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L'origine (nazionale) della forza lavoro presente in città

Capitolo III. Il mondo dei lavoratori fiumani

3.3 L'origine (nazionale) della forza lavoro presente in città

Le considerazioni sulla nazionalità della popolazione e i luoghi d'origine degli abitanti del corpus

separatum devono essere relazionati con l'estrazione sociale, nel caso concreto con la classe

lavoratrice. Per un lavoro del genere, oltre ad avere bisogno di fonti prodotte in prima persona dagli operai, sarebbe necessario reperire elenchi dettagliati della forza lavoro presente nei diversi stabilimenti locali, operazione estremamente difficile da realizzare. La natura giuridica degli stabilimenti e le trasformazioni dovute all'instabilità politica e istituzionale fino al 1924 e il cambiamento avvenuto dopo il 1945 limitano notevolmente la ricerca. Molte ditte, enti privati, in quel periodo cambiarono proprietari e sedi istituzionali oppure non versarono i loro archivi all'Archivio di Stato di Fiume. Per quanto riguarda le relazioni annuali presentate dalle ditte maggiori alla Camera d'industria e di commercio, queste ci forniscono solamente i numeri degli operai impiegati. Le cifre esposte aiutano a seguire i cambiamenti della forza lavoro impiegata in città, ma tralasciano informazioni sulle condizioni dei lavoratori e le loro origini104. Come già specificato, intere categorie di persone che lavoravano non erano incluse in queste statistiche. Le considerazioni qui svolte non possono perciò essere considerate come un lavoro finale su un

104 DARi-172, Camera di commercio ed Industria, busta 199 e 200, Questioniari relativi all'industria presentati dalle maggiori ditte dal 1899 al 1910. Nei questionari erano richieste informazioni sulla produzione, il valore della produzione, forza in cavalli utilizzata, il numero del personale occupato, il consumo in combustibile e l'andamento generale dell'industria. A partire dal 1911 scompare la categoria del personale impiegato.

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fenomeno così complesso.

Questi limiti non hanno però fatto desistere le due storiografie nazionali nel riversare la lotta per l'appartenenza nazionale sulla classe lavoratrice. Nell'ultima monografia cittadina del 1988, si rinunciava a cercare una corrispondenza tra nazionalità e classe lavoratrice; per gli autori, gli italiani, gli ungheresi e i croati erano tutti presenti nelle diverse categorie sociali105. Nella stessa opera persisteva però la tendenza a considerare gli strati sociali più bassi, la piccola borghesia e gli operai, come gruppi prevalentemente croati, sostenendo addirittura l'esistenza di un processo di croatizzazione dei regnicoli, avvenuto in caso di mancata scalata sociale106. Casi di croatizzazione non sono da escludere, tuttavia una prevalenza così netta della croatizzazione tra gli operai è difficilmente documentabile. I giudizi espressi nel 1988 risentivano delle precedenti valutazioni di Bićanić e Bogdanić. Il primo, nella monografia cittadina del 1953, affermava l'esistenza di una sovrapposizione parziale tra appartenza nazionale ed estrazione sociale dunque la tesi secondo cui la classe lavoratrice era prevalentemente di nazionalità croata107. Nella stessa monografia gli faceva eco Antić con l'idea dell'esistenza, lungo il XIX secolo, di un popolo lavoratore fiumano principalmente di nazionalità (narodnost) croata108. Inoltre Bogdanić, il primo a scrivere del movimento operaio a Fiume, considerava la popolazione di lingua italiana come il frutto di un'infiltrazione irredentista voluta dal Regno d'Italia oppure il prodotto di falsificazioni del censimento109. Nella narrazione di questo autore la presenza dei lavoratori italiani non intaccava "la fratellanza e l'unità" raggiunta con gli operai di altre nazionalità, evidenziava però un giudizio di mancata autenticità per gran parte degli italiani. In linea con la complessiva interpretazione del censimento è dunque ravvisabile un'impostazione etnicista, ma non perché prodotto di un nazionalismo orientale-balcanico arretrato110. Poggiare la rivendicazione della popolazione e dei lavoratori su basi etniche era necessario perché i risultati dei censimenti, come declinati dai nazionalisti, erano sfavorevoli al numero dei croati e bisognava giustificare con tutti i mezzi l'appartenenza della città al nuovo stato jugoslavo. Inoltre, i regimi comunisti davano rilievo all'etnia, alla cultura popolare delle masse, contrapponendola alla contorta cultura della

