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L’atto unilaterale di rinunzia ad un diritto.

Nel documento Causa e referenti obiettivi esterni (pagine 156-161)

S EZIONE II: I NTERESSE OGGETTIVO E REFERENTI CAUSALI ESTERNI DI NATURA NON NEGOZIALE

4.14. L’atto unilaterale di rinunzia ad un diritto.

Una specifica esigenza di individuazione dell’interesse sotteso all’atto negoziale, non necessariamente ricavabile dal suo oggetto o dalla sua struttura, si pone con riguardo all’atto di rinunzia, ossia al negozio giuridico unilaterale, non recettizio, con il quale il titolare di una situazione giuridica soggettiva se ne spoglia volontariamente.

Al riguardo, occorre innanzitutto distinguere l’ipotesi della rinunzia abdicativa, caratterizzata dalla volontà di dismettere una situazione giuridica soggettiva senza alcuna volontà di trasferirla ad altri, dall’ipotesi di rinunzia traslativa, con la quale il disponente vuole determinare direttamente un trasferimento della situazione giuridica in capo al terzo beneficiario. Nel primo caso, infatti, si è osservato, l’eventuale effetto prodottosi nella sfera giuridica altrui non si pone in diretta relazione causale con la specifica dichiarazione di rinunzia, ma “ne rappresenta una conseguenza indiretta, mediata e non funzionalmente e

istituzionalmente da essa derivante” (286).

Se la natura traslativa della rinunzia costituisce senza dubbio un peculiare esito dell’accertamento causale in concreto (e di per sé non esclude che la funzione dell’atto possa caratterizzarsi per referenti causali esterni), particolare interesse

285 V. Roppo, Il contratto, in Tratt. dir. priv. a cura di G. Iudica e P. Zatti, II ed., Milano, 2011, 156.

Interessante, in proposito, è l’osservazione dell’Autore secondo cui, oltre al contenuto tipico, c’è in caso di opzione un “contenuto ulteriore: c’è una più ampia regolamentazione di interessi tra le

parti, che ne esige l’accordo”.

286 T. Montecchiari, I negozi unilaterali a contenuto negativo, Milano, 1996, 134; L. Ferri, Rinuncia

e rifiuto nel diritto privato, Milano, 1960, 70; G. Giampiccolo, La dichiarazione recettizia, Milano,

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assume, ai fini della presente ricerca, l’ipotesi in cui l’atto di presenti come meramente abdicativo, senza alcuna volontà del disponente di beneficiare un terzo come effetto diretto della sua rinunzia.

In proposito, pur dandosi atto dell’esistenza di interpretazioni nel senso del carattere astratto dell’atto di rinunzia (287

), è utile muovere dalla condivisibile opinione secondo cui, in generale, deve riconoscersi rilevanza causale autonoma alla funzione abdicativa pura, individuando come effetto giuridico dell’atto la pura e semplice dismissione del diritto, indipendentemente dalle conseguenze che tale atto possa eventualmente produrre nella sfera giuridica altrui, nonché – si è precisato – indipendentemente dalla sorte del rapporto giuridico la cui situazione è oggetto di rinunzia (288); ne consegue che, che non determinando la rinunzia in esame un’attribuzione patrimoniale, né a maggior ragione una traslatio conseguente al pagamento, le fattispecie abdicative sarebbero estranee all’ambito delle c.d. prestazioni isolate (289). Si osserva, in particolare, che “la pura abdicazione, infatti, ben può configurarsi come causa che presuppone esclusivamente l’esistenza del diritto a cui si rinunzia. Si tratta di una delle ipotesi in cui il presupposto causale coincide con l’oggetto dell’atto, il che impedisce di riflesso alla causa di spiegare una spiccata autonomia, ma non esclude certamente l’esistenza ed il rilievo della causa stessa. Essa, ad esempio, rende inutile ricorrere al fenomeno del collegamento negoziale per giustificare che la nullità del negozio, fonte del diritto

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R. Sacco, La rinunzia, il contratto modificativo e l’offerta irrevocabile nella civil law e nella common law, in Riv. dir. comm., 1952, II, 342s., ove si pone l’accento sull’affidamento del terzo, quale giustificazione dell’astrattezza dell’atto di rinunzia. Si obietta che la teoria della rinunzia come negozio astratto deriverebbe da una concezione della causa da ritenersi superata in termini di causa

suffisante, posto che la rinunzia non deve essere giustificata né da una controprestazione, né dalla

forma o da una causa juste o raissonable: E. Navarretta, op. cit., 68, nt. 157.

288 T. Montecchiari, op. cit., 127.

289 E. Navarretta, op. cit., 67. Sulla natura causale della rinunzia, cfr. altresì P. Perlingieri,

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abdicato, comporti la nullità della rinuncia medesima, poiché ciò si argomenta di

per sé in base allo stesso contenuto oggettivo e causale della rinuncia” (290).

La tesi dell’autonomia causale dell’interesse abdicativo puro e semplice, in effetti, è condivisibile. Ed invero, se il diritto di proprietà può essere declinato nel potere di disporre della res, deve potersi riconoscere al proprietario anche il diritto di non volerla più, di spogliarsene, per i più diversi motivi soggettivi (privi, di per sé, di valenza causale); allo stesso modo, a fronte di situazioni giuridiche soggettive implicanti la possibilità di esercizio, utilizzo o attuazione del diritto nell’interesse del titolare, deve ritenersi rimessa a quest’ultimo la possibilità di dismettere quella situazione, realizzando così – si è osservato – “un atto in via unilaterale, a contenuto negativo, contrario alla sostanza giuridica ed effettuale del suo diritto” (291).

