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sperati. Nel Settecento, la superficie totale della fattoria arrivava a novecento ettari, di cui seicento settanta erano paludosi.

Il padule si estendeva in una vasta area limitata a nord dal lago di Massaciuccoli, ad est dal canale della Magna e dunque dalla tenuta Salviati, e si dirigeva ad est assumendo una forma triangolare terminando alla base delle colline di Avane. Il territorio, suddiviso in Padule Grande, Padule delle Prese e Padule del Bellino, era costituito per lo più da erbe palustri e percorso da canali navigabili da piccole imbarcazioni e fossi. Non era presente nessun tipo di costruzione, e le strade che si addentravano all’interno erano percorribili solo d’e- state. Questo ambiente si estendeva per circa tre chilometri dal lago, percorsi i quali iniziavano i terreni appoderati destinati alla coltivazio- ne di saggina e alla pastura del bestiame. Nel Settecento il nume- ro di costruzioni all’interno del padule rimase sempre limitato. Nella cartografia storica si individuano una serie di cascine destinate alla lavorazione del riso e successivamente all’essiccazione del granturco, realizzate fra la Traversagna e il padule, mentre nelle zone collinari tali strutture venivano utilizzate per la produzione di olio. In pianura la coltura principale era quella cerealicola, ma si produceva anche lino e si allevavano anche un discreto numero di animali destinati alle lavo- razioni e al consumo alimentare. Sotto la reggenza di Pietro Leopoldo fu avanzato un progetto per il prosciugamento del lago di Bientina e del padule di Massaciuccoli utilizzando un nuovo canale che da Bientina avrebbe sfociato in mare. Anche se tale intervento avrebbe comportato un aumento nelle produzioni agricole, non convinse total- mente il granduca, tantomeno i contadini, e non si procedette mai alla sua fase realizzativa. Nel 1748, durante il periodo delle allivellazioni, la fattoria fu venduta in blocco ai duchi Salviati. Questi si fecero ca- rico di svariati interventi di bonifica, prosciugando nel 1863 il lago di Bientina; tuttavia lo stato dei luoghi rimase per lo più inalterato fino agli anni trenta del Novecento, quando venne costituito il Consorzio di bonifica ed inizio la bonifica meccanica integrale. In totale vennero riconvertiti 550 ettari nel sotto bacino di Massaciuccoli e 1100 ettari in quello di Vecchiano. Un tentativo di popolamento di queste aree fallì negli anni ’40, visto il costo elevato delle opere di fondazione degli edi- fici.. Attualmente, delle zone paludose rimane solamente una piccola striscia intorno al lago, che racchiude il laghetto della Gusciona; poco distante dal quale nel punto più basso, si trova l’impianto idrovoro principale.

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Pianta delle quattro Tenute di Migliarino, di San Rossore, di Tombolo e Arnovecchio, di Coltano e Castagnolo, XVIII, 57x127, Archivio Storico di Firenze. R. Possessioni 524

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Come le altre, anche questa tenuta venne istituita a cavallo fra ‘400 e ‘500 con l’acquisto da parte della famiglia dei Medici di terre- ni dalla Mensa Arcivescovile e mediante requisizioni e soprusi. Il nome ha origine dalla deformazione lessicale di Lussorio, un martire cristia- no ucciso in Sardegna sotto Diocleziano, i cui resti furono trasportati in una chiesa che sorgeva presso l’attuale località di Cascine Nuove. Dalla cartografia dell’epoca si evince l’esistenza di un vialone che dal centro di Pisa giungeva, superato la fossa Cuccia, ad alcune cascine dove probabilmente oggi sorgono le Cascine Vecchie, e da qui si giun- geva fino al mare. Nei pressi dell’Arno sorgeva una fornace utilizzata per la realizzazione delle nuove costruzioni, mentre a nord del fiume Morto si nota la presenza della torre Riccardi, a quel tempo vicina al mare, e del cascinale di Palazzetto, a est del bosco omonimo. La tenuta veniva principalmente sfruttata per le sue selve e per il pascolo: agli inizi del ‘600 si contavano 1100 capi bovini e alcune decine di cavalli bradi, mentre nel 1622 Ferdinando II introdusse i dromedari, utilizzati come animali da soma nelle zone sabbiose. I primi interventi sul territorio riguardarono la sistemazione dei corsi dei fiumi che at- traversavano la tenuta. Fu eseguito in Arno il «Taglio Ferdinando», con il quale venne spostata la foce dell’Arno più a nord per timore dell’insabbiamento del porto di Livorno. Nel 1568 il fiume Morto fu deviato nel Serchio per evitarne l’insabbiamento, ma dopo l’apertura del canale di Ripafratta, nel ‘600 fu riaperto lo sbocco in mare. Pietro Leopoldo mise in opera una riorganizzazione generale della tenuta. Nel 1759 furono impiantati querce, querciole ed olmi nelle zone più basse ed umide, e lecci e pini domestici sulle dune. La realizzazione di alcune colmate permise di aumentare le aree destinate al pascolo, e particolare attenzione venne posta nella creazione di una struttura viaria all’interno della tenuta. L’accesso principale avveniva, come ac- cade oggi, da viale delle Cascine, mediante il quale si giungeva alle Cascine Vecchie. Un accesso secondario era posto nei pressi delle Ca- scine Nuove, che si raggiungevano percorrendo la via di Barbaricina. All’interno vennero realizzati due viali paralleli al mare distanti fra di loro circa tre chilometri e collegati da un percorso che percorreva la te- nuta trasversalmente. A questa spina dorsale si aggiungevano poi una fitta rete di viottoli che conducevano alle cascine e ai luoghi di lavoro. Da Cascine Vecchie, sede amministrativa, si poteva giungere alle Ca- scine Nuove dirigendosi verso sud, dove vi erano vari alloggi, centri per la produzione casearia e stalle. In direzione nord, invece, si arrivava sulle sponde del Serchio nella zona del Marmo, dove un piccolo porto

La Tenuta di San Rossore