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La c.d “prestazione isolata” e il pagamento traslativo

Nel documento Causa e referenti obiettivi esterni (pagine 97-102)

S EZIONE I: G LI EFFETTI DI UN DISTINTO ATTO GIURIDICO NEGOZIALE COME REFERENTE CAUSALE ESTERNO

4.2. La c.d “prestazione isolata” e il pagamento traslativo

La c.d. “prestazione isolata” (177

), come accennato, costituisce una interessante ipotesi in cui l’oggetto in senso tecnico del negozio giuridico – di regola il trasferimento della proprietà di un bene a titolo gratuito – non ne rivela la giustificazione, perché di per sé non chiarisce a che titolo il trasferimento venga effettuato e dunque quale sia l’assetto di interessi oggettivamente perseguito dai soggetti coinvolti nell’operazione giuridico-economica. In altri termini, non basta prendere in considerazione l’effetto giuridico voluto dal disponente e dall’accettante (appunto, il trasferimento gratuito del diritto), né considerare il referente obiettivo interno (la prestazione o l’attribuzione) per rivelarne la giustificazione concreta, e portare così a compimento l’accertamento causale.

Come è noto, l’art. 1376 cod. civ. codifica la regola del consenso traslativo, disponendo che “nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato”.

177 Una recente menzione giurisprudenziale alla “prestazione isolata” si rinviene in Cass., Sez. Un.,

18 marzo 2010, n. 6538, in Giur. it., 2010, 248, secondo cui in questo caso “è difficile individuare

una causa oggettiva nel senso tradizionale, dato che non c'è una coincidenza fra la funzione pratica del contratto e la causa economico-giuridica tradizionale; e che tuttavia anche per questi negozi, classificati «astratti» o «a causa astratta o generica», è egualmente indispensabile individuare la causa sia pure in base ad una impostazione differente non soggetta all’obbligo predeterminato di modelli astratti, ma attenta strettamente al negozio posto in essere dai contraenti, nonché all’affare nel suo complesso”.

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In tale ottica, l’obbligazione di dare – intesa, nel codice previgente, quale obbligazione di fare acquistare la proprietà derivante da un negozio i cui effetti immediati sono meramente obbligatorî – perderebbe a rigore autonomia giuridica, traducendosi nella diversa obbligazione di consegnare una cosa determinata, in conseguenza del trasferimento del diritto già intervenuto per effetto della prestazione del consenso legittimamente manifestato. Il contratto di compravendita è così, al tempo stesso, titulus e modus adquirendi (178).

Fermo il principio consensualistico, ci si è però chiesti se sia ammissibile anche nell’ordinamento giuridico italiano ravvisare il titolo dell’effetto traslativo in un atto o negozio giuridico successivo e distinto rispetto a quello in cui viene manifestato il consenso al trasferimento del diritto (situazione evidentemente diversa da quella in cui l’effetto traslativo, pur essendo differito al momento in cui si verificherà un determinato fatto o atto giuridico, trovi pur sempre titolo nell’originario negozio ad effetti reali differiti: si pensi alla vendita di cosa futura o di cosa generica, ovvero alla vendita sospensivamente condizionata).

In un primo momento, e in particolare subito dopo l’entrata in vigore del Codice civile del 1942, la dottrina ha dato al quesito risposta negativa, osservando che scindere titulus e modus adquirendi significherebbe configurare una “prestazione isolata” astratta, con conseguente difetto di causa, non essendo la prestazione sorretta né da animus donandi (stante la preesistenza di un obbligo sorto per effetto del primo contratto titulus), né da una controprestazione (prevista dal titulus, ma non dal modus). Non sarebbe ammissibile, si osservava, uno

