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LA CULTURA DEL PERSONALISMO

Nel documento DON BOSCO (pagine 49-52)

I

sistemi

di

totalizzazione che prendevano consistenza nella tem-perie della cultura del suo tempo, vengono da Don Bosco

rifiutati

con una idiosincrasia chiaru, insieme a

tutto

quello che sa

di

sper-sonalizzazione

e di

enf.atizzazione dell'<< oggettivo >>

e

dell'<< uni-vetsale »>.

Tutto il

suo modo

di

sentire

e di

vedere,

di

orientarsi

e

di comportarsi, è suggerito dal privilegiamento della singolarità, del-I'uomo cioè visto nella sua

itripetibilità

sacra.

A

difietenza del suo contemporaneo Kierkegaard

-

che

riven-dica la posizione centrale all'individualità, colta petò

in

regime di angoscia per l'unilateralità

di

visione della sua impotenza da auto-sufficienza

e

da peccato

-

Don Bosco coglie l'uomo nella concre-tezza dialettica

di

peccato e

di

grazia,

di

ombra e

di

luce.

Attribui-sce al secondo termine della dialettica

il

ruolo

di

punto nevralgico,

di

inizio

di

metodo.

Il

suo pensiero resta insmitto nella sua prassi sul piano della dimensione della paternità, vivamente

da lui

avvertita

e

ampia-mente esercitata e

poi

al

livello

pedagogico, sia nel momento teo-retico sia nell'esercizio

del

suo sistena preuerutiuo,

col

punto fo-cale della persona dell'educando aperto

in alto e

verso

gli alri,

nella dimensione rascendente cioè, e

in

quella sociale.

È proprio

quest'impostazione

di

metodologia prassica

e

teo-retica che legittima

la

desoizione dell'orizzonte del personalisrno, nel quale si colloca la sua figura e

la

sua opera.

Tutta la nostra analisi non mirerà ad altro che a documentare

la

passione

di un

uomo vero per ogni uomo

vivo,

cioè

per

ogni 49

L. rr,

srNcor,o

AL

cENTRo

uomo con

cui

avesse rapporto, afinché fosse sempre

più vivo.

E questa passione,

in

una natura così poliedrica e così pratica

-

cioè

incline alf incessante operazione dell'investimento

di

capitali

uma-ni -

diventò servizio educativo afinché ogni uomo che inconffava e

tutto l'uono

che

vi

inuavvedeva

si

sviluppasse nella dimensione dell'uomo autentico.

2. rr prnsoNAlrsMo

coME oRrzzoNTE

Il

concetto

di

personalismo esula dall'incapsulamento

in

una

scuola peculiare

o dal

monopolio

di

una particolare

dottina.

Si configura invece come

un

fenomeno globale

e

variegato

di

tipo reattivo e propositivo.

È

anzitutto una reazione storica alle impo-stazioni totalizzanti da una parte, e individualistiche dall'altra. Né-doncelle ne ffaccia

un

quadro chiaro

e

sintetico, menffe afretma:

<<

Il

termine personalismo designa

ogni dottrina che

atuibuisce

alle persone

un

importante posto nella realtà

o,

a

fortiori,

che le considera come

la

sola realtà.

In un

senso

più

approssimativo,

il

personalismo consiste nel reclamare

il

rispetto della persona umana nell'azione morale

e

nell'organizzazione

della

società >> 1.

1 u. NÉooNcrI-ty, Verso una filosofia dell'amore e della persora, Roma 1959. E prosegue:

« Nella storia si sono avute molte pulsioni personalistiche: i| enotbi seaù6n, di Socrate, l'aatarkeia degli stoici, la societas generis humani di Cicerone bastano a mostrarne la pre-senza e la vatietà nel mondo greco-romano, Ma soprattutto il ctistianesimo ha conuibuito ad aricchite l'idea di persona, avendola divinizzata sia col dogma della Trinità, sia con quello deil'Incarnazione e con la concezione di una Chiesa corpo di Cristo. Il Medio Evo ha dato fotma concettuale a questa idea e ne ha tratto qualche conseguenza di ordine teo-logico, metaÉsico e morale. Dal Rinascimento, la persona umana si allerma staccandosi dalle sue radici religiose o istituzionali e tende, d'altra parte, a identificarsi con la coscienza stessa, come nel Cogito di Cartesio, Così Berkeley scrive: " nulla esiste propriamente all'infuori delle petsone ossia delle cose coscienti. Tutte le altre cose non sono esseri quanto modi d'essere delle persone ". Morale in Kant, il petsonalismo diventa ontologico in Fichte poi

in Renouviet e costituisce allora un ben distinto orientamento del pensiero, nonostante la diversità di forme che può assumere.

