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Dalle citta' al mare passando per le campagne e per i boschi: una greenway a servizio del Parco Regionale di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli

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Dalle Città al Mare passando per le Campagne e per i Boschi:

una greenway a servizio del Parco Regionale di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli

Tesi di Laurea Magistrale a Ciclo Unico in Ingegneria Edile - Architettura

Scuola di Ingegneria

Università di Pisa

a.a. 2015-2016

Candidato

Giovanni Bruschi

Arch. Lusia Santini

Relatori

Ing. Massimo Fiorido

Dr. Agr. Fabrizio Cinelli

Arch. Andrea Porchera

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UNIVERSITÀ DI PISA SCUOLA DI INGEGNERIA

DESTeC

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Edile - Architettura a.a. 2015-2016

Dalle Città al Mare passando per le Campagne e per i Boschi:

una Greenway a servizio del Parco Regionale di

Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli

Candidato

Giovanni Bruschi

Arch. Lusia Santini

Relatori

Ing. Massimo Fiorido

Dr. Agr. Fabrizio Cinelli

Arch. Andrea Porchera

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La Storia può risultare noiosa, più o meno puntualmente si ripete e ripropone sotto diversa forma e per cause diverse esperienze già vissute, problematiche già affrontate e stati d’animo propri delle generazioni antecedenti. Orrori ed errori, gusti nelle forme e nei colori, modi di pensare e di agire; tutto sembra un sali e scendi, una volta toccato un estremo ci si direziona verso l’estremo opposto. E così oggi stiamo ancora discutendo sulla necessità di costruire muri per impedire il libero passaggio di persone, dopo che appena ventisette anni fa la caduta di un muro ha significato la libertà per molti, libertà in tutte le sue forme. Spesso e facilmente oggi viene invocata la parola guerra, già immemori di cosa i nostri nonni hanno vissuto e ci hanno raccon-tato, e non intenzionati a trarne insegnamenti. Così oggi, per esempio, c’è la ricerca del mangiare sano, biologico, la volontà di mangiare frutta e verdura di stagione come facevano i nostri avi quotidiana-mente, e che l’avvento della chimica ha prepotentemente interrotto. Stiamo ripensando al modo in cui ci spostiamo: in molte città sono stati riposizionati i binari per consentire il passaggio di tram e molta attenzione si sta ponendo nel rendere sicuro il muoversi in bicicletta, abitudini queste cadute in disuso con l’espandersi dell’utilizzo delle au-tovetture che ha caratterizzato gli ultimi decenni.

Non so se è un sentimento comune a tutte le generazioni, ma penso che le azioni che compiamo oggi (in molti ambiti) andrebbe-ro reindirizzate, corrette, ripensate considerando ciò che le esperienze passate hanno già dimostrato essere efficace.

Nell’elaborare questo progetto di tesi mi sono sforzato nell’im-maginare un contesto sociale in cui si sia disposti a mettere in gioco le proprie quotidianità (in questo caso relative ai nostri spostamenti) per avere un ruolo da protagonisti; per lasciare il mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato.

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Introduzione 8

La mobilità sostenibile

10

Mobilità dolce e greenway

Rever Med

EuroVélo

Greenway in Italia

Co.Mo.Do

La strategia

Il Panorama delle Aree Naturali

20

Le aree naturali protette in Italia

La rete Natura 2000

Il Diploma Europeo delle Aree Protette

I Parchi e le Aree Protette in Toscana

Introduzione all’area di studio: il Parco Regionale di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli

25

Inquadramento

Cenni Storici

La macchia lucchese, il padule di Massaciuccoli e la tenuta Borbone

La Tenuta Salviati di Migliarino

La fattoria di Vecchiano e il Padule Meridionale di Massaciuccoli

La Tenuta di San Rossore

La Tenuta di Tombolo e Arnovecchio

La fattoria di Coltano e Castagnolo

Aspetti normativi

42

Il Piano del Parco e i Piani di Gestione

La Legge quadro sulle Aree Protette

Il Codice dei Beni Naturali e del Paesaggio

Il vincolo Idrogeologico

Le Autorità di Bacino

Le carte tematiche di analisi

52

La carta delle Accessibilità

La carta dell’elemento Acqua

La carta dell’Uso del Suolo

(7)

