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La responsabilità solidale degli amministratori e componenti gli organi di vigilanza

9. La responsabilità solidale di chi abbia preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del

9.2 La responsabilità solidale degli amministratori e componenti gli organi di vigilanza

della società sottoposta ad attività di direzione e coordinamento

La legittimazione passiva degli amministratori non è esplicitamente riconosciuta dal legislatore, ma può senz’altro desumersi dall’obbligazione solidale di chi «abbia comunque preso parte al fatto lesivo», prevista dal secondo comma dell’art. 2497 c.c.229. Questa norma stabilisce speciali regole di propagazione della responsabilità della capogruppo, le quali, tuttavia, devono essere contemperate con il problema del carattere vincolante delle direttive di gruppo e dell’ambito del sindacato concesso su di esse agli amministratori della società eterodiretta e quello della misura in cui azionisti esterni e creditori della società abusata possono ricercare il ristoro dei danni subiti seguendo le vie ordinarie previste per la società monade230.

Si deve ritenere che, nel caso in cui la società che esercita l’attività di direzione e coordinamento impartisca direttive da ritenersi pregiudizievoli per la società sottoposta a tale attività, in una valutazione complessiva degli interessi in gioco, gli amministratori della società sottoposta siano tenuti a disapplicare le direttive ricevute. Essi sono investiti di una propria responsabilità, civile (artt. 2393-2395 del c.c.) e penale (artt. 2621-2633 del c.c.), tanto che una consolidata giurisprudenza aveva già affermato nell’ambito del concetto di direzione il principio per cui in nessun caso gli amministratori sono esonerati da responsabilità adducendo a loro discolpa di aver ubbidito ad ordini o direttive dell’assemblea dei soci231.

Gli amministratori della società sottoposta sono tenuti a gestire la società nel modo in cui essi ritengono opportuno e la discrezionalità della loro attività è protetta perfino contro l’ingerenza della giurisprudenza, con l’applicazione della regola di origine anglosassone “business judgement rule”232. Essi godono di autonomia gestionale e, quindi, devono essere considerati soggetti autonomi anche nei confronti della società capogruppo233. Gli

229 V. Cariello, in società di capitali. Commentario Niccolini-Stagno d’Alcontres, III, Napoli, 2004, 1871; G.

Guizzi, Eterodirezione dell’attività sociale e responsabilità per mala gestio nel nuovo diritto dei gruppi, in Riv. dir. comm., 2003, I, 453; F. Brizzi, il sistema delle responsabilità gestorie nelle società di capitali alla luce della riforma: cumulo di azioni e possibili interferenze, in Dir. e giur., 2006, 226 ss.

230 Cfr. Abbadessa, La responsabilità della società capogruppo cit., 284, nt. 11.

231 Cass. 21 maggio 1988, n. 3544, in Giur. comm., 1989, II, 203; Cass., 28 marzo 1996, n. 2850, in Soc., 1996,

1397; Cass. 7 febbraio 1972, n. 296, in Foro it., 1972, I, 1225; Cass. 8 maggio 1964, n. 1090, in Giur. it., 1965, I, 1, 465.

232 Questa regola consiste in una presunzioni di buona fede degli amministratori, secondo cui «the directors of

the defendant corporation are clothed with that presumption which the law accords to them of being actuated in their conduct by a bona fide regard for the interests of the corporation whose affaires the stockholders have committed to their charge», secondo chancellor Wolcott in Robinson v. Pittsburgh Oil Ref. Corp., 14 Del. Ch.193,199,126 A.,46,48 (Ch. 1924).

233 Secondo Galgano, «solo un forte limite culturale può far presumere che i manager preposti alle controllate

amministratori della controllata hanno il dovere di filtrare le direttive impartite dalla capogruppo e non possono essere esonerati dalla responsabilità conseguente ai fatti di gestione, adducendo di aver eseguito le direttive impartite dalla società capogruppo. Essi, pertanto, rimangono responsabili nei confronti dei soci e dei creditori della società che amministrano.

Secondo una dottrina, l’amministratore che ha passivamente subito le direttive altrove elaborate potrebbe invocare come esimente l’aver obbedito alle altrui direttive234.

A questa opinione, può replicarsi che dagli articoli 2380-bis e 2364, 1° comma, n. 5), si desume la generale ed esclusiva competenza degli amministratori per la gestione di impresa235.

Ciò, oltre a discendere dai principi societari, ad essere confermato dalle sudddete norme, è anche esaltato dalla previsione degli artt. 2497 bis e ter c.c. Queste disposizioni sono state poste a favore degli amministratori, per consentire loro di precostituire una prova della mancata partecipazione al fatto lesivo. Il loro inadempimento dei doveri sociali, quindi, è fonte di responsabilità sia solidale ex art. 2497, sia principale verso la società amministrata i soci e i creditori.