Il vocabolo è tuttavia recente in filosofia. Sembra venuto dalla Getmania, dove i commenti a Spinoza lo han fatto nascere in un contesto di discussioni teligiose. Si trattava di decidete se l'idea d'una personalità infinita fosse accettabile. Nel 1798 Herder aveva parlato di Dio come di un " unpersiinliches §0esen ". I personalisti o teisti si opposero subito agli imper-sonalisti o panteisti. In questo senso, per esempio, Schleiermacher usa Personalismus nei suoi Reden ilber die Religiox e Goethe chiama Jacobi personalista. Un'accezione meno spe-ciale del termine non sembra anteriore a Teichmùller (Neae Grundlegung der Psycbologie

afld Loeik, 1889). In Inghiltetra la parola si trova in un articolo della Quarterly Reuieu nel 1846, ma il suo primo impiego filosofico è del 1865 nel|'Explorutio philosopbica di John Grote. In Francia Paul Janet, sotto l'influsso della Germania, avtebbe fatto volentied di personalismo un sinonimo di spiritualismo, ma vi ha rinunciato temendo gli equivoci che

Come l'ottocento aveva prodotto

i

sistemi delTa

totalità,

così aveva esasperato

Ie visioni

delTa indiuidualità.

Max Stirner,

in

origine filosofo della sinistra hegeliana, con la sua riflessione L'unico e

la

sua

proprietà',

esalta f individualismo

di un io

riscoperto come principio

e

fine

di

ogni cosa, esclusivo e definitivo paramero

di

verità.

È la

sostituzione dell'assoluto teologico

e

dell'assoluto delle filosofie umanistiche con I'io,

il

proprio io, dell'<< uomo selvaggio »>,

ne sarebbero potuti derivare nella lingua, in cui quella parola indicava allora un atteggia-mento egoistico e anarchico; Ia stessa riserva rimatrà ancora in Maurice Blondel. Fz

Re-xol.oier, infatti, a lar la lortuxa del persottalisruo e a riuscire a dissociare il oocabolo da

tiltte le coflttotazioxi peggioratiue (Le persornalisne, L90)). Qualche anno più tardi, §7.

Stetn comincia a esporre in Germania un " personalismo critico " di orientamento pantei-stico (Person und Sacbe, 1906) mentre l'ameticano B. P. Bowne pubblica a sua volta un Personalismo (1908) più vicino al teismo tradizionale.

Verso il 1930 si è avuta una nuova spinta personalistica, di maggiore ampiezzr che nel

se-colo xrx e che si distingue per due caratteri molto rilevanti. Da una parte, costituisce una

tivolta contro le minacce che la civiltà contemporanea fa pesare sull'individuo: meccanizza-zione mediante la tecnica, irreggimentazione nella collettività. Dall'altra, però, il personalismo non è più una monadologia, come era ancora in Renouviet: ma patte decisamente da una telazione della petsona con altre persone. Questi due tratti si ritrovano in Max Schelet e

in Nicola Berdiaev, o, negli Stati Uniti, in R. T. Flewelling. Si ritrovano soprattutto in Ftancia nell'opeta postuma di Labetthonniète e nel movimento EsWit f.ondato da Emma-nuel Mouniet.

Fautote d'una tivoluzione u personalistica e comunitaria ", Mounier lottava insieme contro l'egoismo liberale e il collettivismo dispotico. La comunicazione era per lui un fatto ptimi-tivo ma petdetebbe tutto il suo significato se non avesse come cortelativo una vocazione

intima, una libettà di scelta e di adesione, un'autocosruzione del carattete, un riferimento a una fonte uascendente che mette ogni essere umano al di sopta dei condizionamenti della natura e della società. La tensione e il superamento manifestano così un appello e .una grazia,

