CAPITOLO III: Il RITO CAMERALE NEL DIRITTO DI FAMIGLIA
3.4 Il regime dei mezzi di prova nel diritto di famiglia
139Sul punto vedi Graziosi”Una buona novella di fine legislatura” p 273 e Damiani
in “Filiazione e processo all'indomani della L10/12/2012 n 219 p 241
140Danovi In “ nuovi modelli di separazione e divorzio” 141Corte.App. Bologna decr. 32/02/2015 in www.giuremilia.it
Nell'ambito delle relazioni familiari, a causa della particolarità delle situazioni tutelabili in tale materia, si osserva una sostanziale modifica alle regole generali che presiedono alla prova e
all’istruttoria nel processo comune, integrando nuovi mezzi di prova o piegando quelli esistenti all'esigenze proprie della materia. Questo fenomeno quindi abbraccerà tutto il diritto familiare, creando di fatto, anche nel mare della pluralità dei riti, un'oasi di uniformità.
3.4.1 La consulenza tecnica
Nel rito ordinario la consulenza tecnica ha una natura plurima che si divide tra mezzo di accertamento del fatto (specialmente quando tale accertamento richieda di nozioni tecniche di cui il giudice è privo142)
e strumento di giudizio (data la configurazione del consulente come ausiliario del giudice volta a integrarne la conoscenza con nozioni tecnico-specialistiche di cui è privo). Un aspetto sicuramente
fondamentale di questo istituto riguarda il rispetto del contraddittorio, l'art. 194 2° comma, c.p.c. infatti sancisce che "le parti possono
intervenire alle operazioni di persona o a mezzo di propri consulenti tecnici e dei difensori e possono presentare al consulente, per iscritto o a voce, osservazioni e istanze". Il consulente ha poi l'onere di
predisporre un processo verbale delle operazioni che egli compie, ove debba raccogliere le istanze e le osservazioni delle parti e dove la regola del contraddittorio nella sua concreta applicazione ha modo di oggettivarsi, ex art. 195 2° comma c.p.c. In seguito poi alla novella del 2009, intervenuta sul 5° comma di art 195 si è avuta una previsione particolarmente garantista in merito all'attuazione del
142CFR Cass. 6/06/2003 n9060 in arch.civ 2003,552; e cass.10/12/2002 n17555 in
contraddittorio nella consulenza, dato che il consulente è obbligato, al termine della sua valutazione, a trasmettere una relazione
provvisoria alle parti che a loro volta dovranno trasmettergli, nel termine fissato, le proprie osservazioni in merito. Al termine di tale scambio il consulente dovrà depositare la relazione con una
esposizione dei pareri delle parti e una valutazione di queste. La garanzia del contraddittorio, appare tutelata nel diritto comune, anche ove il consulente tecnico venga sentito in camera di consiglio (disposizione che dimostra ancora una volta la funzione non solo istruttoria in senso stretto), dato che è espressamente garantita la necessità dell'intervento delle parti e dei loro difensori oppure, ex art. 201 2° comma c.p.c., dei loro consulenti. Per quanto riguarda invece l'ambito familiare e minorile in alcuni casi, data la natura della materia, bisognerà adattare tal strumento operando delle deroghe al regime comune. Nel diritto familiare infatti, controvertendosi su situazioni che presiedono a diritti indisponibili (ex. l'interesse del minore all'affidamento o l'interesse al soddisfacimento di interessi primari), viene meno il principio dispositivo e della domanda (dato che il giudice può provvedere all'affidamento e mantenimento del minore anche in assenza della domanda) e conseguentemente anche il divieto di supplire, per il giudice, alla carente allegazione del fatto o dell'iniziativa probatoria. In conseguenza di ciò la consulenza tecnica potrà essere adoperata in questa branca del diritto con una libertà quasi assoluta, potendo essere disposto dal giudice
officiosamente, non solo per accertare il fatto ma anche per allegare circostanzi rilevanti ignorate e allargare l'ambito delle indagini, per cui assumerà preminentemente spiccate finalità istruttorie. Il suddetto strumento, ha diversi ambiti di applicazione nelle controversie
familiari, fra questi vale la pena ricordare i casi di nomina di esperti in scienze psicologiche, psichiatriche e medico legali per ottenere
pareri riguardanti le condizioni psicologiche dei minori ma anche il ricorso alla consulenza tecnica per poter valutare e ricostruire le fattispecie che danno origine ai diritti economici coinvolti nella materia (contributo per il mantenimento del figlio minore, assegno divorzile).
