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La responsabilità di investire in capitale immateriale nelle Regioni italiane

Nel documento 7 7 (pagine 99-105)

Tra le molte linee di frattura che attraversano l’Europa di questi tempi, ce n’è una che scompare a tratti nel dibattito di politica economica ma che costituisce forse l’ipoteca principale su una ricomposizione del nostro Continente. Le infrastrutture materiali, auto-strade, ferrovie e banda larga, avvicinano i popoli e sviluppano i commerci, assumono un ruolo centrale per la ricomposizione non solo geografica ma anche socio-economica del Paese, e contribuiscono alla produttività delle imprese industriali, come abbiamo sostenuto nei paragrafi precedenti. Le traiettorie dell’economia della conoscenza forni-scono però agli individui, produttori e consumatori, il sapere necessario per muoversi nel nuovo ambiente europeo e globale, e sono decisive per non subirlo passivamente. In uno studio recente si mostra come l’Europa sia sostanzialmente divisa in tre sotto il profilo del capitale immateriale, e come più investimenti in beni intangibili abbiano significato più crescita della produttività e del reddito pro-capite nel lungo periodo, non-ché una migliore capacità di risposta dei sistemi socio-economici nazionali dopo la crisi

del 200812. La Commissione europea ha posto il capitale immateriale al centro della

Strategia Europa 2020, che sostituisce quella di Lisbona e che traccia le grandi direttrici politiche per stimolare lo sviluppo e l’occupazione nell’Unione Europea, creando le condizioni per uno sviluppo economico intelligente, sostenibile e solidale.

Le variabili principali, sulle quali la Strategia fissa gli obiettivi e svolge il monitoraggio sono: spesa in ricerca e sviluppo (R&S) pari al 3 per cento del Pil; capitale umano: riduzione degli abbandoni scolastici sotto il 10 per cento e incremento al 40 per cento della popolazione (tra 30 e 34 anni) con istruzione universitaria; occupazione: tasso del 75 per cento per la popolazione tra i 20 e i 64 anni; povertà: diminuzione della popola-zione in questa condipopola-zione in misura pari a 20 milioni di persone; energia e ambiente: riduzione del 20 per cento delle emissioni di gas serra rispetto al 1990; incremento al 20 per cento della quota delle fonti rinnovabili sul consumo finale interno lordo di energia; miglioramento del 20 per cento dell’efficienza energetica.

La figura 13 mostra la posizione dell’Italia rispetto agli obiettivi di Europa 2020

nell’an-no 200913. La porzione rossa della barra rappresenta la distanza del nostro Paese

rispetto a ciascun obiettivo dai valori previsti dalla Strategia, mentre la parte azzurra indica i valori raggiunti nel 2009. I dati riportati nella figura 13 mostrano che il nostro paese ha ancora molta strada da fare per raggiungere gli obiettivi in termini di spesa in R&S e capitale umano.

12. Cecilia Jona e Stefano Manzocchi, INTANGIBLE ASSETS AND PRODUCTIVITY GROWTH

DIFFEREN-TIALS ACROSS EU ECONOMIES: THE ROLE OF ICT AND R&D, LUISS Lab Working Paper 102, Roma

2012.

-100 -80 -60 -40 -20 0 20 40 60 80 100

Spesa in R&S (b) Educazione

terziaria scolastici (Esl) Abbandoni Occupazione Povertà Gas serra Energie rinnovabili (b) Distanza da Europa 2020 Valori Italia

Fig. 13 - Distanza dell’Italia dal raggiungimento degli obiettivi di Europa 2020

Anno 2009 (composizioni percentuali)

Fonte: elaborazioni LUISS Lab su dati ISTAT-EUROSTAT

(a) Per la rappresentazione dell’indicatore relativo all’obiettivo “povertà”, che nella strategia Europa 2020 prevede come valore aggregato Ue una riduzione di 20 milioni delle persone a rischio di povertà ed esclusione, è stata utilizzata la quota assegnata all’Italia dal Pnr che prevede una riduzione di 2,2 milioni di persone.

(b) Anno 2008.

Date le caratteristiche strutturali dell’economia italiana, un aspetto rilevante da esami-nare al fine di cogliere gli elementi di forza e di debolezza del nostro modello di cre-scita alla luce della strategia “Europa 2020”, è la distribuzione territoriale della spesa in R&S rispetto agli obiettivi prefissati.