178 L’obbligazione di dare in senso tecnico trova disciplina in quegli ordinamenti che ammettono

ancora oggi la distinzione tra titulus e modus adquirendi, concependo così l’eventualità che dal contratto possa sorgere esclusivamente l’obbligo di trasferire la proprietà o altro diritto, rimanendo relegati ad un successivo ed autonomo atto esecutivo, oltre all’attribuzione della disponibilità della cosa (consegna), il vero e proprio effetto traslativo (si pensi all'ordinamento tedesco, che non ha elevato la causa ad elemento necessario nella dinamica dei trasferimenti immobiliari, o a quello inglese, ai sensi del quale il venditore di real property è obbligato a far acquistare il legal title al compratore mediante un autonomo e successivo atto traslativo, la c.d. “conveyance”).

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spostamento di ricchezza non giustificato da un corrispondente sacrificio economico, che non sia al tempo stesso animato da spirito di liberalità.

Il rigore di tale impostazione, che vede il negozio avente ad oggetto una mera prestazione di dare di per sé privo di giustificazione causale, è stato però oggetto di stemperamento sul piano ermeneutico: può infatti accadere che un negozio (solo apparentemente) astratto, costituisca in realtà il modo per adempiere ad un obbligo assunto in precedenza per effetto di un altro negozio, nel quale può allora essere rinvenuta la giustificazione causale dell’atto da cui, a sua volta, derivi l’effetto traslativo (nel caso in cui la prestazione isolata abbia ad oggetto una prestazione di dare). L’astrattezza, dunque, sarebbe in questo caso soltanto apparente, atteso che il secondo negozio (quello c.d. “astratto”) in realtà non è privo di causa, ma è dotato di una giustificazione causale avente quale referente obiettivo esterno il primo negozio (o meglio, i suoi effetti, in questo caso obbligatorî), di cui il secondo costituisce adempimento o attuazione.

Esclusa la configurabilità di un negozio astratto, per cogliere la causa concreta alla luce del complessivo assetto di interessi occorre allora fare riferimento agli effetti di un negozio presupposto esterno, o comunque ad una fonte di obbligazioni parimenti esterna, alla cui luce accertare – in ipotesi – la funzione solutoria dell’atto traslativo.

Autorevole dottrina – cui si è avuto modo di fare cenno nelle pagine precedenti (v. supra, § 2.4) –, illustrando la distinzione tra momento soggettivo e momento oggettivo della causa (ed in particolare tra “scopo” e “funzione”), ha in proposito osservato che in caso di separazione strutturale (e non semplicemente estrinseca) della prestazione (dunque, di “prestazione isolata”) “sarebbe vano ricercare la giustificazione causale dello spostamento patrimoniale nella «funzione» della prestazione ovvero in quella del negozio che la pone in essere”

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(179), trovando la prestazione “la sua giustificazione causale al di fuori di essa, e cioè nella esistenza di una precedente obbligazione, la quale, è bene osservare, potrebbe anche non avere origine negoziale (ad esempio risarcimento per atto illecito)” (180).

Nella c.d. “prestazione isolata”, dunque, la causa non sarebbe desumibile dal contenuto concreto del negozio posto in essere dalle parti (ossia dal diverso intrecciarsi delle prestazioni del negozio stesso), ma dallo “scopo” indicato dalla parte che la pone in essere, quale ad esempio l’adempimento di una precedente obbligazione civile o naturale (nel caso di pagamento traslativo).

Superando la distinzione tra “scopo” e “funzione”, e facendo propria un’accezione non tipizzata di quest’ultima, ma quale giustificazione concreta dell’atto, può dunque ritenersi che la causa del negozio recante una mera prestazione traslativa ben possa risiedere nell’attitudine a realizzare un assetto di interessi basato sugli effetti di un diverso negozio giuridico, allorquando ad esempio la prestazione abbia una funzione solutoria, oppure costituisca una “controprestazione” inserita di un’operazione economico-giuridica unitaria e più ampia.

