, per altro,

non

potrà se

non

tornare ad affermare,

come aveva

pur fatto Aristotele

dopo

Pla-tone, l’esigenza dell’unità,

non

essendo dato

anche a

62 TEORIA DELLO SPIRITO

lui di scorgere quello cheegli dicevail punto dell’unione.

1

,

po'chè anch’egli infine

rimaneva

nella posizione della filo-sofia antica, a

immaginare

la realtà

come

presupposto del pensiero. Posizione, nella quale,

non

essendopossibile con-cepire il

movimento

e lo sviluppo, se si parte dall unità, questa rimane unità astratta e improduttiva, che

non può

render ragione della dualità; e se si parte dalla

dua-lità, questa

non può non

essere eterna dualità, perchè

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