3.4.2 L'ascolto del minore
L'ascolto del minore è un aspetto sicuramente cruciale dei procedimenti che riguardano il minore, tanto da essere stato un argomento oggetto di plurime previsioni in ambito nazionale e internazionale. Sino alla riforma della legge n. 54 del 2006 della questione si occupavano solo due disposizioni della legge del divorzio: l'art. 4, comma 8, che permette al Presidente del tribunale, se la conciliazione non riesce, di sentire i figli minori delle parti, "qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione
della loro età̀", prima di emettere i propri provvedimenti temporanei
e urgenti; e l'art. 6, comma 9, che estende tale previsione alla fase istruttoria del procedimento di divorzio, stabilendo che, prima di emanare i provvedimenti relativi all'affidamento dei figli e al contributo per il loro mantenimento, il giudice possa assumere, qualora sia strettamente necessario anche in considerazione della loro età̀, l'audizione dei figli minori. Tali norme venivano interpretate considerando l'audizione ivi prevista non come un atto dovuto ma come un atto rimesso alla discrezionalità da parte del giudice, che questo poteva eventualmente disporre in base al suo prudente apprezzamento, rendendolo di fatto uno strumento ben poco
utilizzato. Da tempo, in ambito internazionale, l'ascolto del minore si era andato affermando come un elemento fondamentale, e sull'onda
montante delle normative internazionali ed europee143, anche il legislatore italiano si è infine risolto a una presa di posizione più̀ forte. Con la legge n. 54 del 2006, dunque, nell'introdurre il c.d. affidamento condiviso, il legislatore ha pure inserito nel codice civile l'art. 155 sexies, c. c. che stabiliva che prima dell'emanazione dei provvedimenti previsti dall'art. 155 c.c., sull'affidamento e sul mantenimento della prole minorenne, il giudice dispone l'audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età̀ inferiore, se ritenuto capace di discernimento. Arriviamo infine alla riforma operata dalla legge l219/2012 che introdusse art 315 bis c.c che, tra i diritti del figlio, al comma terzo, sancisce quello del minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età̀ inferiore ove capace di discernimento, di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Tale legge richiama inevitabilmente la nota pronuncia della corte di cassazione 21/10/2009 (che a sua volta richiama la convenzione internazionale di New York del 91 e quella di Strasburgo del 96) ove statuiva la necessarietà” dell'audizione del
minore del cui affidamento deve disporsi, salvo che tale ascolto possa essere in contrasto con i suoi interessi fondamentali e
dovendosi motivare l'eventuale assenza di discernimento dei minori che possa giustificarne l'omesso ascolto”. Al minore viene quindi
riconosciuto un vero e proprio diritto a essere ascoltato a cui corrisponde un obbligo del giudice di provvedere in tal senso. La 154/2013 ha poi affievolito tale obbligatorietà, abrogando l'art 155 sexies, e attribuendo al giudice un potere discrezionale sul mettere o meno in esecuzione il diritto all'ascolto; in particolare art 336 bis c.c
143 Sul punto possiamo ricordare i recenti interventi in art. 12 della convenzione
delle Nazioni Unite del 1989 sui diritti dell’infanzia;a convenzione di Strasburgo del 2003 sulle relazioni personali. Il ruolo di tale ascolto ha particolare importanza anche nel regolamento europeo n. 2201 del 2003, ove l’art. 23 inserisce proprio la mancata audizione del minore (salvi i casi di urgenza) tra i motivi che escludono l’esecuzione in uno Stato membro della decisione in materia di responsabilità genitoriale di un altro Stato membri
prevede che ove l'ascolto del minore sia manifestatamene superfluo o contro il suo interesse non procede dandone poi spiegazione in un decreto motivato. Quanto a queste deroghe è necessario specificare cosa si intenda per “contrario all'interesse del figlio” e “superfluo”, nel primo caso appare evidente che la ratio sia evitare al minore una fonte di sofferenza ove versi in uno stato di particolare fragilità emotiva e psicologica. Per quanto riguarda invece la manifesta superfluità sorgono alcuni dubbi: la relazione illustrativa del D.lgs 154/2013 afferma che tale clausola va intesa come specificazione di quella precedente in quanto un ascolto superfluo su circostanze chiare e non contestate non può che essere dannoso per il minore. In realtà appare dubbio che un'audizione possa essere inutile, anche se su fatti pacifici, con tale impostazione infatti si considera l'ascolto come un mezzo di prova, quando invece la sua natura è differente. Secondo la suprema corte, infatti, l'audizione del minore “non
rappresenta una testimonianza o un altro atto istruttorio rivolto a acquisire una risultanza favorevole all'una o all'altra soluzione di giudizio, bensì un momento formale del procedimento deputato a raccogliere le opinioni e i bisogni rappresentati dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto”144