In prima analisi, alla luce di quanto sopra osservato, indagare la causa di un negozio giuridico significa coglierne la funzione oggettivata, la ragione giustificatrice, in relazione all’assetto di interessi divisato dalle parti, avuto riguardo – non ai meri motivi soggettivi in quanto tali, bensì – alla funzione economico- individuale del negozio, che potrà essere ulteriore (o addirittura diversa) rispetto a quella astratta che tipicamente connota lo schema negoziale (tipo) utilizzato dalle parti o dal disponente.
Se l’impostazione unitaria della causa senza dubbio convince, non potendosi avere riguardo allo scopo che ciascuna parte persegue assumendo il proprio vincolo (136), definire la causa come concreta funzione e giustificazione del contratto non spiega tuttavia come (o meglio, sulla base di quali elementi o referenti) possa essere condotto il relativo accertamento in concreto.
136 Il che significherebbe ricadere in prospettive atomistiche risalenti alla concezione dalla cause
suffisante, la quale contrasterebbe non solo con le direttive del Codice civile del ’42, ma anche e
soprattutto con l’esigenza di una visione non frammentaria del fenomeno causale: E. Navarretta, op.
cit., 274, ove si osserva altresì che “il centrismo del sinallagma oneroso si è incentrato a lungo anche nel nostro ordinamento inducendo a confondere la funzione dell’atto con il suo carattere oneroso o gratuito. Basti menzionare, in proposito, i tentativi di conferire rilievo causale alla controprestazione dell’obbligo in fattispecie, quali la fideiussione, la datio in solutum e il contratto autonomo di garanzia” (E. Navarretta, ibidem, nt. 257). In realtà, anche con riguardo a tali ipotesi
l’assetto di interessi concretamente divisato ben può implicare un’utilità o un vantaggio per colui che si obblighi o rilasci la garanzia: tale utilità, come è stato evidenziato, assume rilevanza causale, se si vuole nell’ottica di uno “scambio” non più rigidamente ancorato al rapporto tra controprestazioni in senso tecnico.
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Accolta dunque la nozione di “funzione” intesa come giustificazione concreta del negozio (quand’anche quest’ultimo si risolva in una prestazione apparentemente “isolata”), e compreso come lo “scopo” altro non sia se non la manifestazione di tale “funzione” sulla base di determinati referenti obiettivi, è allora opportuno muovere un passo ulteriore e chiedersi quali siano gli elementi in cui quella funzione o giustificazione si sostanzi, ovvero, adottando un approccio più pragmatico, quali presupposti o referenti debbano essere presi in considerazione per individuare la causa, mostrando la propria “rilevanza” nell’ottica dell’accertamento causale, e quali invece – ai fini che ci occupano – rimangano non illuminati dal “faro” del diritto, ossia relegati al mondo del c.d. “irrilevante giuridico”.
In argomento, è stata autorevolmente condotta in dottrina un’analisi in tema di presupposti obiettivi della causa, su cui occorre in questa sede soffermarsi. Discorrendo dell’accertamento causale, si è già visto nelle pagine precedenti come la dottrina abbia individuato due momenti: un primo, di carattere ermeneutico- ricostruttivo, operante su un piano strutturale; un secondo, cui il primo è propedeutico, attinente alla verifica dell’effettiva capacità di funzionamento della causa.
L’accertamento causale sarebbe dunque completato dal riscontro dei presupposti di funzionamento della causa, ossia di quei presupposti il cui ruolo non sarebbe quello di identificare tout court la causa, “bensì di svelare se tale elemento sia in grado di funzionare”. Nello specifico, i presupposti causali potrebbero ordinarsi in tre categorie: “presupposti causali di tipo oggettivo interni alla struttura dell’atto e spesso coincidenti con altri elementi essenziali del contratto, a partire dall’oggetto; presupposti causali di tipo oggettivo esterni alla struttura dell’atto; e presupposti causali di tipo soggettivo e dunque interni alla volontà del disponente” (137).
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Con riguardo ai presupposti causali di tipo oggettivo interni alla struttura dell’atto, si fa essenzialmente riferimento alle ipotesi in cui il presupposto della funzione risiede nell’oggetto (si pensi allo scambio di diritti o di prestazioni), nel senso che esso evidenzia il meccanismo operativo della causa, con la conseguenza che, se è vero che la mancanza dell’oggetto assorbe il difetto di causa, quest’ultima assume autonomo rilievo quando la controprestazione non è idonea a sorreggere la funzione di scambio. Si cita, in proposito, l’esempio (138) della causa simbolica, in cui il contratto di scambio si caratterizza per una prestazione di valore di per sé simbolico; della causa non trasparente, in cui una prestazione rivela la sua irrisorietà in rapporto alla controprestazione; della causa putativa, ravvisata dalla giurisprudenza allorquando un contraente si impegni a pagare un corrispettivo per una situazione giuridica che in realtà gli spetta per legge (139), o per una facoltà sua di diritto (140), o ancora per una facoltà non suscettibile di essere oggetto di trasferimento, in quanto attinente a una funzione pubblica (141).
Quanto alla possibile coincidenza tra presupposto causale ed elemento oggettivo esterno al contratto, si osserva che “la funzione di un atto non può che essere afferente e intrinseca all’atto stesso e, dunque, l’elemento esterno non può essere in sé la causa, con gli eventuali risvolti ipotizzati in termini di astrazione o di causalità. D’altro canto, il carattere necessariamente interno della causa non impedisce che il suo concreto funzionamento possa dipendere da un quid esterno all’atto, sicché la rilevanza di tale elemento deriva solo dalla sua incidenza
sull’originaria funzionalità dell’atto” (142
).
138 E. Navarretta, op. cit., 277 ss.
139 Cass. 27 luglio 1987, n. 6492, in Giust. civ. Mass., 1987, 1875.
140 Trib. Torino, 23 marzo 1987, n. 1567, ined., citata da E. Navarretta, op. cit., 284, nt. 301, che ha
dichiarato la nullità di un contratto fra il condominio e un condomino proprietario del solaio, in forza del quale il condomino si era impegnato a pagare un corrispettivo per esercitare la facoltà di aprire “finestrotti” nel tetto per dare aria e luce al locale.
141 Cass. 14 febbraio 1984, n. 1115, in Mass. Foro it., 1984. 142
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Come tipico esempio di presupposto causale esterno viene richiamato il rischio nel contratto di assicurazione (art. 1895 cod. civ.), il quale – osserva l’Autrice citata – non è la causa del contratto, ma il presupposto esterno senza il quale la causa assicurativa non può funzionare; analogamente, si fa riferimento all’esistenza in vita al momento del contratto della persona in caso di rendita vitalizia (art. 1876 cod. civ.); si ritiene, inoltre, che ipotesi di presupposto causale esterno (questa volta di natura giuridica) sia l’esistenza dell’obbligazione originaria rispetto alla causa novativa (art. 1234 cod. civ.) (143).