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CAPITOLO III: Il RITO CAMERALE NEL DIRITTO DI FAMIGLIA

3.7 Il regime delle Impugnazion

Come abbiamo visto nel secondo capitolo, l'appello, nel diritto comune, ha subito un'evoluzione che ne ha alterato i tratti fisiognomici. Inizialmente tale istituto si configurava come uno strumento volto a rinnovare il giudizio di primo grado, in una piena identità di oggetto, nei limiti dell'effetto devolutivo voluto

dall'appellante, e con effetto sostitutivo. Partendo da tale quadro normativo, vediamo che il legislatore ha previsto una prima modifica all’appello quando, con la novella del 1950 e la legge n. 533 del 1973 introdusse il novellato rito del lavoro. In tale ambito ex art 437 c.p.c il legislatore configurò un giudizio di appello ove si faceva divieto di nuove domande, eccezioni e nuovi mezzi di prova; in questo modo si perse quella caratteristica di rinnovazione del giudizio in favore di uno strumento volto a una revisione della prima istanza riprendendo le difese proposte in tale sede e precludendo ogni apertura alla nova. Nel 1990, con la riforma del rito ordinario dovuta alla l n. 353 il legislatore adottò un modello di processo basato su preclusioni e decadenze portando all'adozione di un modello di appello analogo quello in materia di lavoro. Nella nuova formulazione di 345 c.p.c

troviamo infatti quella chiusura alla nova che riduce l'appello ad una

revisio priori istantiae con la conseguenza che le parti venivano

limitate nelle loro domande a quanto era già stato formulato nel primo grado. Successivamente questo trend di irrigidimento del modello del giudizio di appello, trovò nella riforma del 2012 un ulteriore passo in avanti, in tale ambito infatti si ebbe la novellazione di art. 342 e l'inserimento di 348 bis c.p.c. arricchendo il processo di appello con nuove ipotesi di inammissibilità. L'Art. 342, che

precedentemente costituiva espressione della disponibilità dell'effetto devolutivo riservato all'appellante, ora non ha più solo la funzione di delimitare l'effetto devolutivo ma pone anche l'obbligo a carico del ricorrente di indicare le circostanze di fatto su cui ha erroneamente giudicato il giudice di primo grado e le modifiche che ivi si

richiedono, prevedendo altresì che il ricorso proposto in difetto di tali elementi sia inammissibile. Questa ulteriore innovazione, accolta in maniera critica dai primi commentatori148, si configura come una mossa volta a dissuadere ,il più possibile, dall'utilizzare lo strumento dell'appello rendendo l'iniziativa più difficoltosa149. Non sarà più sufficiente indicare la parte del provvedimento che si intende impugnare, in quanto alla parte volitiva deve affiancarsi una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Ove le argomentazioni della sentenza impugnata dimostrino che le tesi della parte non sono state in effetti vagliate, l’atto di appello potrà anche consistere, con i dovuti adattamenti, in una ripresa delle linee difensive del primo grado; mentre è logico che la puntualità del giudice di primo grado nel confutare determinate argomentazioni richiederà una più specifica e rigorosa formulazione

148 Si veda Caponi in “Contro il nuovo filtro in appello e per un filtro in cassazione

nel processo civile” in www.judicium.it

149 Cecchella in “Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili”

dell’atto di appello, che dimostri insomma di aver compreso quanto esposto dal giudice di primo grado offrendo spunti per una decisione diversa. L’individuazione di un “percorso logico alternativo a quello del primo giudice”, però, non dovrà necessariamente tradursi in un “progetto alternativo di sentenza”; “Quello che viene richiesto – in

nome del criterio della razionalizzazione del processo civile, che è in funzione del rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata – è che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perché queste siano censurabili.”150

Appare evidente che l'appello sia ormai configurabile come uno strumento sempre più lontano dalla sua configurazione originaria in favore di un avvicinamento alle impugnazioni a critica vincolata, pur permanendo differenziazioni rispetto a queste in quanto non sono richieste particolari forme sacramentali per la sua proposizione e non si richiede la redazione di un progetto alternativo di decisione. In tale ottica la motivazione d'appello è ora espressione:

- Dei limiti dell'effetto devolutivo.

