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Una realtà da ascoltare

Nel documento 7 7 (pagine 109-112)

Nello scorso autunno, quando si sono compiuti i primi passi in vista della predispo-sizione del Rapporto 2013, si era quasi a un anno dall’avvio del governo Monti e si faceva sempre più evidente e pressante l’esigenza di affrontare la crisi non solo con le politiche del rigore, bensì anche con le politiche della crescita. Tanto che si arrivò, su sollecitazione dello stesso governo Monti, alla firma di un Protocollo d’Intesa con le parti sociali per la promozione della produttività e della competitività delle imprese, mentre nella primavera 2013 si inizierà (finalmente) a discutere in sede europea sulle strategie di uscita dal circolo vizioso austerità/recessione/ disoccupazione.

In realtà si stava facendo sempre più chiara la necessità di occupare, come classi dirigenti, quella “terra di mezzo” che veniva a collocarsi tra una sovranità politico-istituzionale che tendeva a scivolare sempre più verso l’alto (Bruxelles, Francoforte, i mercati internazionali), mentre all’opposto stava emergendo nei territori una sorta di rinserramento degli atteggiamenti e dei comportamenti sociali da parte dei singoli sog-getti, tentati di presidiare il giorno per giorno delle tante emergenze aziendali, territoriali, familiari, individuali e immersi in una sorta di stato di attesa e di deresponsabilizzazione diffusi davanti a dinamiche troppo grandi e troppo lontane e quindi, come tali, attribuite a compiti afferenti al Governo e ancora di più all’Europa.

In verità è proprio nella “terra di mezzo” che viene a declinarsi la realtà concreta dei territori produttivi del Paese, i quali hanno bisogno di riprendere il cammino, ritrovan-do vigore e assunzione di responsabilità di fronte alle mutate condizioni rispetto allo sviluppo del passato. Si trattava e si tratta perciò di integrare la dimensione verticale (e lontana) dei grandi problemi da risolvere così come della relativa sovranità con una dimensione orizzontale (e vicina) delle risposte da trovare tutti i giorni attraverso un’assunzione precisa di responsabilità locale.

Ma far vivere (o rivivere) la “terra di mezzo” significa creare un campo naturale di esercizio della classe dirigente che deve presidiare i singoli territori, reinterpretando tra

l’altro i tre paradigmi di fondo che la crisi ha messo all’ordine del giorno e che sono stati evidenziati sin dal Rapporto 2011 e cioè:

- l’esigenza di gestire un’economia reale che ha bisogno oggi di vivere “al rialzo” la grande mutazione in corso, evitando di restare prigioniera della replica del modello precedente e accettando di intraprendere una vera e propria mutazione;

- l’esigenza di governare altrettanto “al rialzo” lo sgonfiamento della bolla delle attese sociali che si somma alle mutate (e peggiorate) condizioni di vita della popolazione e in particolare del ceto medio in progressiva perdita di posizioni, riattivando spe-ranze e progetti per rispondere in maniera costruttiva alle sfide attuali e a quelle del dopo-crisi che verrà, non limitandosi a ribadire che “la festa è finita”;

- come pure l’esigenza di superare la fase di uno sviluppo pronunciatamente sogget-tuale come quello che abbiamo vissuto negli ultimi decenni, per riscoprire il valore e la forza della relazionalità tra i soggetti, su cui costruire convergenze possibili tra le imprese, tra le istituzioni, tra i protagonisti pubblici e privati, in vista della pro-mozione di vere e proprie “Alleanze per lo Sviluppo” che debbono poter crescere “dal basso”, con un’assunzione di responsabilità diretta delle diverse classi dirigenti presenti sul territorio.

Del resto le iniziative sul piano della crescita in sede locale possono formarsi proprio a partire dall’esercizio, da parte di queste ultime, di un ruolo attivo di attori dello svi-luppo, senza rimandare in alto le responsabilità che a essi competono; ma anzi con l’intensificazione di una capacità di interpretazione, di proposta e di orientamento che sappiano rispondere alle esigenze di riprendere il cammino della crescita, pro-muovendo in parallelo tutte quelle azioni di lobby che facilitino l’assunzione, da parte del soggetto pubblico, delle misure di accompagnamento necessario (sul piano dei provvedimenti di supporto fiscale, di semplificazione burocratica, di maggiore fluidità nella regolamentazione del lavoro, di liquidazione dei crediti che le imprese vantano nei confronti dello Stato, ecc.).

Per tutte queste ragioni si è voluto intraprendere (nel precedente Capitolo 1) un

per-corso di analisi che ribadisca il presidio di government e di governance in una doppia

logica: quella che presidia le decisioni “in alto” e quella che presidia le decisioni “in basso” all’interno dell’economia e della società reale del nostro Paese. Come pure si è effettuato (nel Capitolo 2 di questo Rapporto) un approfondimento sui concetti e sulla misurazione della produttività e della competitività delle imprese, ma anche dei territori, sui quali gioca un ruolo-chiave il soggetto pubblico.

Nel presente Capitolo invece si è inteso passare dalla dimensione macro (quella politico-istituzionale oppure quella economica) alla dimensione micro, cui sono riferi-bili le opinioni, gli atteggiamenti, le sensazioni, i comportamenti e le valutazioni delle classi dirigenti locali, come anche le iniziative di collaborazione, dirette a imprimere una nuova spinta allo sviluppo: tenendo presente che senza un’intensa e determinata volontà di crescere non c’è sviluppo di sorta né a livello locale né a livello di Paese, che possa affermarsi oggi e al di là della crisi attuale.

Per questo si è voluto ritornare sui territori, già analizzati nel Rapporto “Generare Clas-se Dirigente/2011”, integrandone ulteriormente altri due (collocati specificamente in Calabria e in Sardegna) per raccogliere le reazioni delle diverse classi dirigenti rispetto:

- all’impatto che la crisi ha avuto dall’inizio sino a oggi;

- all’andamento dei sentiment positivi e negativi della popolazione;

- ai problemi più importanti dell’attuale passaggio di fase;

- al livello di consapevolezza circa la necessità di assumersi come classi dirigenti le responsabilità della crescita del proprio territorio;

- alle difficoltà che tuttora permangono di passare da una logica tradizionalmente soggettuale a una logica più marcatamente tradizionale tra i vari soggetti singoli, collettivi e istituzionali.

Il tutto per verificare se c’era e se ci sia un humus favorevole, sospinto anche dalle

esigenze che la crisi ha acuito, per intraprendere con determinazione tante e diverse “Alleanze per lo Sviluppo”, le quali implicano per l’appunto uno sforzo relazionale di

convergenza tra le diverse élite, al di là delle tradizionali alterità esistenti sul piano di

reali o presunte primazie di ruolo e di immagine.

Raccogliere attraverso un ascolto mirato le reazioni “dal basso” rispetto alle esigenze qui enunciate ha significato utilizzare contemporaneamente gli strumenti dei Focus Group e delle interviste individuali, la somministrazione di un questionario rivolto a 7 panel di classi dirigenti locali e il confronto con quanto emerso nell’analoga indagine del 2011. I risultati sono riportati nel presente Capitolo, mentre in quello successivo vengono illustrati sei specifici casi di iniziative che possono essere definite come “Alleanze per lo Sviluppo”, collocate in ambiti e territori diversi.

Nel documento 7 7 (pagine 109-112)