105 D. Klen (uredio), Povijest Rijeke, 1988, p. 264. 106 Ibidem, p. 234.

107 R. Bićanić, Važnost Rijeke u ekonomskom, cit., p. 165.

108 V. Antić, Rijeka u hrvatskoj književnosti XIX. i početkom XX. stoljeća, in Ibidem, p. 479. 109 D. Bogdanić, O radničkom pokretu u Rijeci, cit., p. 49.

110Un ottimo esempio di case-study che confuta la dicotomia tra nazionalismo Orientale e Occidentale rappresenta il lavoro di T. Zahra, The "Minority Problem" and National Classification in the French and Czechoslovak Borderlands, in "Contemporary European History", Vol. 17, No. 2, May 2008, pp. 137-165. Nel caso concreto dello sviluppo del nazionalismo in Croazia, M. Gross notava come il sistema ideologico dello jugoslavismo e del Partito del Diritto croato dipendevano dal regionalismo croato. M. Gross, Croatian National-Integration Ideologies from the End of Illyrism to

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borghesia111. Veniva così idealmente contrapposta la classe lavoratrice prevalentemente croata alla classe dominante italiana e ungherese.

Da parte della storiografia locale italiana la questione fu affrontata in altri termini. Per Riccardo Gigante, sino al Compromesso l'immigrazione fiumana era dovuta agli italiani dell'Istria e della parte italiana dell'Adriatico, per diventare poi immigrazione della "gente slava"112. Anche se "ostici dal punto di vista nazionale" diversi "slavi" si assimilarono e i figli di alcuni di essi divennero accesi nazionalisti italiani113. In un altro testo, il Gigante utilizzò dei termini più duri nei confronti dei croati e sloveni: "Mancavano braccia al lavoro e ogni anno qualche migliaio di persone calava dalla montagna e s'insediava nella città insidiandone il carattere nazionale o si stabiliva nei piccoli comuni limitrofi dando sviluppo e vita rigogliosa a quei borghi parassiti che tentarono poi di sopraffarla e di soffocarla."114. Dall'altro lato, il nucleo urbano era presentato come italiano, conservatosi latino nella lingua e nei costumi dai tempi di Roma115. Gigante ricalcava perciò il paradigma città/campagna tipico della storiografia nazionalista italiana116. Attraverso questa impostazione era possibile dare rilevanza alla statisticamente piccola presenza dei madrelingua italiani rispetto al maggiore numero di croatofoni dei dintorni. Guido Depoli, scrivendo nel 1906, non sosteneva la tesi della latinità fiumana, anzi: "(...) noi non esitiamo ad ammettere un periodo in cui la maggioranza della popolazione anche nella cerchia della città di Fiume era slava, e che anche oggi i caratteri etnici dei discendenti dei fiumani antichi li uniscano a questa razza (...)."117. Tuttavia, l'etnia non combaciava con la lingua e la nazionalità che divennero italiane per "leggi naturali". Lasciando da parte queste tesi, il punto fondamentale è che pure Depoli sostiene l'integrazione e l'assimilazione degli immigrati nell'ambiente fiumano: "Infatti questi immigrati, quando per particolarità di rapporti sociali non si rinchiudono in chiesuole appartate, subiscono una snazionalizzazione analoga a quella da noi studiata per secoli più lontani. Più esposti a subire questa azione gli ungheresi, i quali - per una serie di motivi psichici e biologici propri del loro carattere etnico, ma più ancora per il loro isolamento dal ceppo nazionale - già nella seconda generazione cominciano ad appropriarsi la nazionalità del paese, la quale sempre, senza eccezioni, è

111 Ulf Brunnbauer, The Ambiguous Nation. Socialist and Post-Socialist Nation-Building in Southeastern Europe in

Perspecitve, in U. Brunnbauer and Hannes Grandits (edited by), The Ambiguous Nation. Case Studies from Southeastern Europe in the 20th Century, Oldenbourg Verlag, Münche, 2013, p. 29.

