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Teoria dello “scopo” della prestazione in relazione a negozî che non contengano in sé la loro causa.

Nel documento Causa e referenti obiettivi esterni (pagine 34-38)

Causa, dunque, è in prima approssimazione funzione e giustificazione concreta del negozio. Considerata l’accezione e i limiti della teoria funzionale, come tradizionalmente sviluppata nel pensiero giuridico, occorre però intendersi sulla nozione di “funzione” (appunto, in senso economico-individuale) cui si intenda accedere.

E’ nota l’autorevole tesi di Giorgianni, secondo cui, premesso appunto che nel nostro ordinamento la “funzione” del negozio assume frequentemente il ruolo di “causa”, ossia di “giustificazione” dello spostamento patrimoniale attuato mediante il negozio stesso, la “causa” deve essere ricercata talvolta al di fuori di quella “funzione”, allorquando, in particolare, lo spostamento patrimoniale non si presenti come effetto di un negozio che contenga in sé la sua causa (60).

Merita al riguardo ripercorrere sinteticamente i passaggi argomentativi dell’Autore, in quanto snodo imprescindibile per la presente ricerca, sia pure nei limiti che si diranno.

Vi sono – osserva Giorgianni – ipotesi nelle quali lo spostamento patrimoniale trova la propria giustificazione causale nel negozio stesso che lo pone in essere: “ciò avviene esemplarmente nei contratti obbligatori, nei quali gli effetti,

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La descrizione della causa come sintesi degli effetti del negozio, a ben vedere, implica un salto logico, perché non spiega quale sia la giustificazione di quegli effetti: piuttosto, la causa risiede nella sintesi degli interessi, o, meglio, nell’assetto di interessi complessivo concretamente perseguito dalle parti con il negozio.

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ovverosia le obbligazioni che sorgono a carico dei soggetti, trovano la loro giustificazione nello stesso negozio, ovverosia nello intrecciarsi delle obbligazioni

stesse” (61). Nel nostro ordinamento, dunque, “la «funzione» riconosciuta degna di

tutela dall’ordinamento giuridico […] è sufficiente nella maggior parte dei casi a fornire contemporaneamente al negozio il suo fondamento causale. La «funzione»

del negozio diventa, quindi, «causa» di esso” (62). In altre situazioni (più confacenti

all’ordinamento germanico, ma ritenute non estranee al nostro), invece, lo spostamento patrimoniale non si presenta come effetto di un negozio che contenga in sé la causa: “in queste ipotesi è possibile rinvenire nel negozio solo la indicazione dello «scopo» avuto di mira dal soggetto, mentre la giustificazione e il

«fondamento» della prestazione vanno ricercati al di fuori del negozio stesso” (63).

In sintesi, l’argomentazione muove dalla considerazione per cui, in riferimento alle prestazioni tipiche che costituiscono il contenuto dei contratti incidenti su situazioni giuridiche patrimoniali (trasferimento della proprietà, costituzione e trasferimento di altri diritti, concessione del godimento, rinunzia ai diritti, trasferimento del danaro e di titoli di credito, assunzione di obbligazioni) non sarebbe possibile parlare di “funzione” della prestazione in sé e per sé, né di “causa” della stessa, dal momento che l’ordinamento valuta la prestazione esclusivamente in termini di liceità e possibilità (arg. ex art. 1346 cod. civ.) e “la singola prestazione riceverà la «funzione» e la «causa» in seno al contratto nel

quale sarà inserita” (64). Così, con riguardo alle ipotesi di rinunzia, remissione,

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M. Giorgianni, ibidem.

62 M. Giorgianni, ibidem.

63 M. Giorgianni, ibidem. L’Autore osserva che l’avere trascurato queste ipotesi – ossia quelle in cui,

a suo avviso, la giustificazione deve essere ricercata al di fuori del negozio stesso – o l’averle relegate al piano dell’astrattezza consisterebbe in uno dei principali difetti della teoria della “funzione”.

64 M. Giorgianni, op. cit., 565: si fa l’esempio della costituzione del diritto reale di usufrutto, che

avrà funzione di scambio nel caso in cui l’altra parte si addossi una “prestazione” di qualsiasi tipo, mentre sarà a titolo gratuito (più precisamente, liberale) se effettuata animo donandi .

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fideiussione e cessione del credito il problema della causa è ritenuto apparente, trattandosi di “prestazioni” tipiche “le quali ricevono la loro causa in seno al contratto nel quale sono inserite, senza che per questo esse possano essere ritenute

atti astratti ovvero a «causa variabile» (65).