- Della critica alla sentenza di primo grado, all’accertamento dei fatti e alle sue conseguenze giuridiche.

- Di un giudizio prognostico sull'esito dell'appello.

Per quanto riguarda art. 348 bis invece prevede un ulteriore ipotesi di inammissibilità dell'appello ove non vi sia una ragionevole

probabilità di accoglimento, introducendo indirettamente un obbligo per il proponente di fornire un quadro sufficientemente completo, tale da consentire al giudice la possibilità di effettuare un giudizio prognostico-probabilistico sull'ammissibilità. Il legislatore con tale previsione è andato ben oltre alle estreme conseguenza dell'onere di

specificazione del motivo, in tal caso infatti l’inammissibilità non è più una sanzione prevista per una irregolarità formale, ma viene prevista in seguito a una valutazione preliminare del merito stesso. Appare subito evidente l'assonanza di questo filtro rispetto a quello previsto per il ricorso in cassazione ove la “manifesta infondatezza” del motivo indicato preclude alla trattazione nel merito; ma mentre nella manifesta infondatezza abbiamo un ambito più o meno

delineato, in quanto si fa riferimento a un'ipotesi di grossolano abuso del processo, per quanto riguarda l'espressione “ragionevole

probabilità” questa delinea un ambito applicativo molto più sfumato e indeterminato, attribuendo di fatto un ampio potere discrezionale in favore del collegio.

Dopo questo breve sunto sulla disciplina dell'appello ordinario

vediamo come l'ambito familiare, analogamente a quello fallimentare, si caratterizzerà per l'applicazione di un appello speciale. Le

motivazioni di tale fenomeno sono varie, da un lato in materia familiare, ove si controverte spesso su situazioni indisponibili, è evidente come un sistema basato su un processo dispositivo (con il motivo come questione di ammissibilità dell'appello) sia inidoneo a offrire tutela. Dall'altro c'è da tener conto dell'espansione delle forme camerali che ha imposto la scarna regolamentazione ex 737 e s.sc.p.c a vari ambiti per cui è stato necessario compiere una farraginosa opera di adeguamento del rito alle garanzie della difesa, del contraddittorio e della prova; in tale contesto il legislatore ha

disciplinato quel rito camerale, tale solo nel nomen, introducendo di fatto un procedimento speciale a cognizione piena che abbiamo chiamato rito camerale ibrido. L'esempio più evidente è ovviamente quello della disciplina fallimentare, ove tramite un'opera di riforma si sono compiute molteplici integrazioni: in materia di instaurazione del contraddittorio, di istruttoria e rilevanza della prova e di un gravame

pieno per tutti i diversi procedimenti, non consentono più un

inquadramento nella disciplina ex art. 737 e s.s c.p.c., configurando di fatto un nuovo rito speciale. In ambito familiare invece, pur introducendosi un rito molto più garantistico rispetto al camerale puro, manca la previsione di limiti al ricorso alla disciplina camerale e l'opera di adeguamento è stata compiuta solo dal punto di vista giurisprudenziale. Una peculiarità che dobbiamo rilevare in materia di appello nelle controversie familiari, è che questo rappresenti una rivincita sul sistema, infatti a una pluralità di riti in primo grado (camerali, speciali, ordinari) segue un gravame unico, disciplinato esclusivamente attraverso le forme camerali, creando un punto di uniformazione della disciplina. L'appello camerale in materia, sarà sicuramente sottoposto a un'opera di integrazione ma richiamerà comunque la disciplina ex 739 c.p.c ove sono del tutto assenti le stringenti previsioni in materia di motivazione o divieto di nova ex 342, 348 bis e 345 c.p.c 151 . Per cui anche qui, come nel diritto fallimentare avremo una totale liberalizzazione del mezzo, che avrà la sua originaria veste di strumento di rinnovazione del giudizio senza limite alle difese (anche istruttorie) delle parti distaccandosi dall'appello ordinario.