112 R. Gigante, Fiume e il nuovo confine, cit., p. 16. 113 Ibidem, p. 17.

114 R. Gigante, Folklore fiumano, a cura e note di Salvatore Samani, Libero comune di Fiume in esilio, Padova, 1980, p. 21.

115Ibidem, p. 13.

116 Su questo tema e la successiva polemica vedi Marta Verginella, Il paradigma città/campagna e la rappresentazione

dualistica di uno spazio multietnico, in "Contemporanea", Vol. 11, No. 4, ottobre 2008, pp. 779-792; Raoul Pupo, Alcune osservazioni su storici di campagna e storici di città lungo le sponde adriatiche, in "Contemporanea", Vol. 12,

No. 2, aprile 2009, pp. 405-411.

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l'italiana. E gli slavi stessi, se per la forza numerica e compattezza, ma più per la loro meglio spiegata tenacia, resistono e conservano carattere e lingua, imparano ed usano pure l'italiano, e - siccome la loro efficienza nazionalizzatrice è limitata alla propria difesa, onde nessun forestiero si è slavizzato a Fiume - forniscono ancora una prova, per quanto indiretta, della supremazia e della forza d'assimilazione dell'italianità."118. In pratica riecheggiava le tesi del concepista municipale Pausi, esposte nel secondo capitolo. Soprattutto interessante è questa visione dei magiari come elemento più facilmente assimilabile. Tutto il discorso del Depoli denota però l'incapacità di pensare a un netto binomio lavoratori croati/borghesia italiana, maggiormente visibile nel Gigante.

Luksich-Jamini poi complicò ulteriormente la questione. Per l'autore non esisteva solo la forza assimilatrice dell'italianità, ma la componente operaia doveva essere distinta tra operai qualificati e manovali. Ovviamente gli operai qualificati, reclutati dal cantiere Danubius e dal Silurificio, erano originari da Pola, "gente-tutta italiana", insediatasi in città stabilmente. Invece, la città aveva bisogno dei manovali solo in minor misura e questi perciò non erano stabilmente domiciliati a Fiume. Facevano i pendolari e pertanto erano esclusi dal censimento119. Non occorre puntualizzare che questi non erano italiani. Si creava così una doppia gerarchia: da un lato tra due categorie di operai, dall'altro lato tra i godenti il diritto di pertinenza e gli altri. Praticamente Luksich-Jamini intrecciava aspetti molto complessi e non correlati tra di loro con lo scopo di dimostrare anche nel mondo dei lavoratori l'esistenza di una supremazia nazionale italiana. Come cercheremo di illustrare, le poche fonti aiutano a mettere in discussione molte delle tesi sostenute dalle storiografie rivaleggianti.

Prima però di addentrarci nelle fonti presenti nell'Archivio di Stato di Fiume e utilizzate per questo studio, possiamo ancora una volta citare la statistica statale. Abbiamo accennato più volte all'importanza di rilevare il numero di magiarofoni per le autorità statali. Grazie a questo lavoro insistente, possediamo anche la suddivisione della popolazione per attività professionali e madrelingua nel 1910. Sfortunatamente, nella statistica non sono inseriti separatamente i madrelingua italiani e nemmeno gli sloveni. Rientrano indistintamente nella categoria degli altri. Dal gruppo degli altri, ricordiamolo, sono però esclusi i madrelingua slovacchi, romeni, ruteni e serbi che nella statistica sono riportati separatamente. Questo complica le nostre considerazioni, ma è utile riportare la suddivisione della popolazione attiva nel settore industriale per dimostrare l'insostenibilità di certi (pre)giudizi storiografici. La popolazione industriale attiva, di ambo i sessi, ammontava nel 1910 a 10.003 individui120. All'interno del settore i quattro principali gruppi linguistici erano poi così suddivisi: altri (circa 63%), croati (circa 25%), magiari (7%) e tedeschi

