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il sistema politico italiano alla prova della crisi finanziaria*

Nel documento 7 7 (pagine 31-34)

di Sergio Fabbrini

capitolo 1

Introduzione

Il governo Monti, insediato il 16 novembre del 2011 e dimessosi il 21 dicembre 20121,

fu istituito e ha operato in condizioni del tutto particolari, se non drammatiche. Tra il 2010 e il 2011, l’Italia era diventata oggetto di una speculazione finanziaria senza precedenti, dovuta alle divisioni interne alla sua maggioranza politica di centro-destra, alla perdita di reputazione internazionale del governo e del suo primo ministro Silvio Berlusconi, ma anche alle incertezze e divisioni presenti tra le forze politiche collocate all’opposizione. Infatti, contrariamente ad altri Paesi dell’area dell’euro (come la Spa-gna, il Portogallo, la Grecia, la Slovenia), nell’Italia del novembre 2011 non vi erano le condizioni politiche per chiudere anticipatamente la legislatura e avviare il Paese verso nuove elezioni. Nelle condizioni di emergenza di allora, l’unica strategia istituzionale percorribile, sostenuta anche dai nostri principali partner europei e dalle principali isti-tuzioni finanziarie internazionali, fu quella di sospendere momentaneamente la com-petizione elettorale, dare vita a un governo con le necessarie competenze tecniche per realizzare politiche di razionalizzazione e di riforma, separare la decisione governativa dalla rappresentanza legislativa. Tant’è che nessun esponente della maggioranza spuria e trasversale formatasi in Parlamento a sostegno del governo Monti entrò a far parte dell’esecutivo con funzioni ministeriali. Il governo Monti fu dunque incaricato di operare

quelle scelte di policy ritenute da tempo improcrastinabili e che i precedenti governi

non riuscirono o non vollero realizzare perché ostacolati da componenti importanti delle rispettive maggioranze parlamentari o coalizioni elettorali.

Il decennio 2001-2011 è stato un decennio preminentemente dominato dal centro-destra, con i due governi di Silvio Berlusconi (il primo del periodo 2001-2006 e il secondo del periodo 2008-2011), con la breve parentesi del governo di centro-sinistra * Desidero ringraziare il Dott. Giulio Azzolini per la sua preziosa e qualificata assistenza di ricerca. 1. I dati riportati in questo capitolo, relativi all’azione del governo Monti, si riferiscono generalmente

di Romano Prodi, un governo più preoccupato di gestire la conflittualità al suo interno che di risolvere i problemi del Paese. Nel novembre 2011 il governo Monti venne costi-tuito per affrontare quei problemi che quei precedenti governi non avevano affrontato o addirittura ritenevano che non fossero problemi rilevanti. Chiamato in piena emergenza finanziaria, il governo Monti, composto esclusivamente di tecnici, è riuscito infatti ad allontanare il Paese dall’abisso del tracollo finanziario. Un compito realizzato, seppure con gli inevitabili errori che si commettono quando si governa nell’emergenza e con il sostegno di maggioranze parlamentari spurie. Non era compito del governo Monti riportare il Paese su un percorso di crescita, bensì era suo compito contribuire a rimuo-vere gli ostacoli che avevano ostacolato quella crescita. Come questo capitolo cercherà di mostrare, tale compito è stato affrontato da parte del governo Monti anche grazie al sostegno parlamentare ricevuto per poco più di un anno (13 mesi) dalle principali forze politiche presenti in Parlamento (Popolo della Libertà o Pdl, Partito democratico o Pd e e partiti di centro come l’Udc, Fli e Api).

L’esperienza del governo Monti è stata dunque un’esperienza sui generis per una

democrazia parlamentare: non si è trattato di un governo di grande coalizione (come avviene in diverse democrazie parlamentari), anche se il governo ha beneficiato del sostegno parlamentare di una coalizione trans-partitica che ha aggregato partiti pre-cedentemente antagonisti. Nello stesso tempo, il governo Monti, oltre a prevenire il

possibile default finanziario del Paese, ha cercato anche di suscitare un nuovo clima

politico nel Paese, più sobrio e più ragionato, come d’altronde gli era stato richiesto da quote maggioritarie dell’opinione pubblica. Infatti, nel corso del 2012, il dibattito politico si è rasserenato e contemporaneamente la consapevolezza dei problemi, da

parte dei cittadini e di settori dell’élite dirigente, è cresciuta significativamente. Tant’è

che nonostante le riforme socialmente dolorose introdotte nel suo poco più di anno di vita, la conflittualità sociale si è mantenuta bassa, mentre la stima nei confronti del Primo ministro ha continuato a rimanere inusualmente alta. Il Paese si è dimostrato maturo e responsabile come all’estero pochi si aspettavano. Certamente, molti dei problemi del Paese sono rimasti in agenda, né poteva essere diversamente visto il loro carattere strutturale. La loro risoluzione richiederebbe infatti un’azione di riforma con-tinuativa e coerente, almeno per la durata dell’intera prossima legislatura. Ed è questa la sfida cruciale che deve affrontare l’Italia: fare emergere dalle elezioni del 2013 un sistema politico in grado di promuovere il rilancio economico e sociale del Paese. La risposta dipenderà da fattori obiettivi ma anche dalla qualità dei leader politici che si saranno affermati in quelle elezioni. In politica le strutture sono importanti, ma gli attori possono fare la differenza. L’analisi di ciò che è avvenuto tra il 2011 e il 2012 ci mostra la difficoltà del nostro sistema politico ad affrontare il terremoto della crisi finanziaria. Ma ci mostra anche che, se si creano le giuste condizioni politiche, gli effetti di quel terremoto possono essere governati.

Qui, procederò come segue. Primo, descriverò il contesto di problemi strutturali che il governo Monti ha ereditato e non già creato. È bene che ci sia una comune consa-pevolezza su questi problemi e sulle forze politiche e sociali che portano la maggiore

responsabilità per non averli affrontati. Una nuova élite dirigente non si potrà costruire sulla rimozione delle responsabilità. Secondo, analizzerò l’intensa attività svolta dal governo Monti per affrontare la sfida dell’emergenza. Terzo, mostrerò come l’azione del governo Monti abbia ricevuto sì il consenso del Parlamento, ma anche come quest’ultimo non abbia affrontato alcuni dei basilari problemi istituzionali che era stato incaricato di risolvere (come la riforma della legge elettorale, la riduzione del numero parlamentari, la riforma del bicameralismo simmetrico). Quarto, analizzerò la responsabilità dei governi regionali per l’accentuazione del debito pubblico del Paese. L’implosione del nostro regionalismo ha obbligato il governo Monti (e obbligherà i futuri governi) a perseguire un’azione a più livelli (europeo, nazionale e sub-nazionale), con l’implicazione che solamente la capacità di tenere in equilibrio quei livelli può generare un esito virtuoso sul piano della gestione della nostra crisi finanziaria. Infine, concluderò con alcune considerazioni sui nodi istituzionali e politici che occorrerà sciogliere per riportare l’Italia su un percorso di crescita.

Nel documento 7 7 (pagine 31-34)