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Prima della riforma fallimentare operata dal D.lgs 09/01/2006 n° 5 come abbiamo visto il panorama delle procedure concorsuali si caratterizzava per la compresenza di vari modelli processuali differenti (camerale, bifasico e misto); in tale panorama serviva dunque un'opera di razionalizzazione del sistema volta a garantire una maggiore uniformità della disciplina. Il legislatore a tal fine avrebbe potuto optare per un'adozione generalizzata del modello bifasico che prevedeva:

1) Una prima fase sommaria in cui il giudice godeva di ampi poteri istruttori officiosi che si concludeva con una pronuncia in forma di decreto, idonea al giudicato

2) Una seconda fase eventuale che si instaurava in seguito a

opposizione al decreto, regolata secondo le forme del procedimento ordinario.

Il modello bifasico aveva l'innegabile pregio di coniugare le garanzie del giusto processo (attraverso la possibilità di instaurare un processo, secondo le regole comuni) con una maggiore agilità e rapidità

(attraverso la prima fase sommaria che confluiva in un

provvedimento). Questo modello che fu considerato da molti in dottrina come un compromesso accettabile per rendere le forme camerali adeguate in materia di tutela dei diritti (per quanto concerne il rispetto delle garanzie costituzionali), ottenne anche alcune forti critiche che rilevano come ,data l'efficacia della dichiarazione di fallimento, pronunciata a seguito della prima fase sommaria, la seconda fase, per quanto conforme alle garanzia del gusto processo risulta, data la durata, pregiudizievole per il fallito con profili di disparità di trattamento rispetto alla posizione del creditore: “La sua

complessiva disciplina ci fa assistere ad un interessante paradosso, dove vediamo, ironicamente, rovesciarsi le garanzie nel loro

contrario ed emergere, tra debitore dichiarato fallito e creditore che ha visto respingere l'istanza di fallimento, una curiosa (forse

incostituzionale?) disparità di trattamento a favore del secondo a séguito di una disarmonia sistematica forse unica che vede i gravami in materia di dichiarazione di fallimento differenziarsi secundum eventum .In breve, il debitore dichiarato fallito deve avvalersi del meccanismo della cognizione ordinaria (con qualche irrilevante modifica) se vuole opporsi alla dichiarazione di fallimento. Gli è messo a disposizione tutto quello e proprio quello che molti

ritengono necessario per rendere accettabile dal punto di vista delle garanzie un veloce e deformalizzato procedimento camerale di prima battuta. Guardiamo le cose un po' da vicino e, se possibile, con animo disincantato. Ci renderemo subito conto che il giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento nelle forme ordinarie è una bella trappola per il fallito. Ovviamente non esiste, né sarebbe pensabile, un'inibitoria nei confronti della sentenza esecutiva. Ecco allora che possiamo benissimo immaginare che il fallito riesca beffato dal dover seguire per la sua impugnazione

solennità, cadenze predisposte per legge e formalismi del processo ordinario. Potrebbe capitargli di ottenere sì la revoca, ma dopo che il fallimento si è chiuso da un pezzo e, magari, dopo la sua morte, evenienza che lo stesso legislatore non per caso prospetta all'art. 20 l. fall. Molto migliore e più garantita, direi, la posizione del creditore che ha visto respingere l'istanza. Qui il relativo decreto è reclamabile per via camerale alla Corte d'appello e così al creditore convinto che il tribunale sia caduto in errore arriderà la speranza di ottenere in poche settimane un provvedimento che rimetta gli atti in primo grado per la dichiarazione di fallimento. Né si creda che il povero debitore sia legittimato ad avvalersi dell'art. 700 c.p.c. chiedendo

l'anticipazione in via d'urgenza degli effetti della futura sentenza di merito, in presenza di una particolare robustezza del fumus boni iuris (posto che il periculum in mora in questo caso potrebbe considerarsi in re ipsa). Tentativi del genere sono stati compiuti in passato, ma la giurisprudenza è stabilmente e giustamente orientata nel senso che non si può ricorrere alla tutela d'urgenza per ottenere la distruzione dell'efficacia giuridica di un provvedimento giurisdizionale emanato da altro giudice, in questo caso la sentenza dichiarativa di

fallimento.”116 Tali critiche inerenti l'aspetto più pratico delle procedure concorsuali non resteranno inaudite, il legislatore infatti, in sede di riforma, abbandonò il modello bifasico in favore di un'adozione generale delle forme camerali per il processo

concorsuale. A seguito di tale affermazione sembra evidente come in un'ottica di maggior tutela verso l'imprenditore sembri assurda l'adozione di quel rito così aspramente criticato per la sua

inadeguatezza nell'ambito della tutela dei diritti; e quindi è necessario contestualizzare l'adozione del rito camerale in quel trend, messo in

116 S.Chiarloni “Giusto processo e fallimento”in Riv. trim. dir. proc. civ., fasc.2,

atto dalla corte costituzionale e di cassazione, di adeguamento di questo rispetto alle garanzie costituzionalità. Di conseguenza il legislatore nell'adottare il rito camerale riprende quell'esigenza di adeguamento al giusto processo, attuandola tramite un ampio

intervento legislativo, che alla corte di cassazione era precluso. Il rito che ne viene conserva di camerale soltanto la denominazione (e l'assenza di una causa pubblica) in quanto di fatto consiste in un procedimento speciale a cognizione piena: si tratta del cosiddetto “Rito Camerale Ibrido”117. Il modello camerale “Ibrido”, con la sua

totale apertura al giusto processo abbraccia tutti i procedimenti concorsuali, che però rimangono caratterizzate da una forte

disomogeneità delle forme (dichiarazione di fallimento, accertamento del passivo etc.) tanto che possiamo dire che la materia concorsuale rimane caratterizzata da una pluralità di riti. Il rito camerale “puro” in tale ambito viene utilizzato nell’ambito dei reclami degli atti del curatore ex art 36 l. fallimentare, che poi potranno nuovamente essere impugnati ex art 26 l. fall in una nuova fase demandata invece alle forme camerali ibride, consentendo il rispetto delle garanzie costituzionali.

4.2 Il procedimento camerale ibrido per la dichiarazione di