In dottrina si è anche osservato che in caso di prestazioni isolate il fondamento giustificativo esterno ha il ruolo di presupposto causale, che non rileva sempre e comunque, ma solo se condiziona la possibilità di funzionamento della causa nell’atto della sua fase di programmazione iniziale (181

). Tale considerazione conferma quanto sopra illustrato, sia pure con la precisazione che la rilevanza del referente causale esterno appare innanzitutto da apprezzarsi sul piano (strutturale) dell’accertamento causale, prima ancora che su quello della concreta capacità di funzionamento della causa.

179 M. Giorgianni, (voce) Causa (dir. priv.), in Enc. dir., VI, 1960, 566. 180 M. Giorgianni, ibidem.

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Si è altresì ritenuto che “il solo modo per recuperare alla causalità negozi che constano di attribuzioni patrimoniali isolate starebbe nell’allargare l’ambito del negozio stesso, che sarà così inteso come comprendente l’attribuzione isolata e l’atto dal quale sorge il rapporto fondamentale: la causa finisce per essere lo

strumento per misurare a posteriori l’ampiezza della fattispecie” (182).

In definitiva, la c.d. “prestazione isolata” (quando non sia ingiustificata) consiste in un negozio con referente causale esterno, quest’ultimo da ravvisarsi negli effetti obbligatorî di un distinto atto negoziale.

Ciò posto, prima di concludere sull’argomento merita svolgere alcune precisazioni circa la natura giuridica del referente esterno sul quale può fondarsi la prestazione isolata.

In primo luogo, muovendo dalla tesi risalente già citata, va osservato che il referente obiettivo esterno può risiedere anche in un effetto obbligatorio avente causa in un atto non negoziale, quale ad esempio il fatto illecito, oppure qualsiasi altro atto o fatto idoneo a generare obbligazioni in conformità all’ordinamento giuridico (secondo la classificazione delle fonti di cui all’art. 1173 cod. civ.). Senza dubbio, però, la fattispecie di maggior rilevanza pratica è proprio quella in cui il negozio unilaterale avente ad oggetto una “prestazione isolata” si giustifica, concretamente, in rapporto ad un ulteriore vincolo negoziale, ragion per cui è parso opportuno trattare del relativo argomento nel presente capitolo.

In secondo luogo, l’effetto del negozio giuridico a monte non necessariamente consiste in un’obbligazione a carico del disponente, ben potendo accadere che la prestazione rappresenti una scelta spontanea, sia pure giustificata dal rapporto presupposto (si pensi all’atto di conferimento in società, che si giustifica alla luce del rapporto sociale, ma non può dirsi obbligato). In questo caso,

182 M. Martino, L’expressio causae. Contributo allo studio dell’astrazione negoziale, Torino, 2011,

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il negozio si pone come vero e proprio atto di autonomia, non quindi come atto dovuto, la cui giustificazione causale, tuttavia, si coglie appieno considerando gli effetti del negozio presupposto.

Infine, ricollegandosi a quanto già anticipato in ordine al carattere necessariamente immanente del requisito causale, conviene ricordare che non è tecnicamente corretto affermare che la causa del negozio che si risolve in un “pagamento traslativo” è esterna, ossia risiede nel negozio a monte: la causa resta una connotazione intrinseca (appunto, immanente), fermo restando che gli effetti del negozio a monte ne costituiscono il necessario referente esterno, ossia estraneo alla struttura del negozio, solo apparentemente astratto. Diversa questione, sulla quale si avrà modo di tornare, è se sia o meno necessaria una expressio causae, ossia se il negozio “isolato” debba necessariamente esplicitare l’assetto di interessi complessivamente perseguito oppure se – come appare preferibile ritenere – sia sufficiente che la causa emerga, sul piano probatorio, sulla base di una valutazione complessiva dell’operazione negoziale (183

).

4.3. Singole ipotesi di atti con funzione solutoria. Mandato senza

Nel documento Causa e referenti obiettivi esterni (pagine 97-102)

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