Peraltro, l’autonoma rilevanza causale della funzione abdicativa – quando essa abbia ovviamente ad oggetto diritti o posizioni giuridiche che non siano indisponibili o che comunque siano suscettibili di rinunzia – non esclude che anche il negozio di rinunzia debba essere oggetto del vaglio di meritevolezza di tutela in concreto (292), ad esempio con riguardo alla peculiare natura del diritto oggetto di dismissione: potrà ad esempio non ritenersi in concreto meritevole di tutela la causa abdicativa allorquando, ad esempio in relazione a beni immobili, l’atto di risolva in una deresponsabilizzazione rispetto agli oneri di custodia posti a tutela di posizioni giuridiche di terzi o collettive, non soccorrendo in tal caso, quale utile meccanismo di tutela, la regola generale di acquisto da parte dello Stato.

290 E. Navarretta, op. cit., 68s. 291

T. Montecchiari, op. cit., 128; secondo l’Autrice, “la rinuncia esprime una causa lecita nel

perseguire oggettivamente la dismissione di un diritto soggettivo patrimoniale, che rappresenta una facoltà estrema ed opposta all’essenza del diritto soggettivo stesso” (T. Montecchiari, op. cit., 133).

292 T. Montecchiari, op. cit., 133, ove il vaglio di meritevolezza viene ricondotto all’effetto

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L’accertamento causale dell’atto di rinunzia abdicativa, in definitiva, può dunque esaurirsi sul piano strutturale nel considerare la struttura e l’oggetto dell’atto in sé, senza ulteriori indagini. Nondimeno, non è detto che ciò avvenga in concreto. A ben vedere, infatti, può accadere che l’atto di rinunzia, perdendo il suo asserito carattere di neutralità rispetto ad elementi di rilevanza causale ulteriori rispetto alla funzione abdicativa pura e semplice, si giustifichi sulla base di un ulteriore, eventualmente assorbente, interesse giuridicamente rilevante, che dunque non può essere relegato alla sfera dei motivi soggettivi, ma che necessariamente assume rilevanza in riferimento all’accertamento causale.

Si pensi all’ipotesi in cui, in concreto, la rinunzia al diritto avvenga per finalità solutorie rispetto ad una preesistente obbligazione tra gli stessi soggetti, oppure per dichiarato intento liberale in favore del comproprietario che veda espandersi la propria quota di proprietà sul bene per effetto della rinunzia alla quota del disponente (293); più in generale, l’atto di rinunzia, pur astrattamente idoneo ad essere sorretto da un mero interesse abdicativo, può trovare in concreto giustificazione nell’operazione giuridica ed economica complessiva in cui si inserisca, come nel caso in cui si accompagni ad un negozio collegato.

L’analisi del regolamento negoziale (o degli effetti sottesi alla rinunzia di per sé considerata) potrebbe allora condurre a risultati fuorvianti, o quantomeno inidonei a cogliere l’esatta dimensione causale del negozio. Si pensi all’ipotesi di contratto di transazione, ai sensi del quale una parte si impegni, con separato atto, a rinunziare ad un diritto. In questo caso, l’atto di rinunzia – al di là della sua apparente funzione abdicativa pura e semplice – trova giustificazione (solutoria) nel contratto collegato (e presupposto) di transazione, il che implica conseguenze rimediali, anche sul piano invalidatorio, per l’ipotesi in cui venga meno il negozio presupposto o collegato.

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Non a caso, anche con riferimento all’atto di rinunzia, così come a quello di remissione del debito, la giurisprudenza ha avuto modo di ribadire che è “indispensabile individuare la causa, sia pure in base ad una impostazione differente non soggetta all’obbligo predeterminato di modelli astratti, ma attenta strettamente al negozio posto in essere dai contraenti, nonché all’affare nel suo

complesso” (294).

Ed allora, chi sostenga l’idoneità causale del mero interesse abdicativo (ossia chi ritenga che la rinunzia ad un diritto sia di per sé idonea a giustificare e rendere valido l’atto) deve in ogni caso ammettere l’eventualità in cui assuma rilevanza causale l’atto transattivo esterno, la cui caducazione ben potrebbe riflettersi sulla rinunzia stessa (che invece, se fosse necessariamente autosufficiente sul piano causale, non dovrebbe risentire della caducazione dell’atto presupposto); chi, di contro, escluda l’autonomia causale dell’atto abdicativo, dovrebbe in ogni caso riconoscere, nel caso in esame, la sussistenza di un fondamento causale della rinunzia, superando così eventuali dubbi di invalidità.

Il negozio di rinunzia ad un diritto, dunque, può richiedere in concreto un accertamento causale basato su referenti, negoziali o non negoziali, esterni; accertamento causale che può condurre ad effetti, sul piano disciplinare, anche opposti rispetto a quelli cui condurrebbe il riconoscimento di autonomia causale all’effetto abdicativo puro e semplice. In proposito, peraltro, non occorre inquadrare l’atto di rinunzia come atto a causa variabile (295

), trattandosi invero di accertare quale sia in concreto la causa dell’atto, di per sé abdicativa in senso puro, ma magari in concreto solutoria (o in generale attuativa o integrativa di un più ampio contesto negoziale) o liberale.

294 Cass., Sez. Un., 18 marzo 2010, n. 6538, cit.

295 Ricorre alla figura della causa variabile, ad esempio, F. Macioce, (voce) Rinuncia (dir. priv.), in

Enc. Dir., XL, Milano, 1989, 929. In senso critico, accogliendo la tesi per cui la pura abdicazione è

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