118 Ibidem, p. 18.

119 A. Luksich-Jamini, Il movimento delle nazionalità, cit., pp. 167-168.

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(circa 4%)121. Rispetto al totale della popolazione è evidente che i madrelingua croati sono più presenti nell'industria, mentre la presenza magiara e tedesca è discreta. Per essere però più precisi, sul totale della popolazione magiara attiva, gli impiegati nel settore dell'industria erano il 21%, per i tedeschi la percentuale si alzava al 32,46% e non era dissimile dai croati, fermi al 33,51%. La percentuale degli "altri" impiegati nell'industria era invece, come abbiamo visto, molto elevata. Potremmo qui tentare un'operazione per stimare il numero degli sloveni e italiani all'interno del gruppo degli altri, soltanto per dimostrare l'importanza di pensare criticamente all'estrazione sociale dei madrelingua. Nel censimento generale i madrelingua italiani e sloveni uniti insieme erano in rapporto di circa 11:1. In modo alquanto semplificativo e impreciso, riportando questo rapporto alla categoria degli "altri" impiegati nell'industria si potrebbe stimare, senza pretese di scientificità, che i madrelingua italiani erano il 57% e gli sloveni il 5,65% di tale gruppo. Il risultato dell'operazione è assolutamente discutibile, ad esempio non tiene conto del rapporto tra popolazione attiva e passiva all'interno dei due menzionati gruppi linguistici, ma evidenzia la mancanza dei seguenti binomi esclusivistici: "lavoratori croati", "impiegati statali magiari" e "borghesia italiana". Possiamo anche complicare il quadro aggiungendo che tra i non madrelingua ungheresi della popolazione attiva di entrambi i sessi del settore industriale il 7% conosceva l'ungherese, mentre un abbondante 70% dei magiari attivi nello stesso settore conosceva anche altre lingue ma non sappiamo quali122. Se allarghiamo l'analisi ai diversi settori di produzione della popolazione attiva, certamente determinati madrelingua erano più presenti in alcune categorie. Ad esempio tra la popolazione attiva dedita al settore primario i madrelingua croati erano circa il 42%, gli ungheresi il 25% e gli altri, dunque italiani e sloveni, circa il 17%. Però il numero complessivo di questa categoria ammontava a soli ottocentodiciannove individui123. In nessun settore, tranne l'esercito, vi era la prevalenza netta di un gruppo linguistico124. Nel nostro caso dunque i lavoratori di madrelingua italiana erano comuni quanto gli operai di madrelingua croata. Ricordiamolo, il dato non è indice di affiliazione nazionale. Ritornando indietro di qualche decennio, nel fondo della Polizia fiumana sono presenti alcuni elenchi dettagliati di operai che possono fornici utili informazioni per studiare l'origine geografica dei lavoratori. Uno dei simboli dell'industrializzazione fiumana, il molino Zakaly

121 Ibidem. pp. 351-352.

122 Ibidem. Il primo risultato è stato ottenuto sottraendo i 703 madrelingua ungheresi dalla cifra complessiva dei 10.003. Questa cifra e stata poi relazionata con il numero di non madrelingua ungheresi che conoscono l'ungherese indicato nella tabella, precisamente 696. Invece per i madrelingua ungheresi che conoscono solo l'ungherese è bastato utilizzare il loro numero dunque 703 e relazionarlo con il numero di madrelingua ungheresi monolingui, indicato nella tabella ossia 205.

123 Ibidem, pp. 334-335.

124 Ad esempio, nell'esercito prevalevano i madrelingua croati (76,48%). Nel settore dei trasporti, si pensi qui ai ferrovieri, erano più rappresentati i croati (circa 36%) e i magiari (circa 27%). Non ho tenuto conto degli impiegati nell'industria mineraria che a Fiume erano in tutto otto individui. Le percentuali da me calcolate si riferiscono soltanto alla popolazione attiva. MSZKO, Vol. 56, pp. 334-335; 342-343; 351-352; 356-357; 366-367; 382-383; 390-391; 398-399; 406-407; 414-415 e 422-423.