La figura 14 mostra la spesa per ricerca e sviluppo sul PIL nel 2008 e il relativo tasso di crescita negli anni 2000-2008 nelle regioni italiane rispetto alla media nazionale e all’obiettivo del Piano nazionale delle riforme (PNR) che l’Italia ha presentato alla Commissione per ottemperare agli obiettivi di “Europa2020”.

I dati disaggregati a livello territoriale evidenziano un elevato grado di eterogeneità tra le regioni, sia rispetto ai valori assoluti nel 2008 (Figura 14, asse di sinistra), sia in termini dinamici nel periodo 2000-2008 (Figura 14, asse di destra). Piemonte e Lazio sono le uniche regioni ad aver raggiunto l’obiettivo dell’1,53 per cento stabilito nel PNR, con una quota rispettivamente di 1,88 percento e di 1,79 per cento. Friuli-Venezia Giulia (1,37), Campania (1,35), Emilia-Romagna (1,33) e Lombardia (1,24), superano la media nazionale dell’1,23 per cento, con la Liguria (1,22) appena al di

sotto. Le regioni del Mezzogiorno sono invece tutte al di sotto della media nazionale a eccezione della Campania.

Il tasso di crescita della spesa in R&S rispetto al PIL è stato particolarmente dinamico in Calabria (10 per cento) e in Emilia-Romagna (5 per cento). Da notare che delle sette regioni che hanno registrato una contrazione del tasso di crescita della spesa in R&S, quattro sono del Mezzogiorno.

-10 -5 0 5 10 15 0,0 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0 1,2 1,4 1,6 1,8 2,0 Piemonte Lazio Friuli-Venezia Giulia Campania Emilia-Romagna Lombardia

Liguria Toscana Veneto Trento Abruzzo Sicilia Umbria Puglia Marche

Basilicata

V.d'Aosta/V.d'Aoste

Sardegna Calabria Molise

Bolzano/Bozen 2008 Variazione 2000-2008 Spesa R&S/Pil > target Pnr Spesa R&S/Pil inferiore target Pnr Italia ma > media Italia 2008 Spesa R&S/Pil < media Italia 2008 Target Pnr

Fig. 14 - Spesa in ricerca e sviluppo totale per regione

(in percentuale del Pil asse di sinistra - e tasso di variazione percentuale medio annuo 2000-2008 - asse di destra)

Fonte: Istat, Rilevazione sulla R&S nelle imprese; Rilevazione sulla R&S nelle istituzioni pubbliche; Rilevazione sulla R&S nelle istituzioni private non profit; Stima sulla R&S nelle università; Conti regionali 2000-2008

Il quadro regionale appare però diverso se si esamina la composizione della spesa in

R&S tra settore pubblico e privato. I dati ISTAT14 mostrano infatti che, nel 2008, la spesa

nazionale delle imprese ammontava allo 0,65 per cento del PIL ma solo sei regioni raggiungevano il livello medio nazionale. Il Piemonte ha svolto anche in questo caso la funzione di leader, con una spesa per R&S pari all’1,42 per cento del Pil, seguito da Lombardia (0,85), Emilia-Romagna (0,84), Friuli-Venezia Giulia (0,74), Liguria (0,70) e Veneto (0,68). Le regioni del Mezzogiorno invece si collocano tutte notevolmente al

di sotto della media nazionale con una quota che viaggia attorno allo 0,5 in Campania e Calabria.

Il secondo obiettivo fondamentale previsto dalla Strategia Europa 2020 riguarda la dotazione di capitale umano per il quale si richiede un incremento al 40 per cento della quota di popolazione tra i 30 e i 34 anni con istruzione universitaria e una riduzione al 10 percento dei tassi di abbandono scolastico prematuro. Senza una dotazione di capitale umano adeguata infatti l’obiettivo di crescita della spesa in R&S assume minor importanza poiché gli investimenti innovativi hanno un impatto positivo sulla crescita economica se accompagnati dall’impiego di lavoro qualificato. Ad esempio, gli studi sulla crescita economica nelle regioni UE mostrano che l’investimento materiale ha effetti assai maggiori sul reddito pro-capite se la dotazione di lavoratori con competenze

ICT è alto nelle regioni considerate15. Si tratta di un risultato pienamente in linea con

ciò che abbiamo riscontrato a livello provinciale per l’Italia (tabella 3).

