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L’intreccio tra innovazione, mondo giovanile e formazione

Nel documento 7 7 (pagine 194-200)

Data la confusione che sovente accompagna le analisi intorno ai tre temi suddetti sem-bra opportuno partire con l’articolare in modo chiaro e distinto il discorso. In un’eco-nomia di mercato il fattore maggiormente rilevante in quanto motore suo e dei settori

che essa ospita è l’innovazione. Il tasso d’innovazione è la prima cartina di tornasole del

benessere di un sistema economico. Sennonché tale condizione è sempre stata valida. O meglio, è stato incessantemente così all’interno delle economie occidentali moder-ne. Oggi, però, dobbiamo renderci consapevoli della peculiarità dell’epoca contem-poranea rispetto all’evo tradizionalmente detto “moderno”. La peculiarità, che in molti

hanno chiamato knowledge economy, indica più genericamente il peso crescente della

conoscenza nel processo di produzione del valore. La conoscenza diviene sempre di più l’ingrediente discriminante nella battaglia per la produttività. Ebbene, un Paese che oggi intenda reggere alla sfida della globalizzazione – dell’apertura ai mercati

interna-zionali – deve guardare anzitutto al grado e alla tipologia di conoscenza che genera.

Ma veniamo ai dati. Nel nostro Paese si registra un basso livello di innovazione, misu-rata dall’intensità della spesa in ricerca e sviluppo ma anche nella sua ripartizione a seconda della tipologia (nell’Europa a 27 l’Italia registra un livello di innovazione inferio-re alla media in compagnia di Ginferio-recia, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria e Spagna).

Fig. 2 - L’innovazione nei paesi EU

Fonte: Innovation Union Scoreboard, 2011

Se facciamo un passo ulteriore e scomponiamo gli investimenti aggregati in investi-menti in capitale fisico e intangibile, scopriamo che alcuni dei Paesi maggiormente industrializzati hanno concentrato metà dei loro investimenti in capitale intangibile – ad esempio Svezia, Finlandia, Regno Unito –, mentre l’Italia ha essenzialmente investito in macchinari, apparecchiature e costruzioni, e solo una piccola frazione in R&S e altri prodotti di proprietà intellettuale, così come altre forme di capitale intangibile.

La disaggregazione territoriale di dati fotografa una situazione “a macchia di leopardo“ con le regioni del centro nord trainanti e il centro sud a livelli “emergenziali“ (fig. 2). Ciò enfatizza la necessità di legare il tema della governance dell’innovazione da parte della classe dirigente – strettamente connesso a quello della produttività e della

com-petitività – alle dimensioni locali dell’azione delle élite, alla qualità delle interazioni tra

Fig. 3 - Le regioni europee e l’innovazione

Fonte: Regional Innovation - Scoreboard 2012

Posta come elemento fondante della leadership manageriale, l’innovazione si può intendere come attenzione e apertura continua e sistematica alle novità, ma anche come volontà e capacità di gestirle e implementarle nell’organizzazione, nella gestione, nel prodotto e nel processo. Il che significa: se l’obiettivo è e non può non essere

l’innovazione, che riguarda prodotto e processo, lo strumento è e dev’essere la

Fig. 4 - Il Life Long Learning in Italia (2006-2011)

Fonte: Eurostat, 2012

Sul fronte formativo i dati del nostro Paese non sono incoraggianti e rispetto agli obiet-tivi di Europa 2020 molta strada resta da compiere, sia sul fronte della formazione di base, sia su quella continua. Su quest’ultima ricordiamo i dati del Cedefop in merito alla partecipazione dei lavoratori alla formazione nonché quelli sulle spese per la for-mazione.

Fig. 5 - La spesa per la Formazione continua

Fonte: Regional Innovation - Scoreboard 2012

L’urgenza di far fronte con modalità incisive e condivise a questa situazione di “ritardo strutturale“ è al centro dell’attenzione delle parti sociali che svolgono un ruolo di pri-maria importanza sul fronte della promozione degli investimenti in capitale umano per lo sviluppo. A questo proposito ricordiamo l’accordo siglato nel febbraio del 2013 tra Confindustria, Cigl, Cisl e Uil nel quale si indica la formazione come la priorità per il Paese, avanzando una serie di proposte che riguardano i giovani, la valenza formativa del lavoro, l’importanza delle reti e del merito. L’intesa ha il merito di coniugare, con proposte concrete, le istanze di merito e di equità, di tutela del lavoro e produttività, che l’Italia pone davanti alla classe dirigente. Una testimonianza di dialogo tra i corpi intermedi, ma anche di decisa scelta del tema della formazione come priorità. Una potenziale svolta culturale, che chiama il Paese a una forte scelta di responsabilità.

Box 2: La formazione come priorità del Paese: l’accordo Confindustria - Cigl, Cisl e Uil Tra i segnali positivi che le parti sociali hanno dato al Paese, va richiamato il recente Docu-mento di Intenti “Una formazione per la crescita economica e l’occupazione giovanile”, firmato da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, il 13 febbraio 2013. L’obiettivo dell’intesa è creare consenso sull’innovazione del sistema educativo, puntando a superare le diffuse resistenze corporative e migliorare la transizione dei giovani tra scuola e lavoro. Gli strumenti indicati da imprese e sindacati sono stati: orientamento, potenziamento dell’istruzione tecnica e professionale, valorizzazione del ruolo degli insegnanti, accordi tra scuola e impresa sui territori, poli tecnico professionali, ITS, apprendistato e Fondi Interprofessionali destinati alla formazione continua. I) Giovani

Istruzione tecnica e professionale: orientamento all’istruzione tecnica e professionale e rafforza-mento della collaborazione scuola-impresa.

Occupabilità sostenibile: valorizzare l’immagine del lavoro nelle imprese nei confronti dei giovani

e delle loro famiglie per ridurre il mismatch tra domanda e offerta di lavoro.

II) lavoro e processo formativo

Alternanza scuola-lavoro: promuovere progetti di alternanza scuola - lavoro durante i percorsi di istruzione e formazione in ogni ordine di scuola.

Stage: più stage in azienda per rafforzare le competenze e l’occupabilità dei giovani.

Apprendistato: più apprendisti nelle imprese. Meno burocrazia e più semplificazione. Diffon-dere, accanto all’apprendistato professionalizzante e all’apprendistato per l’acquisizione di una qualifica o diploma professionale, l’alto apprendistato.

Alto apprendistato: laurea triennale con l’ultimo anno in apprendistato e dottorati industriali. Fondi Interprofessionali: più formazione continua per i lavoratori. Accrescere la formazione nelle imprese. Semplificare le regole burocratiche per rendere più accessibili alle PMI i Fondi Interprofessionali.

III) Reti territoriali

Poli tecnico - professionali: nei distretti industriali, promuovere lo sviluppo di Reti scuola-univer-sità-impresa per far crescere la “reputazione” delle scuole tecniche e migliorare l’occupazione dei giovani.

ITS: chiudere gli IFTS che non funzionano e rafforzare quelli che danno occupazione ai giovani perché hanno un forte raccordo col territorio e le imprese.

IV) Merito

Insegnanti: da impiegati a professionisti. Ridare prestigio sociale al ruolo degli insegnanti. Intro-durre meccanismi per valorizzarne la professionalità.

Ascensore sociale: il merito è democratico e garantisce la “parità di accesso” al sistema educa-tivo e delle professioni. Sbloccare l’ascensore sociale, coltivare l’eccellenza e la qualità degli studenti italiani nel mondo. Premiare i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, rafforzando il diritto allo studio.

Nel documento 7 7 (pagine 194-200)