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(Žakalj)125, nel 1890 aveva ottantotto impiegati. Vista la vicinanza della località a Grobnico (Grobnik) non sorprende come l'assoluta maggioranza degli operai, ben cinquantasei persone, fosse originaria da quella località. La seconda categoria più numerosa era originaria da Sušak (dieci persone), mentre c'erano pochissimi fiumani (due), istriani (tre), triestini (uno), magiari (tre), regnicoli (tre) e carniolini (quattro). I rimanenti erano quasi tutti originari da altre località della Croazia-Slavonia126. Sebbene le maggiori località d'immigrazione rilevate dalla statistica statale siano poco rappresentante, si conferma la scarsa presenza dei magiari tra la classe lavoratrice. La forza lavoro era quasi esclusivamente maschile, erano impiegate solamente sei donne con salari inferiori rispetto agli uomini, mentre l'età media di tutti i lavoratori si attestava sui 36 anni.

Allo stesso periodo risale l'elenco degli operai della Fabbrica di Riso, sita nella zona industriale vicino al confine con l'Istria austriaca. Questo stabilimento poteva contare su ben duecentottantanove impiegati originari dai principali luoghi d'immigrazione rilevati dai censimenti. Dei lavoratori per cui è stato possibile identificare la località d'origine (duecentosessanta) risulta come la maggioranza fosse originaria dall'Istria (37%), seguita dalla Croazia-Slavonia (15,7%) e Carniola (15,4%), mentre la componente fiumana si fermava al 13,5%. Gli altri operai erano originari dalla Boemia, Moravia, Stiria, Dalmazia, Gorizia, Trieste, dall'Italia e dall'Ungheria. In particolare i magiari si limitavano a soli cinque individui, mentre i regnicoli raggiungevano il numero di quindici impiegati127. Nel caso di tutti e due gli stabilimenti non è ravvisabile una diversità professionale tra i magiari e gli altri operai: i magiari non sono in genere maggiormente qualificati e non godono di salari superiori. I lavoratori della fabbrica di riso erano leggermente più giovani di quelli del molino Žakalj, con una media di 29 anni, mentre la componente femminile rappresentava circa un terzo della forza lavoro (novantacinque persone) impiegata prevalentemente nell'imballaggio dei prodotti. Analogamente al molino, le donne erano meno pagate degli uomini.

Non risulta che l'Archivio di Stato di Fiume conservi altri elenchi di operai, in modo particolare per i rimanenti cinque principali stabilimenti industriali. Le schede personali della Fabbrica di Carta Smith & Meynier, la cui sede istituzionale fu trasferita a Zagabria nel 1922 e passata in proprietà a una ditta d'assicurazioni nel 1925, risalgono al periodo dopo la Grande guerra e riguardano perlopiù operai qualificati128. Pare non esista o non sia stato conservato un elenco per la Raffineria d'olii minerali e la Fabbrica tabacchi129. Il discorso è leggermente diverso per il

125 Ervin Dubrović (priredio), Doba modernizacije 1780-1830, Muzej grada Rijeke, Rijeka, 2006. D. Klen, Povijest

Rijeke, cit., p. 187 e pp. 259-260.

126 DARi-52, Magistrato Civico, Sezione di Pubblica Sicurezza, Busta 3, P.S. 1620, Elenco dei Lavoranti del Molino Žakalj. Un impiegato era originario dalla Svizzera mentre per uno l'autore non è riuscito a identificarne la località. 127 DARi-52, Magistrato Civico, Sezione di Pubblica Sicurezza, Busta 3, P.S. 1687, Lista nominale dei Lavoranti e della lavoratici della Pilatura di riso e fabbrica d'amido.

128 DARi-826, Tvornica papira Rijeka, Busta 623, Peronalni kartoni radnika, Osobnici.

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silurificio e il cantiere Danubius.

