disposizioni dei precedenti articoli non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori. L’azione può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell’atto che ha danneggiato il socio o il terzo».
Tale azione si distingue da quella sociale e da quella esercitata dai creditori sociali, in quanto il danno deve prodursi direttamente sul patrimonio del socio e del terzo, e non sul patrimonio sociale288, come è stato più volte sancito dalla Suprema Corte: “(la fattispecie astratta di cui all’art. 2395) presuppone che il danno allegato non costituisca riflesso di altro danno arrecato al patrimonio sociale, ma abbia propria, autonoma genesi, e fisionomia”289.
Presupposti dell’azione di cui all’art. 2395 c.c. sono: a) l’esistenza di un atto illecito da parte degli amministratori; b) il verificarsi di un danno direttamente nella sfera patrimoniale del socio o del terzo; c) il nesso di causalità tra pregiudizio e condotta illecita.
Riguardo alla tipologia degli atti illeciti azionabili, si è sostenuto che sarebbero solo quelli compiuti al di fuori dell’esercizio delle funzioni attribuite agli amministratori e derivanti da un’attività individuale290, e ciò perché l’avverbio direttamente usato dal legislatore
285 Alpa e Bessone, La responsabilità civile, aggiornamento 1988-1996, in Giurisprudenza sistematica di diritto
civile e commerciale, a cura di W. Bigiavi, Torino, 1997, sezione IV.
286 G. Frè – G. Sbisà, Società per azioni, in Commentario al c.c., a cura di Scaloja e Branca, libro V, artt. 2325-
2461, Bologna-Roma, 1982, 524.
287 Cottino, Diritto commerciale, Padova, 1976, 675; Cass. 14 febbraio 1976, n. 411.
288 Bonelli, Gli amministratori di società per azioni , in Tattato di dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, 1985,
313.
289 Cass., 10 aprile 1988, n. 4817; Cass. n. 2316/1994 cit..
escluderebbe dalla possibilità di azione l’illecito commesso mediatamente dagli amministratori attraverso la società. A tale interpretazione si contrappone sia un argomento letterale, il richiamo da parte dell’art. 2395 dei precedenti articoli, sia un argomento logico: gli illeciti commessi al di fuori dell’incarico di amministratore che abbiano prodotto un danno, sono perseguibili secondo l’art. 2043 e dunque l’art. 2395 sarebbe disposizione superflua291. Ciò è stato statuito anche dalla giurisprudenza: «l’art. 2395 […] richiede unicamente che il danno causato dagli amministratori abbia investito in via immediata il patrimonio del socio o del terzo, senza che assuma rilievo che il danno sia stato arrecato dagli amministratori nell’esercizio delle loro incombenze o al di fuori di esso, né che il danno sia, o meno, ricollegabile ad un inadempimento della società, né, infine, che l’atto lesivo sia stato eventualmente compiuto dagli amministratori nell’interesse della società o a vantaggio della stessa»292.
Innanzitutto il requisito dell’incidenza diretta del danno sul patrimonio del socio o del terzo concerne l’an debeatur e va tenuto distinto da quello in base al quale sono risarcibili solo i danni che siano “conseguenza immediata e diretta” dell’atto, che concerne invece il
quantum debeatur293. Nella pratica è assai difficile stabilire se il danno prodottosi nel
patrimonio del socio e del terzo sia autonomo o sia un riflesso di quello prodottosi nel patrimonio sociale. A titolo esemplificativo si faranno due esempi. Rientra nella fattispecie di cui all’art. 2395 c.c. il caso dell’amministratore che mediante la redazione di bilanci induca i socie o i terzi ad acquistare, vendere azioni o sottoscrivere aumenti di capitale a condizioni manifestatamene inadeguate, provocando così un danno al loro patrimonio294. Questo caso si potrebbe dire che sia attuale, visto quanto accaduto nel caso Parmalat. Mentre non rientra nella previsione dell’art. 2395 c.c., bensì in quella di cui all’art. 2393 c.c., il caso di distrazione da parte degli amministratori di utili di cui non era ancora stata deliberata la distribuzione295.
Quanto alla natura di questa responsabilità, vi è in dottrina chi abbia ipotizzato la sua natura contrattuale, in base all’assunto che essa derivi dall’inadempimento di preesistenti obblighi che l’atto costitutivo o la legge impongono agli amministratori per il corretto esercizio delle loro funzioni e non dal mero compimento di un atto dannoso in violazione del generico dovere del neminem laedere oppure in base a una valutazione comparativa degli
291 Ex multis: Baudino-Fascinelli, Gli amministratori di società per azioni e a responsabilità limitata, Milano
1994, 198 e 199, nota 47; Frè-Sbisà, Società per azioni cit., 1982.
292 Cass., 28 marzo 1996, n. 2850.
293 Alpa e Bessone, La responsabilità civile cit., passim.
294 Minervini, Gli amministratori cit., 363; App. Firenze, 13 aprile 1966, in Dir. fall., 1966, II, 854. 295 Cass. 26 marzo 1993, n. 9385; Cass. 23 febbraio 1969, n. 1290, in Riv. Dir. Comm., 1969, II, 428.
interessi rapportata a un criterio di pubblica utilità296. Ma è facilmente replicabile che «una responsabilità per danni derivanti da dalla violazione di doveri di prestazione può sussistere solo nei confronti del soggetto attivo di un rapporto obbligatorio, e che i soci e i terzi che agiscono ex art. 2395, non sono parti di un rapporto obbligatorio con gli amministratori»297. I
La tesi assolutamente prevalente in dottrina ( per esempio Galgano, ferri, Cottino, Ragusa Maggiore) e in giurisprudenza298 è quella della natura extracontrattuale della responsabilità in esame. Così afferma la Cassazione: «la domanda […] rientra nello schema della responsabilità, di natura extracontrattuale, prevista dall’art. 2395 c.c., la quale presuppone che il danno allegato non costituisca un riflesso di altro danno arrecato al patrimonio sociale, ma abbia autonoma genesi e fisionomia, con ciò distinguendosi dalla responsabilità contrattuale, ex art. 2393, che la società può invocare nei confronti dell’amministratore per la violazione di obblighi legali o pattizi, inerenti all’esercizio delle funzioni di quest’ ultimo»299.
Le motivazioni, con cui viene affermata la natura extracontrattuale della responsabilità dell’amministratore nei confronti dei socie o dei terzi, sono di estremo interesse, perché, con qualche variante, vengono riproposte nella discussione, animata, sulla natura della responsabilità della capogruppo per l’attività di direzione e coordinamento, di cui all’art. 2497.
Nella fattispecie prevista dall’art. 2395, però, la responsabilità si imputa agli amministratori e solo in virtù del rapporto organico - il principio di immedesimazione organica prevede che la persona giuridica sia chiamata a rispondere dell’atto illecito dell’organo - delle violazioni dell’amministratore risponde anche la società da lui amministrata300.