I Beni Architettonici

Il Riultato delle Analisi

Il Punto di Partenza

83

Quale direzione

91

La progettazione della greenway

96

La Ciclopista Tirrenica

I Percorsi a nord del fiume Serchio

Le Tenute di Tombolo e Coltano

I Tematismi di Visita

Gli Interventi

Un Panorama Intermodale

Una sponda unica per il fiume Serchio

119

Lo stato attuale dei luoghi

La Progettazione

Rassegna Stampa

130

Gli Elaborati Grafici

144

(8)

8

(9)

Lo studio che segue si è interessato territorio occupato dal Parco Regionale di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli, soffermandosi in particolar modo sugli aspetti legati alla mobilità personale. Oltre alle grandi infrastrutture che collegano il territorio con le realtà più lontane, lo studio ha voluto relazionare fra di loro le molteplici e varie-gate ricchezze del Parco, utilizzando lo strumento che meglio si addice a questa realtà: la bicicletta. Il passaggio della Ciclopista Tirrenica sulla è stato il primo obiettivo da perseguire, per rispondere ad un progetto sovraregionale che interessa anche la costa toscana, e con esso abbiamo colto l’occasione per delineare una fitta rete di percorsi ciclopedonali, un nuovo strumento di tutela e di interazione con il ter-ritorio ed un nuovo input per la mobilità locale.

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10

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11

Prima di iniziare a parlare nel dettaglio del caso di studio del Parco Regionale Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli, è opportuno interessarsi sul significato e sugli aspetti che caratterizzano la mobilità definita come dolce, o lenta, e le greenway. Tali nozioni sono neces-sarie non solo per contestualizzare il progetto in un panorama più ampio, ma soprattutto per avere gli strumenti adatti per fornire una corretta risposta progettuale.

Per mobilità dolce o lenta si intende quella modalità di sposta-mento delle persone che avviene a velocità ridotta e utilizzando mezzi di trasporto non motorizzati. L’andare a piedi, l’usare la bicicletta, i pattini, andare a cavallo e così via sono tutte attività protagoniste della mobilità dolce, sia in ambiente urbano che agreste o montano. La rete di mobilità dolce è dunque quell’insieme di infrastrutture che consentono all’utenza di muoversi in sicurezza utilizzando la modalità di trasporto preferita: piste ciclabili, vie equestri, marciapiedi, sentieri. I benefici della presenza di una rete efficiente di questo tipo riguar-dano sia l’utente, che diminuirà i costi di spostamento, svolgerà atti-vità fisica, sia l’ambiente, che vedrà ridotte le immissioni inquinanti. Importante è anche la differenza di esperienza che caratterizza un utente che si sposta con un mezzo veloce rispetto a quello che compie lo stesso percorso a velocità ridotta. Quest’ultimo ha la possibilità di osservare con più calma il contesto in cui si muove, andando a risco-prire prospettive, paesaggi e scorci visivi che ad “alte velocità” vengono completamente ignorati.

Diverso è invece il concetto di greenway, che indubbiamente rappresenta una modalità in cui si realizza la rete di mobilità dolce, ma presenta delle caratteristiche che vanno oltre al semplice scopo di collegamento. Non esiste una definizione ufficiale ed unica di cosa una greenway rappresenti, perché questa raccoglie in sé tanti aspetti allo stesso momento. Per iniziare a capire di cosa stiamo parlando, possiamo allora analizzare la parola stessa, composta da:

• il termine green (verde), indica non solo ciò che è ve-getato, ma tutto ciò che è apprezzabile dal punto di vista ambientale e quindi naturalistico, paesaggistico, storico, ar-chitettonico e culturale; 


• il termine way (percorso), indica la possibilità di

movi-Mobilità dolce e greenway

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mento e di attività, comprendendo nell’utilizzo persone e ani-mali1.