Se però la prestazione si presenta “isolata” in senso strutturale (e non semplicemente in senso estrinseco, come avverrebbe in caso di documentazione separata di prestazioni contrapposte riferite al medesimo contratto), “sarebbe vano ricercare la giustificazione causale dello spostamento patrimoniale nella «funzione» della prestazione ovvero in quella del negozio che la pone in essere” (66). Nel caso di prestazione effettuata per adempiere un obbligo, ad esempio, tale prestazione – che può anche essere diversa da quella dovuta, laddove si abbia datio in solutum – “trova la sua giustificazione causale al di fuori di essa, e cioè nella esistenza di una precedente obbligazione, la quale, è bene osservare, potrebbe

anche non avere origine negoziale (ad esempio risarcimento per atto illecito)” (67).

Il controllo dell’ordinamento giuridico, allora, non potrebbe esercitarsi con riferimento al singolo atto (di adempimento dell’obbligo), ma allo scopo che il disponente intende realizzare (68).

65

M. Giorgianni, op. cit., 566, ove si ricorda che la cessione del credito nel Codice abrogato era invece regolata come contratto di scambio (art. 1538 ss.). Secondo l’Autore, “quando, adunque, la

prestazione si inserisce in un contratto, o in genere in un negozio, che abbia una propria «funzione» il problema della «causa» di questo si confonde con quello della sua «funzione», nel senso che il giudizio effettuato dall’ordinamento sulla rispondenza della combinazione delle prestazioni ad «interessi meritevoli di tutela», soddisfa contemporaneamente la esigenza di «giustificazione» (ratio) della combinazione stessa”. Sulla possibilità che lo scopo rimandi ad una giustificazione

oggettiva posta al di fuori delle prestazioni, cfr. altresì P. Trimarchi, Istituzioni di diritto privato, Milano, 1986, 225.

66 M. Giorgianni, ibidem. 67 M. Giorgianni, ibidem.

68 A. Di Majo, op. cit., 5, ove si fa riferimento alle ipotesi di trasferimento che attuino obbligazioni

naturali (art. 2034 cod. civ.) o dationes in solutum (art. 1197 cod. civ.), adempimenti del terzo (art. 1180 cod. civ.), atti di esecuzione della causa mandati (art. 1706 cod. civ.), atti di trasferimento da parte dell’onerato nell’ipotesi di legato di cosa altrui (art. 651 cod. civ.), atti di conferma o di esecuzione di negozi nulli (artt. 590 e 799 cod. civ.) e in generale adempimenti di obblighi risarcitorî che non si risolvono nel pagamento di somme.

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Nella c.d. “prestazione isolata”, in altri termini, pur esaurendo essa l’oggetto del negozio posto in essere, la causa di quest’ultimo non sarebbe desumibile dal suo contenuto concreto, ma dallo “scopo” indicato dal disponente, quale ad esempio l’adempimento di una precedente obbligazione civile o naturale, lo spirito di liberalità, la retribuzione di una controprestazione di “fatto”. “Qui la causa assume di conseguenza due significazioni, l’una spiccatamente soggettiva e l’altra oggettiva: venendo la prima ad indicare lo scopo, e la seconda la effettiva esistenza del rapporto che giustifica la prestazione […]. Si ripresenta allora quel dualismo […] tra l’aspetto soggettivo e oggettivo della causa – ovverosia tra lo «scopo» ed il «fondamento» del negozio, tra Zweck e Grund –, il quale costituisce un motivo fondamentale della teoria ottocentesca della causa, la quale lo deriva

dai due filoni fondamentali della promissio e della traditio” (69). La prestazione

(apparentemente) isolata – sulla quale si tornerà anche nel prosieguo della presente trattazione, quale interessante momento di emersione del referente causale esterno (v. infra, § 4.2) – diviene allora esplicitazione del profilo soggettivo della causa, al punto che si parla di “animus” (solvendi o donandi), rinvenendo, in assenza di un obiettivo intrecciarsi di prestazioni, la caratterizzazione causale della prestazione nello “scopo” del disponente.

In definitiva, secondo l’autorevole dottrina richiamata, “funzione” e “scopo” verrebbero rispettivamente in considerazione a seconda che la prestazione si inserisca in un negozio caratterizzato da una propria funzione tipizzata, ovvero sia “isolata”, e dunque sorretta unicamente dallo scopo dichiarato dal disponente (non essendo, si osserva, la prestazione di per sé idonea ad avere una propria “funzione”, tipologicamente intesa).

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2.5. Nozione di “funzione” come attitudine del negozio ad un concreto assetto

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