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La corretta gestione societaria e imprenditoriale

Il primo, ed immediato, interrogativo che suscita il principio della corretta gestione societaria e imprenditoriale, la cui violazione comporta, a norma dell’art. 2497 cod. civ. la responsabilità nei confronti dei soci e dei creditori sociali della società è se quest’ultima nasca da una gestione non corretta sia societaria sia imprenditoriale, attesa la congiunzione “e”. La soluzione positiva a questo interrogativo comporterebbe il paradosso, o comunque all’ingiusto risultato, che laddove via sia una violazione dei principi di corretta gestione societaria ma non imprenditoriale e viceversa, essa non sia sanzionabile162. Ci si è chiesti, allora, se i due aggettivi abbiano una valenza sinonimica, come potrebbe essere confermato da un passo della per un interesse di natura imprenditoriale configurerebbe una forma di abuso più grave di quella sanzionata dall’art. 2497 c.c., la quale, perciò, preluderebbe all’applicazione di un rimediò più severo di quello della responsabilità risarcitoria; ii) il meccanismo compensativo configurato dall’art. 2497, comma 1, c.c. richiederebbe la sussistenza di un interesse imprenditoriale. Si v. anche Angelici, La riforma delle società di capitali, II ed., Padova, 2006, 197; V. Pinto, La responsabilità degli amministratori per «danno diretto» agli azionisti, in Il nuovo diretto societario, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 2, Torino, 2007, 936. Dubitativi, P.G. Jaeger, F. Denozza e A. Toffoletto, Appunti di diritto commerciale, VI ed., Milano, 2006, 298, per i quali la disposizione sarebbe inapplicabile, con sicurezza, solo nella parte relativa ai vantaggi compensativi.

159 Si v., per tutti, Galgano, Direzione e coordinamento cit., 104 e A. Caprara, Attività di direzione e

coordinamento di società: la responsabilità dell’ente pubblico, in Le società, 5, 2008, 557 ss.

160 Così N. Abriani, Gruppi di società e criterio dei vantaggi compensativi nella riforma del diritto societario, in

giur. comm., 2002, 216 ss.

161 Cfr. Abriani, Gruppi di società cit., 619, secondo il quale l’omesso richiamo agli interessi della capogruppo

«sembra indicare che nel nuovo quadro normativo, ancor più nitidamente di quanto non si riconosca nel sistema attuale, l’interesse di gruppo non può farsi coincidere con l’interesse della holding e, tanto meno, dei suoi azionisti di comando».

Relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 6/03, il quale fa riferimento ai “corretti principi di

gestione societaria”. La locuzione utilizzata dal legislatore ha, quindi, creato seri dubbi interpretativi, tuttora irrisolti163.

L’ulteriore interrogativo sollevato dalla norma è quello: se la locuzione “principi di corretta gestione imprenditoriale e societaria” rappresenti qualcosa di diverso dal tradizionale presupposto della responsabilità da negligente gestione; e se, conseguentemente, l’interprete abbia a che fare oggi con una responsabilità da scorretta gestione che sia qualitativamente diversa dalla negligente gestione164. I principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, invero, non troverebbero giustificazione perché il sistema conoscerebbe altri paradigmi, quali la diligenza professionale e la corretta amministrazione165. La risposta a questa domanda prelude a quella alla fondamentale questione della natura della responsabilità, in merito alla quale si dirà infra.

L’esegesi della norma, in ogni caso, dimostra la razionalità della scelta di contemperare entrambi i profili, societario ed imprenditoriale, giacché lo scopo perseguito dalla società inserita in un gruppo non è più solo quello di conseguire il proprio lucro in via immediata e diretta, quanto quello di perseguire l’interesse di gruppo166, in quanto compatibile con quello della società stessa. In altri termini, dal momento che, quando la società è parte di un gruppo, analogamente a quanto avviene nelle congregazioni umane (ma anche animali), l’individuo, la persona, sia essa fisica o giuridica, trasforma le modalità con cui perseguire il proprio interesse egoistico, magari concedendo ad altri membri del gruppo vantaggi, dal ché egli ottiene la soddisfazione di un proprio interesse in via mediata e diretta, così anche i principi della società si tramutano quando essa fa parte di una “famiglia” (non a caso le altre società vengono chiamate “madre” e “sorelle”). Insomma, si è preso atto del fatto che «l’utensileria tradizionale del diritto societario “comune” o “atomico”» non «è in grado di fornire risposta adeguata anche ai corrispondenti problemi che si pongono sul piano di gruppo o molecolare»167. Il diritto, perciò, è ricorso, giustamente, anche ai principi imprenditoriali,

163 Si v. l’Audizione di Assonime, in Riv. soc., 2002, 1596, nella quale è espressa la preoccupazione che la

formula generale dei principi di corretta gestione avrebbe potuto tradursi in un ampliamento ingiustificato delle ipotesi di responsabilità. Dello stesso avviso, l’ABI (Audizione ABI, in Riv. soc., 2002, 1613) e il Parere dei componenti del Collegio dei docenti cit., 1507.