Charles Little2 definisce le greenway come “un sistema di territori

line-ari tra loro connessi che sono protetti, gestiti e sviluppati in modo da ottenere benefici di tipo ricreativo, ecologico e storico-culturale”. Da questa definizione è possibile ricavare quali siano gli aspetti principali che caratterizzano questo sistema: la linearità, la continuità, l’essere un sistema di percorsi di collegamento fra aree di un certo interesse ambientale/storico e di queste con le aree urbanizzate, e la tutela del paesaggio. Una rete di greenway si differenzia da una rete di mobilità dolce per la multifunzionalità degli obiettivi che si pone, assumendo molteplici valenze3:

• valenza ecologica: quando contengono elementi natu-rali come boschi, macchie di arbusti, prati, rive, litonatu-rali e zone d’acqua, possono rappresentare uno “strumento” di tutela ambientale;

• valenza turistico-ricreativa: quando la rete dei percor-si collega aree dove percor-si svolgono attività ricreative, quando attraversano luoghi caratterizzati da un alto pregio estetico tale che la semplice attività di percorrenza sia piacevole da svolgere nel tempo libero;

• valenza di trasporto per una “mobilità lenta”: i percorsi che attraversano o lambiscono le aree urbane collegano fra loro le abitazioni, i luoghi di lavoro, le scuole, i parchi, le aree commerciali, i servizi sociali dando la possibilità ai cittadini di raggiungere questi luoghi con mezzi alternativi a quelli a motore;

• valenza educativa: proponendo degli itinerari che attra-versano il territorio e ne collegano le risorse naturali, storiche e culturali;

Il contesto culturale che sta alla base di questi concetti è nato in seguito alle ricerche e delle esperienze di pianificazione ecologica che sono state condotte, a partire da Olmsted4, negli Stati Uniti durante il

1 Fumagalli N, Toccolini A, Senes G, Progettare i percorsi verdi: manuale

per la realizzazione di greenways, Maggioli Editore, Rimini, 2004, pag. 11.

2 Autore di Greenways for America, 1990.

3 Ferrovie, territorio e sistema di greenways, Isfort, Roma, 2004.

4 Frederick Law Olmsted (Hartford, 26 aprile 1822 – Belmont, 28 agosto 1903)

è stato un architetto del paesaggio e urbanista statunitense. Fu uno dei primi architetti paesaggisti della storia, interessato allo studio scientifico e tecnico dei problemi

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ambien-13

XX secolo ed in particolare negli anni sessanta da parte Philip Lewis5,

che svolgendo uno studio sul paesaggio del Wisconsin allo scopo di tutelare e orientare all’utilizzo ricreativo il territorio rurale, sperimentò un efficace metodologia di progettazione. Dopo aver censito attenta-mente tutte le risorse naturali e culturali presenti sul territorio, realizzò delle carte tematiche individuando tramite la sovrapposizione delle stesse i luoghi di passaggio di quelli che chiamava enviromental corri-dors che collegavano tutti gli elementi di pregio6.

Il punto di partenza del progetto di una greenway sono dunque le risorse presenti nel territorio, che potranno sicuramente beneficiare dalla presenza di questo tipo di percorso (in termini di manutenzione per esempio) ma che allo stesso tempo caratterizzano fortemente e rendono unica l’esperienza di percorrenza di questi corridoi verdi. Pos-siamo differenziare tre diverse tipologie di risorse:

• risorse note ma non valorizzate dalle comunità locali (maggior parte de casi);

• le risorse sono individuate e segnalate dal passaggio di un itinerario;

• le risorse sono organizzate e strutturate secondo un per-corso che diventa chiave di lettura del territorio (rari casi)7.

Il progettista dovrà dunque “limitarsi” a relazionare fra di loro e con il contesto urbano le risorse che il territorio può offrire, siano queste di tipo ambientale e naturalistico, ma anche di tipo folkloristico, che riguarda cioè le tradizioni, i costumi e altre capacità della società e dell’individuo che costituiscono un patrimonio immateriale alla base della nostra cultura. In questo modo la greenway stessa diventa una risorsa per il territorio.