Appunto questa ispirazione mistica rendeva Mounier dillerente nella pratica, verso assoluti prematuti (suffragio universale o dittatura d'un gruppo, primato economico o emancipazione politica, ecc.). Accanto a lui Jean Lacroix considera il personalismo come " f intenzione stessa dell'umanità " e 1o studia nelle sue applicazioni giuridiche ed economiche come nelle sue im-plicazioni metafisiche. Ritiene che una mascendenza si sveli nell'immanenza della storia e propone ai marxisti e agli esistenzialisti - fratelli-nemici - di lasciarsi informate o riformare

da una dialettica personalistica. Solo questa è capace di rispondere allo slancio integrale del-l'uomo e di compiete nell'intersoggettività amante 7e realizzazioni incompiute della forza o della giustizia. Sarebbe facile scoprire lo stesso spirito nell'opeta di P. Landsberg, di P.

Ricoeur o di D. de Rougemont.

Meno preoccupati di ptoblemi sociali, o apportandovi altre preferenze, i pensatori che L.

Lavelle e R. Le Senne hanno raggruppato intotno a17a Philosophie de l'Esprit, rinunciano

in generale a una determinata etichetta. Ma non sono lontani dalle opzioni metafisiche di Mounier, che molto doveva a Gabtiel Matcel e soprattutto a J. Maritain. Si può dire infine che vi è attualmente una specie di personalismo di.Éuso nella maggior patte dei maestti del metodo riflessivo, si tratti di G. Madinier o di G. Berger, di G. Bastide, di J. Nabert o di Lachièze-Rey e di A. Fotest, per citare solo qualche nome.

La testimonianza che si leggerà qui sotto Don cottisponde dunque a un atteggiamento

iso-lato. Impegna tuttavia soltanto il suo autore. Fondato innanzitutto sull'esame della " reci procità delle coscienze " presuppone che ogni persona sia una prospettiva univetsale. Ma queste nozioni, più che un'evidenza, sono un enigma da deciftate o un programma da in-ventare. Niente di più dificile del'tisalire dal me aTfio e dall'io al /e, secondo tutte le divetsità di specie, di grado e di ampiezza che tali tetmini comportano; il legaoe che li

unisce è tuttavia inevitàbile di fatto è di diritto; sotto certi aspetti ofite anche f idea pti-mitiva che sola può sostenere tutto l'edifcio del personalismo». (lbidem, pp.2$-206).

2 t"r. sTrnNrn, L'anico e la saa propileù, Bologna 1982,

5l

senza radici, incurante

di

ogni realtà esterna, dell'<< uomo-leone >>, dominatore del suo spazio conquistato con

la

forza, dell'<< uomo-topo », che rosicchia e distrugge quanto si frappone come ostacolo lungo

la

strada. <<

Il divino è

cosa

di Dio,

l'umano

è

cosa del-l'uomo.

La

mia causa non

è

né divina né umana, né

il

vero,

il

giusto, né la libertà, ma solo ciò che è mio

[...]

Nessuna cosa mi sta

più

a cuote

di

me stesso »>'.

Passa quindi alla dichiarazione della morte

dell'intersoggettua-lità ridotta da lui a

mero rapporto oggettuale. <<

Nei miei

con-fronti tu

sei solo ciò che sei per me, cioè

il

mio oggetto.

E

perché sei

il mio

oggetto, sei perciò

mia

proprietà >> a. Ancora

più

cru-damente dichiara

in

prosieguo, parlando dell'alterità

ridotta a

og-gettualità: <<

Tu

per me non sei

altro

che

il mio

cibo, così come anch'io vengo divorato e ttilizzato da te. Noi, l'uno con

l'alffo,

ab-biamo solo una relazione, quella dell'utilità e dello sfruttamento >> 5.

Il

personalismo, per Maritain,

è un

fenomeno reattivo

e

mi-sto:

<<

Nulla

sarebbe

più

falso che parlare

di

personalismo come

di

una scuola

o di

una dottrina.

È un

fenomeno

di

reazione

con-tro

due opposti errori (totalitarismo e individualismo).

È

un feno-meno inevitabilmente misto.

Non

c'è una dottrina personalistica, ma

ci

sono aspirazioni personalistiche e una buona dozzina

di

dot-ffine

personalistiche, che non hanno talvolta

in

comune se non la parola persona,

e

delle

quali

alcune tendono

pir) o

meno verso

Nel documento DON BOSCO (pagine 49-52)