S EZIONE II: I NTERESSE OGGETTIVO E REFERENTI CAUSALI ESTERNI DI NATURA NON NEGOZIALE
4.15. L’atto di procura Cenni in tema di donazione
Meritevole di un breve cenno è anche il fondamento causale della procura, ossia nel negozio giuridico con cui l’interessato conferisce il potere rappresentativo ad altro soggetto, che potrà dunque agire, in nome e per conto del conferente, quale suo rappresentante.
Il negozio di procura, che si presenta abitualmente come unilaterale, di per sé non rivela la sua giustificazione concreta, al punto che essa viene spesso connotata con i caratteri dell’autonomia e dell’astrattezza rispetto al rapporto di gestione (nel quale si ravvisa la “causa” del conferimento del potere rappresentativo).
In proposito, si osserva in dottrina che, se è vero che il potere rappresentativo può essere insensibile al rapporto di gestione (nel senso che può non menzionarlo, o non essere affiancato da alcun rapporto di gestione in senso proprio), “ciò non significa che la procura sia priva di causa: alla base di essa non può non esservi – dichiarata o taciuta – una ragione giustificativa del conferimento di rappresentanza, fatta di interessi personali e atipici quanto si vuole, ma pur
sempre meritevoli di tutela” (296). Ed allora, se la causa del negozio in esame non
può ravvisarsi nella pura e semplice volontà di conferire procura – il che apparirebbe una tautologia e finirebbe con lo smentire, di fatto, il principio causalistico –, essa risiede appunto in un assetto di interessi, che può attenere all’assunzione dell’obbligo del procuratore di compiere uno o più atti giuridici in
296 V. Roppo, Il contratto, cit., 260. Aggiunge il medesimo Autore, in altro punto (V. Roppo, Il
contratto, cit., 640), che è tautologico e autoreferenziale dire che causa della procura è il
conferimento dei poteri rappresentativi, “laddove sappiamo che la causa della procura va cercata al
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nome e per conto del conferente (qualora la procura acceda ad un contratto di mandato con rappresentanza), oppure ad un interesse individuale “esterno” all’atto di procura. Rispetto all’assetto complessivo, peraltro, vengono in considerazione – al di là della struttura in genere unilaterale dell’atto di conferimento di procura – sia la posizione del rappresentato che quella del rappresentato.
Meritevole di interesse, ai fini di uno sviluppo applicativo di quanto appena accennato, è la disciplina speciale delle deleghe di voto rilasciate a seguito di sollecitazione di deleghe, ai sensi del T.U.F. (297). Posto infatti che il meccanismo delle deleghe di voto ha una rilevanza che va oltre i rapporti (interni) tra delegato e delegante, essendo concepito come un vero e proprio strumento di gestione della società (298), può ritenersi che la delega conferita in esito alla sollecitazione rivolta a tutti gli azionisti di una società quotata rappresenti uno strumento nell’interesse (anche e soprattutto) del delegato, il quale sollecita il conferimento di deleghe in suo favore per raggiungere un sufficiente peso assembleare, e dunque “si serve” delle stesse per orientare le scelte della società. Lo scopo e giustificazione della delega, che ne influenza la disciplina giuridica, va allora oltre l’oggetto della stessa – ossia il conferimento di un potere rappresentativo da parte del delegante in riferimento ad una determinata assemblea – assumendo un peculiare significato nel contesto dei rapporti societarî in cui la delega è raccolta e dovrà essere esercitata.
Da ultimo, sempre con riguardo al tema del referente causale esterno di natura non negoziale, appare interessante svolgere alcune considerazioni circa il contratto di donazione.
297 La disciplina della sollecitazione di deleghe di voto delle società quotate è contenuta negli artt.
136-144 del D.Lgs. n. 58/98 (T.U.F.) e negli artt. 135-139 del Regolamento Emittenti Consob.
298 Di qui l’esistenza di previsioni legislative e regolamentari molto analitiche in ordine agli obblighi
informativi nella redazione del prospetto informativo diffuso dal sollecitante, ivi compresa l’attenzione dedicata all’obbligo di puntuale e corretta segnalazione di eventuali profili di conflitto di interessi.
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Si è già avuto modo di accennare al fatto che non appare sostenibile, in quanto eccessivamente riduttiva, la tesi secondo cui gli atti liberali si distinguerebbero rispetto ai negozî interessati: anche il contratto di donazione, invero, trova la propria giustificazione nel perseguimento di un assetto di interessi, in cui l’interesse patrimoniale del donatario converge con quello non patrimoniale del donante. Nonostante non manchino opinioni contrarie, deve dunque ritenersi che ordinamento considera l’interesse liberale un sufficiente supporto causale (299); in proposito, parte della dottrina sembra ravvisare la causa dell’atto donativo nell’interesse del donante (animus donandi), come elemento psicologico esterno rispetto al regolamento negoziale, e dunque all’oggetto della donazione.