La Dichiarazione di Lille (2000), sottoscritta dalle principali associazioni europee che operano sulla tematica, precisa che le

gre-tali; fonda nel 1857 uno studio con C. Vaux con cui collabora fino al 1872, realizzando il progetto per il Central Park di New York (1857). Svolge inoltre attività di sostegno per la formazione di parchi nazionali e per la tutela dell’ambiente, ed è responsabile della con-servazione dell’area delle cascate del Niagara (1869-83).

5 Philip H. Lewis Jr. (1925) è un emerito professore di architettura del paesaggio

che ha introdotto il concetto dei corridoi ambientali. Ha insegnato per più di quarant’anni all’Università dell’Illinois e all’Università di Winsconsin-Madison.

6 Valentini A, “Mettere in rete le risorse: le greenway quali strumento per il

proget-to del paesaggio periurbano”, in Quaderni della Ri-Vista, Ricerche per la progettazione del paesaggio, anno 2, Vol. 2, N°2, maggio-agosto 2005, Firenze University Press, pag 19.

7 a cura di Busi R, Pezzagno M, Mobilità dolce e turismo sostenibile, un

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14

enway “devono avere caratteristiche di larghezza, pendenza e

pavi-mentazione tali da garantirne un utilizzo promiscuo in condizioni di sicurezza da parte di tutte le tipologie di utenti in qualunque condi-zione fisica. Al riguardo, il riutilizzo delle alzaie dei canali e delle linee ferroviarie abbandonate costituisce lo strumento privilegiato per lo sviluppo delle greenway”. Quest’ultimo è un aspetto molto

interessan-te che si lega al concetto di linearità che caratinteressan-terizza questi percorsi. L’utilizzo di infrastrutture cadute in disuso (strade, ferrovie, acquedotti) e di alzaie dei fiumi consente, oltre a limitare i costi di realizzazione, di non antropizzare ulteriormente il territorio, andando a sfruttare sedimi e percorsi già presenti. Questi si prestano molto bene a essere sfruttati come percorsi per la mobilità non motorizzata, in quanto presentano il più delle volte un tracciato continuo e lineare, geometrie con curve ad ampio raggio, punto iniziale e finale ben definiti, pendenze modeste e regolari, un unico proprietario del sedime e sono separati dalla via-bilità ordinaria. Le greenway infatti sono aperte ad utenze con diver-se abilità (bambini, anziani, diversamente abili) e di diversa tipologia (pedoni, ciclisti), ed è dunque necessario che il percorso sia facilmente accessibile ed utilizzabile.

La progettazione della “Rete Verde Europea”, che ha riguar-dato l’area metropolitana dell’Europa nord-occidentale, è stata se-guita dalla volontà di realizzare una rete analoga nel Mediterraneo occidentale, promuovendo il progetto “Rever Med”, varato nel 2002. Questa rete interesserà il Portogallo, la Spagna, la Francia e l’Italia, arrivando a toccare i 10.000 chilometri. I percorsi, in linea con le ca-ratteristiche sopra esposte, si snoderanno principalmente lungo le fa-sce costiere, ma con importanti incursioni nell’entroterra fornendo non solo un’infrastruttura turistica ma anche destinata all’utilizzo in ambito locale.

1.2

Rever Med

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15

Il progetto di una rete europea era già stato, in realtà, iniziativa dell’ECF8, il quale, sin dal 1997, aveva proposto l’Euro Vélo, mappa

generale degli itinerari cicloturistici europei transfrontalieri, composta originariamente da 12 itinerari (allo stato attuale se ne contano 14), con lo scopo di costituire un riferimento ideale generale per le reti na-zionali, regionali e locali. Secondo questo schema, l’Italia risulta inte-ressata da tre itinerari (due prevedono un collegamento nord-sud e uno un collegamento est-ovest):

• EV5, Via Romea Francigena (direttrice nord-sud): da Londra a Roma e Brindisi, 3.900 chilometri;

• EV7, Itinerario Centrale dell’Europa (direttrice nord-sud): da Capo Nord a Malta, 6.000 chilometri;

• EV8, Percorso Mediterraneo (direttrice est-ovest): da Ca-dice ad Atene, 5.388 chilometri.