4 Prospetti di Riforma nel diritto di famiglia

Alla luce di quanto analizzato, vediamo come nel nostro ordinamento, nonostante le importanti innovazioni in materia di status filiationis apportate dalla l. n.219 del 2012 e dal decreto n.154 del 2013

permangano molteplici problematiche, a partire dalla permanenza di due organi differenti dotati di giurisdizione in merito alle questioni

151Al riguardo si veda Cecchella “L'appello giano bifronte:note sulla riforma

dell'appello comune e e l'appello delle controversie di famiglia” in Avvocati e

dei minori e dalla diversificazione dei riti qualora vengano coinvolti in un procedimento figli nati nel matrimonio o figli nati fuori del matrimonio. Questa disparità tra figli sul piano processuale, non solo vìola i principi fondamentali di uguaglianza e del giusto processo ma appare anche in contrasto con l'intenzione di equiparare lo status dei figli. Questa situazione problematica sicuramente discende

dall'assenza di un “unica autorità̀ giudiziaria,152 idonea a offrire una tutela generalizzata in tutte le controversie familiari e

conseguentemente dotata di una competenza generale. Da molti anni, nel panorama dottrinale, è auspicata la creazione di un vero e proprio Tribunale della famiglia153 a cui demandare tutte le materie inerenti la famiglia (fra cui i minori) e che attui le garanzie del giusto processo. Da queste premesse provengono le numerose proposte di riforma sulle quali è concentrato il dibattito da parte degli operatori del diritto, pur tenuto conto che lo sperato progetto di una riforma globale non si è ancora realizzato. Al riguardo vale la pena citare il disegno di legge delega del ministro Orlando approvato dalla camera dei deputati il 16/03/2016 volto alla realizzazione di una sezione specializzata per la famiglia, i minori e la persona con competenza chiara e netta su tutti gli affari relativi alla famiglia, anche non fondata sul matrimonio, e su tutti i procedimenti attualmente non rientranti nella competenza del Tribunale per i minorenni in materia civile. In tal modo, il vigente assetto di competenza del Tribunale per i minorenni verrebbe integrato dalle competenze specializzate del tribunale ordinario in materia di famiglia e della persona. Sul punto sono intervenuti in maniera molto critica le principali associazioni forensi specialistiche (Aiaf, Cammino) e anche l'Associazione

152 VELLETTI, “Il novellato art 38 disp.att.c.c e le ulteriori disposizioni a

garanzia dei diritti dei figli”, in Nuove leggi civ. comm,p 646

Italiana dei Magistrati per i minorenni e per la famiglia che, in merito alla realizzazione della sezione specializzata, ha obbiettato : “questo

non realizzerebbe affatto quella figura di ufficio giudiziario 'nuovo' per la tutela dei diritti dei soggetti di minore età̀, poiché non viene garantita la effettività̀ della specializzazione del giudice e del

pubblico ministero, specializzazione che può essere realizzata invece solo con la previsione di un organo giudiziario che eserciti le proprie competenze in via esclusiva. La scelta di istituire sezioni cosiddette specializzate presso ogni tribunale -riforma di carattere

ordinamentale inserita in poche e scarne norme di una riforma processuale –ricorderebbe da vicino precedenti progetti di riforma bocciati dal Parlamento per ragioni di conflitto con le norme della Costituzione a tutela dei diritti dell’infanzia.”154Appare dunque