Un elenco di trecentosettantasette operai del Silurificio, risalente al 1878, è stato individuato da Cattaruzza130. Si tratta di una petizione firmata dagli operai, tra l'altro diversi analfabeti, senza ulteriori indicazioni131. L'elenco perciò può essere solamente di una discreta utilità, eventualmente comparato con altre fonti, tenendo presente la frequente storpiatura dei nomi e cognomi. Risultano invece utili i libri di impiegati del silurificio presenti nello stesso archivio. Sfortunatamente, il primo libro contenente le prime ottantadue assunzioni non è stato conservato, ma il secondo e il terzo libro, compilati a partire dal 1923, possono essere utili anche per considerazioni sul periodo asburgico132. A tal proposito ho utilizzato i dati di trecentoventisette operai assunti dal febbraio 1923 alla fine del 1925133. La ricerca potrebbe essere estesa anche al periodo successivo, tuttavia reputo che con l'andare del tempo gli operai anziani furono sempre più difficilmente assunti. Tramite la data di nascita, categoria presente nel registro, ho suddiviso gli operai in nati prima del 1880 (centotré) e tra il 1880 e 1890 (settantatré) ossia circa il 53% degli operai assunti nell'intervallo presso in analisi. Senza altre fonti non è possibile sapere con certezza se tutti gli operai nati in quel frangente di tempo passarono l'intera carriera lavorativa nel Silurificio oppure furono assunti per la prima volta nel 1923. Per alcuni di loro è invece possibile confermare tale ipotesi utilizzando altre fonti134. In ogni caso, possiamo escludere con certezza si sia trattato di immigrati giunti recentemente dall'Italia, nell'imminenza dell'annessione della città. Appunto, tra gli operai nati prima del 1890 soltanto cinque operai erano originari da territori che appartenevano al Regno d'Italia prima del 1920. Nonostante la complessità dei dati del registro (veniva censita la nazionalità intesa come cittadinanza, la pertinenza, la provincia e il luogo di nascita) ci limiteremo a rilevare il luogo di nascita. L'assoluta maggioranza degli operai nati prima del 1890 era nata a Fiume (settantasei) oppure nella limitrofa Istria (cinquantasei). I rimanenti erano triestini (tredici), carniolini (dodici), croati (sei) e vi erano ancora due boemi, due magiari e rispettivamente un dalmata e un gradiscano. Il discreto numero di croati, carniolini e ungheresi è sicuramente il prodotto degli avvenimenti intercorsi nel periodo 1914-1923. Inoltre, il silurificio era uno dei primi

risulta sia stato conservato un elenco degli operai. Da uno scambio di mail avuto con il personale dell'Archivio Nazionale di Budapest non risulta che essi possiedano documentazione riguardante la Raffineria d'Olii minerali o della fabbrica tabacchi.

130 A. Casali e M. Cattaruzza, Sotto i mari del mondo, cit, Note al capitolo quinto, Nota 7, p. 265.

131 DARi-7, Regio governo, Affari generali, Busta 43, Anno 1878, 12-49, 20-A Whitehead és Tsa cég torpedóexport-ügyei.

132 Stando all'archivista dell'Archivio di Stato di Livorno, tale archivio non conserva alcuni elenco di operai per il menzionati periodo. Informazioni sul fondo presente a Livorno: Whitehead Moto Fides, http://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=comparc&Chiave=290528 (ultimo accesso il 17.05.2016).

133 DARi, PO-37, Tvornica Torpedo, Libro 1, Numeri 81-377 e Libro 2, Numeri 378-677.

134 Ad esempio, confrontandoli con l'elenco degli operai della petizione del 1878, con gli elenchi degli operai premiati dal Ministrero o "più semplicemente" tratte informazioni dalla stampa.

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stabilimenti industriali locali per cui Fiume era il luogo di nascita per molti discendenti di famiglie immigrate nella seconda metà dell'Ottocento. Perciò affermare che nel silurificio fossero sin dall'inizio presenti forze locali ("domaći ljudi"), per enfatizzare la presenza croata, equivalerebbe a semplificare eccessivamente il discorso135. Dall'altro lato gli istriani erano effettivamente numerosi, ma non conosciamo la loro affiliazione nazionale. Se Pola come luogo di nascita è indice di sicura italianità, come sembrava affermare Luksich-Jamini, possiamo contarne solo dieci in questa categoria.

Riguardo al cantiere navale Danubius, entrato in funzione nel 1907, sembrerebbe che i registri d'immatricolazione degli operai siano tutt'ora in possesso degli attuali proprietari. Infatti,