La figura 15 mostra la distribuzione regionale per genere della popolazione laureata tra i 30 e i 34 anni nel 2010. Il livello di eterogeneità regionale è decisamente elevato. Le regioni del Centro presentano tutte valori superiori alla media nazionale, con il Lazio in prima posizione al 26,2 per cento. Le regioni del Mezzogiorno si collocano nella parte bassa della distribuzione con valori decisamente inferiori alla media nazionale, in particolare in Campania (12,9 per cento) e Sicilia (14,6 per cento) dove si registrano le performance peggiori. Le uniche eccezioni sono rappresentate da Abruzzo (20,9) e Molise (24,4 per cento), che superano la media nazionale. Nel Settentrione, la Liguria registra la quota più elevata di giovani laureati con un valore del 24,8 per cento. Il dif-ferenziale di istruzione per genere è a favore delle donne in tutte le regioni italiane. Da notare la distanza tra uomini e donne in Abruzzo, Molise, Marche, Toscana ed Emilia-Romagna, dove la quota di donne laureate è superiore di oltre 12 punti percentuali rispetto al dato maschile. La Liguria si conferma come la regione più avanzata con una distribuzione dei laureati tra uomini e donne abbastanza equilibrata (21,9 e 27,6 per cento rispettivamente).

0 5 10 15 20 25 30 35 40

Lazio Umbria Marche Liguria Molise

Lombardia

Trento

Bolzano/Bozen

Abruzzo

Emilia-Romagna

Toscana Piemonte Basilicata

Friuli-Venezia Giulia

Calabria Veneto Sardegna

V.d'Aosta/V.d'Aoste

Puglia Sicilia

Campania

Totale Uomini Donne

Italia 2010 Target Pnr

Fig. 15 - Popolazione in età 30-34 anni che ha conseguito un titolo di studio universitario per sesso e regione

Anno 2010 (valori percentuali)

Fonte: elaborazioni LUISS Lab su dati ISTAT-EUROSTAT

Ma l’Università non è che il terminale del processo, il divario si genera ben prima: la figura 16 illustra la distribuzione regionale dei tassi di abbandono scolastico prematuro nel 2010. Da notare di nuovo la debole posizione del Mezzogiorno, con un’incidenza particolarmente elevata in Sicilia, dove più di un quarto dei giovani lascia la scuola con al più la licenza media. Incidenze superiori al 23 per cento si registrano anche in Sar-degna, Puglia e Campania, ma quote elevate di abbandoni si riscontrano anche in alcune aree del Nord-ovest (soprattutto in Valle d’Aosta, Lombardia e Piemonte).

0 5 10 15 20 25 30 35 Sicilia

Sardegna Puglia Campania

Bolzano/Bozen

V.d'Aosta/V.d'Aoste

Lombardia Toscana Piemonte Liguria Calabria Veneto Basilicata Marche

Emilia-Romagna

Molise Abruzzo Lazio Umbria

Friuli-Venezia Giulia

Trento

Totale Uomini Donne

Target Pnr ! Italia 2010 Tasso Esl < target Pnr Tasso Esl < media Italia 2010

Tasso Esl > Target Pnr Tasso Esl

> media Italia 2010

Fig. 16 - Giovani che abbandonano prematuramente gli studi

Anno 2010 (valori percentuali)

Fonte: elaborazioni LUISS Lab su dati ISTAT

Il Nord-Est sembra maggiormente allineato all’obiettivo europeo del 2020, con un tasso di abbandono scolastico intorno al 12 per cento nella provincia autonoma di Trento e in Friuli-Venezia Giulia. Nel periodo 2005-2010, si registra una contrazione, più o meno evidente, nell’incidenza degli abbandoni precoci, in tutte le regioni a ecce-zione della Toscana. Nel Centro-Nord le contrazioni maggiori si osservano in Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, provincia di Bolzano e Marche.

In sintesi, il ritardo che l’Italia, ed il Mezzogiorno in particolare, vanno accumulando rispetto agli obiettivi di Europa 2020 non è grave poiché “ce lo chiede l’Europa”, ma perché un maggior investimento per l’istruzione e, mediante il credito d’imposta, per stimolare l’innovazione industriale può favorire, assieme alla riduzione del carico fiscale, il radicamento e il rafforzamento del tessuto produttivo locale. Come argomentato in precedenza, questo contribuisce alla produttività delle imprese e nel tempo consente di rendere sostenibile anche la presenza di una PA efficiente e non troppo onerosa.

Nel documento 7 7 (pagine 99-105)