Proprio con riferimento al complesso tema dell’individuazione della causa nelle liberalità, e più in generale della ravvisabilità stessa di una causa liberale a fronte di un negozio non caratterizzato da corrispettività tra prestazioni, è stata posta l’attenzione sulla necessità di esaminare gli interessi che l’atto è destinato a perseguire, i quali sono ricavabili in via interpretativa dall’operazione complessiva (300).
Premesso, infatti, che l’interesse non economico del donante è il criterio di identificazione e distinzione delle liberalità, si osserva al riguardo che “debba risultare con una certa obiettiva sicurezza se l’atto è o non è destinato a tutelare un interesse economico del donante, ossia se l’atto, o l’operazione economica più vasta, non appresta alcun meccanismo diretto a far conseguire al donante un vantaggio economico che rappresenti il compenso per l’attribuzione effettuata. In mancanza di un corrispettivo espressamente pattuito, l’interesse «economico» idoneo ad escludere eventualmente l’idea della liberalità dovrà dunque entrare a
299 V. Caredda, op. cit., 121 (v. anche, per ulteriori approfondimenti, pp. 118s.). L’Autrice dà conto
della soluzione interpretativa secondo cui la liberalità si presenterebbe, nella donazione, come causa completa ed autonoma, mentre, negli altri atti di liberalità, solo come causa “generica”.
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far parte del contenuto del contratto attraverso una specifica clausola, o dell’operazione attraverso il collegamento con altri atti o negozi o, comunque, la sua rilevanza dovrà essere rivelata dall’uso di tutti gli strumenti interpretativi” (301). Ciò in coerenza con la nozione di liberalità, che si sostanzia in assenza di corrispettivo, disinteresse (economico o patrimoniale), indipendenza giuridica dell’attribuzione effettuata rispetto ad altre attribuzioni (302
).
Il concreto interesse, quale fondamento causale della stipulazione non liberale, dunque, può essere accertato con riguardo a referenti oggettivi esterni al negozio, anche a prescindere da una effettiva expressio causae. Diverso è invece il caso della liberalità (donativa o non donativa che sia), in riferimento alla quale il referente della causa è la spontanea volontà di arricchire per spirito liberale il beneficiario. In definitiva, dunque, è sostenibile che, nel caso della donazione, sussista un peculiare referente esterno (rispetto al quale secondo taluni si pone una specifica esigenza di expressio causae), consistente nell’animus liberale.
301 V. Caredda, op. cit., 37s.
302 V. Caredda, op. cit., 59. L’Autrice chiarisce come liberalità e gratuità siano concetti operanti, a
ben vedere, su piani differenti: mentre infatti la gratuità (speculare all’onerosità) esprime valutazioni prevalentemente economiche e si riferisce all’assenza di un sacrificio in capo all’acquirente, la liberalità indica assenza di corrispettivo; l’onerosità, peraltro, di per sé non implica l’interdipendenza tra le prestazioni, che invece è caratteristica del nesso di corrispettività (nel caso della donazione modale, ad esempio, si avrebbe liberalità con forti elementi di onerosità): V. Caredda, op. cit., 57ss.
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SEZIONE III:LA RILEVANZA CAUSALE DEL CONTESTO NEGOZIALE
4.16. Premessa
Prendendo ad esame altre significative ipotesi negoziali, estremamente diffuse negli odierni traffici giuridici, appare sostenibile la rilevanza causale, quale referente esterno dell’assetto di interessi giuridicamente rilevante, dello specifico contesto in cui il contratto è consapevolmente collocato dalle parti ed è destinato ad essere eseguito, al punto da trovare, nei fatti e nelle circostanze che lo connotano, la propria concreta ragione giustificativa. In altri termini, in alcuni casi la funzione e giustificazione concreta del negozio non si disvelano (in maniera compiuta) sulla base di referenti interni (oggetto) o esterni di natura negoziale, né in relazione a singole situazioni di fatto o di diritto (quali l’interesse di gruppo, di cui si è detto), ma emergono soltanto tenendo conto della situazione complessiva entro cui il negozio viene concluso o è destinato ad essere attuato.
Particolare significato assumono, al riguardo, proprio quelle ipotesi in cui l’assetto di interessi complessivamente perseguito non si caratterizza per uno scambio in senso stretto tra prestazioni, né per una semplice funzione associativa o mutualistica, ma si sostanzia in una convergenza o compresenza di interessi, che in quel contesto trovano giustificazione e (quantomeno potenzialmente) attuazione.