CAPITOLO III: Il RITO CAMERALE NEL DIRITTO DI FAMIGLIA
3.6 La fase decisoria e l'esecutività del provvedimento conclusivo
Terminata la fase istruttoria, dato che la disciplina sul procedimento camerale non prevede la presenza di un'ulteriore udienza per
precisare le conclusioni bisogna ritenere che le parti siano tenute a depositare, entro un termine, gli scritti conclusivi o a partecipare alla discussione orale della causa. Per quanto concerne la forma del provvedimento conclusivo si utilizza il decreto motivato (ex 737 c.p.c e art 38 c3° disp.att c.c) che, secondo la previsione di art 741 c.p.c, diventerebbe efficace solo una volta decorso il termine per proporre reclamo, salvi i casi in cui il collegio vi attribuisca
immediata efficacia per ragioni di urgenzatale disciplina trova però una deroga nel diritto di famiglia, materia che come abbiamo detto si caratterizza, come il diritto fallimentare, per una connaturata
esigenza di una tutela urgente, attraverso una misura che plachi il conflitto familiare nel termine più breve possibile. Ciò comporta non solo l'esigenza di una tutela anticipatoria, che prescinde dall'esigenza cautelare, ma anche la necessità di una misura conclusiva
immediatamente efficace come appunto previsto da art 38 c3° disp. Att. c.c. Tale aspetto, che oggi appare scontato è stato invece frutto di un'evoluzione sistematica; inizialmente infatti il legislatore
prevedeva l'immediata efficacia per i provvedimenti anticipatori ma non per tutti i provvedimenti conclusivi in materia familiare.
con la forma di sentenza, che venivano emessi in seguito alla fase di merito del giudizio di separazione e divorzio, o per quelli emessi a seguito di un procedimento di merito che seguisse le forme del rito ordinario, (ex art282 c.p.c). Più complessa era invece la questione, delle misure personali riguardanti il figlio minore, per le quali non era stata prevista infatti un'esecutività, probabilmente a causa delle loro modalità attuative particolari, del tutto differenti rispetto all'esecuzione forzata. In questo ambito si è inserita la novella di art 38 3°comma delle disposizioni attuative del c.c che ha previsto, in deroga all'art 741 c.p.c che: “i provvedimenti emessi sono
immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga
diversamente”. Di conseguenza si stabilisce un regime di immediata
esecutività, a cui il giudice può derogare discrezionalmente; possibilità che, secondo la dottrina145, andrebbe demandata solo al
giudice del reclamo, che può inibire l'efficacia esecutiva del decreto ove ricorrano i gravi e fondati motivi di art 283 c.p.c, in virtù di un principio generale di provvisoria esecutività dei provvedimenti di primo grado. A seguito di questa integrazione della disciplina del procedimento camerale si va a conformare il provvedimento conclusivo ivi emesso alla sentenza del giudizio ordinario di
cognizione e soprattutto si va a colmare una disparità di trattamento dei figli nati fuori dal matrimonio rispetto ai figli coniugali. Infatti mentre le misure relative all'affidamento e mantenimento dei primi erano prive di un'immediata esecutività ciò era previsto a favore dei secondi nell'ambito del procedimento di separazione e divorzio. Per quanto concerne infine la revocabilità e modificabilità del
provvedimento, abbiamo come riferimento art 742 c.p.c e art 337 quinquies dalla cui lettura congiunta si ricava la possibilità per il
145 Tommaseo in”La nuova legge sulla filiazione:profili processuali” in Famiglia e
tribunale che lo ha emesso, di modificare o revocare il decreto attraverso le forme del procedimento camerale. Requisito necessario per chiedere la modifica delle condizioni di affidamento e
mantenimento dei figli da parte dei genitori, è il mutamento della situazione di fatto esistente rispetto al momento della pronuncia, tali provvedimenti sono infatti emessi res sic stantibus per cui ove la situazione sia mutata sarà possibile modificare le condizioni imposte dal giudice. Si deve trattare di fatti nuovi rilevanti rispetto alla precedente valutazione del giudice e quindi sarà possibile chiederli solo ove si abbia un mutamento nella situazione patrimoniale e/o personale dei coniugi.
Avverso il provvedimento conclusivo è proponibile reclamo nel termine di dieci giorni dalla notifica alla controparte o in quello di sei mesi dal deposito in cancelleria (come previsto da art 327 c.p.c), il ricorso deve essere proposto con la forma del ricorso che va
notificato dal reclamante al convenuto da parte del legittimato che è il genitore. Per quanto concerne poi l'ulteriore impugnabilità del decreto pronunciato in corte d'appello nulla ci dice il legislatore, sul punto dobbiamo rilevare che il giudizio sul mantenimento e
affidamento del minore dei figli non coniugali ha sicuramente natura contenziosa, pur non avendo la forma della sentenza; di conseguenza bisognerà reputare il decreto reso dalla corte d'appello ulteriormente impugnabile con lo strumento del ricorso straordinario in cassazione ex art. 111 c. 7° cost.146A conferma di tale interpretazione si è espressa la suprema corte: “Il decreto della corte d'appello,
contenente i provvedimenti in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio e le disposizioni relative al loro mantenimento è ricorribile per cassazione ai sensi dell'art 111 Cost. Poiché già in
146 Lupoi in “Aspetti processuali della normativa sull'affidamento condiviso” in
Riv.trim.dir.e.proc.civi 2006 p 1322;Figone “La riforma della filiazione e della
vigore dalla l.8 febbraio 2006,n.5-che tendeva ad assimilare la posizione dei figli non coniugali a quella dei figli nati nel matrimonio-ed a maggior ragione dopo l'entrata in vigore del d.lgs.28 dicembre 2013,n154-che ha abolito ogni distinzione-al predetto decreto vanno riconosciuti i requisiti della decisorietà, in quanto risolve contrapposte pretese di diritto soggettivo, e di
definitività, perché ha un'efficacia assimilabile 'rebus sic stantibus' a quella del giudicato”147