evidente come in materia familiare sia necessaria una riforma volta a riformare l'assetto processuale, in coerenza con alcuni principi fondamentali e ineludibili ( a tra cui sicuramente quelli ex art. 111 della Costituzione) tenendo conto della specificità̀ della materia e soprattutto degli interessi dei soggetti coinvolti, a cominciare da quello della tutela del minore, che è un interesse costituzionalmente protetto. Si resta dunque in attesa di questa opera che rivoluzioni l'assetto attuale delle controversie familiari, introducendo un unico Giudice specializzato con competenza esclusiva in materia, ma soprattutto un unico rito che razionalizzi il sistema, e che, a prescindere dal carattere pieno o sommario della cognizione, sia rispettoso della ragionevole durata del processo, della

predeterminazione per legge delle regole processuali e della terzietà̀ del giudice.155

154 Cit comunicato stampa dell‟AIMMF del 12 settembre 2014, in

www.minoriefamiglia.it

CONCLUSIONE

Al termine del nostro elaborato appare ormai evidente come l'applicazione del rito camerale nell'ambito della tutela dei diritti comporti molteplici problematiche, sia di ordine generale per quanto riguarda gli innegabili contrasti con il disposto di art 111 cost, sia per quanto riguarda profili di specialità affrontati nelle due materie analizzate. Dobbiamo quindi sottolineare come in tale quadro normativo, molte siano le responsabilità della corte costituzionale che tradendo il suo ruolo di garante costituzionale, ha messo invece in atto un comportamento di assoluta mortificazione delle garanzie costituzionali. Riproponendo quella sua “giurisprudenza costante” ha infatti messo in atto un atteggiamento “tirannico”, continuando ad ignorare volutamente l'innovazione avvenuta nel sistema

costituzionale e l'introduzione di quei nuovi principi a cui la sua stessa giurisprudenza avrebbe dovuto conformarsi. Nell'ambito delle procedure concorsuali, questa situazione d'incertezza è stata risolta tramite l'intervento del legislatore che ha compiuto un ripensamento del modello processuale di riferimento; questo a seguito di tale opera, non può più̀ essere identificato nei procedimenti in camera di

consiglio in quanto inadeguati sia nella loro applicazione “pura”(in quanto privi delle garanzie processuali minime costituzionalmente garantite) sia nella loro funzione di “contenitore neutro”, integrato dalle forme tipiche del procedimento ordinario a cognizione piena. Il vero cambiamento, dunque si è avuto con la definizione di un nuovo “rito fallimentare camerale-ibrido” diversificato sia dalle forme del

il diritto di famiglia”, in “Il processo di famiglia: diritto vivente e riforma”, a cura di CECCHELLA, 2010, DIF

rito camerale che da quelle del rito ordinario, che si presenti come una tutela processuale “differenziata” idonea ad assolvere celermente alla composizione della crisi, senza perdere di vista le tutele

processuali costituzionalmente dovute ai soggetti che ne sono coinvolti. Nell'ambito familiare invece, quest'intervento del legislatore, tanto a lungo auspicato, non è ancora avvenuto

(nonostante fosse già stato preannunciato nel 2011 quando la materia familiare venne esclusa dall'ambito di applicazione del decreto legislativo 1/09/2011 n.150 in materia di semplificazione dei riti) in quanto il Governo si riservava di intervenire in tale materia

nell’ambito della istituzione del tribunale della famiglia e delle persone. Tale riforma appare quindi più che mai necessaria, per giungere finalmente a quella situazione di stabilità e di regulation in cui vive ora il diritto fallimentare dopo la riforma. Infatti nonostante l'importanza della materia familiare, la delicatezza delle situazioni ivi affrontate e la specifica esigenza di tutela dei soggetti “deboli” che partecipano al procedimento, persiste in materia il ricorso a un rito camerale lacunoso e contrario al requisito della predeterminazione legislativa, che al fine di conformarsi alla tutela dei principi costituzionali richiede una costante opera di interpretazione e integrazione della scientia iuris.

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