164 M. Rescigno, Eterogestione e responsabilità nella riforma societaria fra aperture ed incertezze: una prima

riflessione, in Società, 2003, 334.

165 P. Montalenti, Osservazioni alla bozza di decreto legislativo sulla riforma delle società di capitali, in Riv.

soc., 2002, 1550.

166 Come riconosciuto anche dalla Corte di Cassazione, 5 dicembre 1998, la quale aveva affermato la legittimità

dell’interesse di gruppo «inteso come perseguimento di scopi comuni, anche trascendenti dagli obbiettivi delle singole società appartenenti all’aggregazione» e che «la società, per il fatto di essere inserita in un’aggregazione più vasta creata per esigenze obbiettive di coordinamento e di razionalizzazione dell’attività imprenditrice, viene non di rado a conseguire dei vantaggi che la compensano dei pregiudizi eventualmente subiti per effetto di altra operazione».

poiché essi possono costituire un utile “utensile” alla valutazione della correttezza di scelte gestionali, assunte in una logica, non della società monade, bensì di gruppo. «Naturale, quindi, che i canoni di misurazione della correttezza della gestione societaria e imprenditoriale di una società diretta e coordinata non possano prescindere dal suo status di società raggruppata»168.

Anche il dato letterale di cui all’art. 2497 c.c., perciò, dovrebbe condurre a ritenere ormai legislativamente riconosciuta la sussistenza di un interesse di gruppo, come prospettato da Galgano169. Se l’interesse di gruppo differisce da quello sociale, si pone, allora, l’ulteriore problema di stabilire in che rapporto si trova questo interesse rispetto a quello dei soci e degli amministratori. È stato, infatti, chiarito che, mentre per i soci l’interesse sociale è un obiettivo alla cui definizione essi contribuiscono nell’esercizio della discrezionalità che loro compete nella formazione della volontà assembleare, per gli amministratori esso rappresenta un interesse estraneo al cui perseguimento sono tenuti in forza del particolare rapporto che intercorre fra essi e la società170. Per cui, per questi ultimi l’interesse sociale è un dato esterno e in qualche misura oggettivo, che si pone quale premessa dell’esercizio del loro potere deliberativo, per i soci, invece, non esiste un interesse sociale predefinito e logicamente presupposto alla deliberazione, esso, «in una prospettiva rigorosamente contrattualistica, rappresenta l’esito dell’esercizio del potere deliberativo e non la sua premessa»171. Rispetto a i soci di una società controllata, invece, l’interesse non è l’esito dell’esercizio del loro potere deliberativo ma è precostituito rispetto alla formazione della volontà della società controllata. Il paradosso è, perciò, che anche per i soci esterni l’interesse sociale è un dato oggettivo ed estraneo, poiché esso si trova ad essere inciso da un fatto, l’attività di direzione e coordinamento, che trascende la formazione della volontà assembleare della società diretta per imporre ipso facto a quest’ultima il perseguimento di un interesse di gruppo che, come visto, è altro e ulteriore rispetto ai singoli interessi sociali che lo compongono e di cui non costituisce la mera somma algebrica.

In ultimo, con la locuzione “corretta gestione imprenditoriale e societaria” ci si riferisce sia alla gestione degli amministratori secondo i principi elaborati dalla comune diritto societario, sia il malgoverno del gruppo ad opera della stessa assemblea della holding, «i cui deliberati nelle materie di sua competenza - operazioni sul capitale, fusioni, scissioni - possono provocare ingiustificati squilibri fra le diverse società del gruppo»172.

168 Cariello, Direzione e coordinamento cit., 1247. 169 Direzione cit., 28.

170 P. G. Jaeger, L'interesse sociale, Milano, 1963, passim. 171 Abriani, Gruppi di società cit., 621.