L’art. 2497-bis prevede, infatti, che gli amministratori che omettano di adempiere agli obblighi di pubblicità, o mantengano forme di pubblicità relative alla partecipazione ad un gruppo di società dopo che tale partecipazione sia cessata, «sono responsabili dei danni che la mancata conoscenza di tali fatti abbia recato ai soci e ai terzi». L’inadempimento degli obblighi, quindi, può portare alla conclusione che essi abbiano “preso parte al fatto lesivo”.

L’art. 2497-ter, poi, prevede l’obbligo di motivazione delle decisioni. Tale disposizione si differenzia da quanto previsto dall’art. 2391 c.c., in quanto, mentre per quest’ultimo «è necessario che la motivazione evidenzi il vantaggio della società in contrapposizione all’apparente potenziale pregiudizio», per l’art. 2497 ter «la motivazione rende trasparenti le ragioni che hanno portato alla decisione, nella misura in cui questa sia stata influenzata dall’attività di direzione e coordinamento, indipendentemente dalla considerazione dei sacrifici e degli eventuali vantaggi compensativi»236.

Le due disposizioni predette esaltano il dovere degli amministratori di agire nell’interesse della propria società e solo ove sia compatibile, in quelli del gruppo. Se fosse stato lecito per

234 G. Scognamiglio, Poteri e doveri degli amministratori cit., 199, secondo la quale l’art. 2497-ter imporrebbe

«un obbligo di trasparenza, piuttosto che un dovere di disattendere direttive non immediatamente coerenti con l’obiettivo della massima valorizzazione della società controllata»; nonché A. De Nicola, Commento all’art. 2380-bis, in commentario alla riforma delle società, diretto da P.G. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Milano, 2005, 97.

235 Cfr. Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. cit., 8 ss.; L. Nazzicone - S. Providenti, società per azioni.

Amministrazioni e controlli, Milano, 2003, 9; F. Galgano, Il nuovo diritto societario cit., 200.

loro subordinare l’interesse della società amministrata a quello della capogruppo non si spiegherebbe perché debbano darne conto nel momento in cui abdicano alla loro autonomia decisionale e indicare dettagliatamente quale sia l’interesse perseguito nell’assoggettarsi alla scelta altrui237.

In sintesi, quando si deroga al principio societario per cui gli amministratori sono coloro che adottano le decisioni, deve essere reso trasparente il meccanismo decisionale attraverso il quale queste decisioni sono assunte: viene meno, cioè, quel velo di riserbo che copre l’autonomia manageriale e la loro discrezionalità. Ciò, d’altronde, avviene anche nel sistema anglosassone, in cui, in caso di conflitto d’interessi, viene disapplicata la regola della business

judgement rule.

Quanto ai sindaci, essi sono responsabili solidali per l’inadempimento dei doveri previsti dall’art. 2403 c.c. allorché esso concorra al prodursi del “fatto lesivo” e sono obbligati a dimostrare la propria diligenza o che l’evento dannoso si sarebbe comunque prodotto, anche se a fossero stati diligenti. Anche per i sindaci della società sottoposta rileva quanto previsto dall’art. 2403 bis, II comma, c.c., ossia la possibilità di scambiare informazioni con il collegio sindacale della capogruppo sull’andamento generale dell’attività sociale e sui sistemi di amministrazione e controllo. Infine, ad essi è altresì applicabile l’art. 2409, I e ultimo comma, c.c.

La responsabilità di tutti gli amministratori e vigilanti, rispettivamente della società capogruppo e di quella sottoposta, è solidale, nel senso che opera in ragione di un concorso ex

titulo nel fatto lesivo, ossia derivante dalla stessa titolarità della funzione rispettivamente di

amministrazione e di controllo238.

Pertanto, il soggetto danneggiato (creditore o socio della controllata) può scegliere di agire: contro la capogruppo e i suoi organi e in via solidale contro gli amministratori e gli organi di vigilanza della sottoposta, quando si ritiene che abbiano preso parte al fatto lesivo; oppure contro la capogruppo, i suoi amministratori e sindaci, e, con autonoma azione, contro gli organi della società sottoposta, si sensi dell’art. 2394 c.c o 2395 c.c., in tal caso la sorte delle due azioni sarà indipendente.

9.3 La responsabilità dei soci di controllo

237 Guizzi, Eterodirezione dell’attività sociale cit., 453.

238 Così, infatti, si è espressa la Suprema Corte: «il diverso rilievo causale di quanti (sindaci e amministratori)

abbiano concorso alla causazione del danno […] assume, poi rilievo, nei soli rapporti interni tra coobbligati (ai fini dell’eventuale esercizio dell’azione di regresso) e non anche nei rapporti esterni che legano gli autori dell’illecito al danneggiato…, giusto il principio generale di solidarietà tra coobligati di cui all’art. 2055, I comma, c.c.» (Cass. sez. I, 28 maggio 1998, n. 528).