8 European Cyclists’ Association, www.eurovelo.org

Rete di ciclopiste proposte per l’EuroVélo

EuroVélo

1.3

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16

La FIAB9 ha recepito le indicazioni in tal senso e ha collaborato al

pro-getto tramite la realizzazione della rete BicItalia, rete di dimensione sovraregionale che si propone come base di lavoro per la realizzazio-ne di una rete nazionale di percorribilità ciclistica.

L’Associazione Italiana Greenways è nata nel luglio del 1998 negli ambienti della facoltà di Agraria di Milano, in seguito ad un seminario a cui era stato invitato il prof. Julius Fabos dell’Università del Massachusetts, capofila del movimento internazionale delle gre-enway. Dal sito dell’associazione10 capiamo quali sono le attività e i

progetti della stessa: L’Associazione Italiana Greenways Onlus perse-gue i propri scopi attraverso lo svolgimento di studi e ricerche scienti-fiche e tecniche sulla tematica delle greenways, l’elaborazione di pro-getti di percorsi verdi, l’organizzazione di convegni e seminari con la partecipazione di autori che da molti anni operano nel settore a livello internazionale e, infine, attraverso la pubblicazione di manuali tecnici e guide, dei risultati delle attività di ricerca svolte dall’Associazione stes-sa e degli atti dei convegni.

9 Federazione Italiana Amici Bicicletta, (www.fiab-onlus.it) è un’organizzazione

ambientalista che ha come finalità la diffusione della bicicletta quale mezzo di trasporto ecologico, in un quadro di unificazione dell’ambiente urbano ed extraurbano. Tra le inizia-tive portate avanti da tale associazione si ricordano la realizzazione di una Rete Ciclabile Nazionale (BicItalia) e la promozione di strutture turistiche amiche dei ciclisti (AlbergaBici). La FIAB aderisce all’ECF e dal 2011 è diventata ufficialmente Centro nazionale di coor-dinamento per lo sviluppo della rete ciclabile europea EuroVélo.

10 http://www.greenways.it

Logo della FIAB e dell’Associazione Europea delle Greenways

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17

Il sito internet delle greenway europee11 invece ci fornisce dati sui

per-corsi presenti in Italia: Il Parco costiero del ponente ligure e il Sentiero della Bonifica in Toscana. Il primo è lungo 24 chilometri e collega Ospedaletti a San Lorenzo al mare, in Liguria; il secondo va da Arez-zo a Chiusi per una lunghezza totale di 62 chilometri.

11 www.greenwayseurope.org

(18)

18

Co.Mo.Do. (Confederazione Mobilità Dolce) è una confedera-zione di Associazioni che si occupano di mobilità alternativa, tempo libero e attività outdoor. È nata nel 2002. Agisce come “tavolo allar-gato di discussione e proposta sui temi della mobilità dolce, dell’uso del tempo libero, del turismo e dell’attività all’aria aperta con mezzi e forme ecocompatibili”. Obiettivi di CoMoDo sono la promozione, attraverso forme e modi da definire, di una rete nazionale di mobilità dolce che abbia come requisiti fondamentali:

• il recupero delle infrastrutture territoriali dismesse (ferro-vie, strade arginali, percorsi storici ed altre);

• la compatibilità e l’integrazione fra diversi utenti; • la separazione o la protezione dalla rete stradale ordi-naria;

• l’integrazione con il sistema dei trasporti pubblici locali e con la rete dell’ospitalità diffusa12.

Il cartello di associazioni ed enti che ha dato vita a CoMoDo è formato da: FIAB, Associazione Ferrovie Turistiche, Associazione Italiana Città Ciclabili, Associazione Italiana Greenway, Associazione Utenti del Trasporto Pubblico, C.A.I., Cescam Facoltà di Ingegneria di Brescia, Federazione del Turismo Equestre, Federparchi, Inventario Vie di Comunicazione Storiche, Legambiente, WWF. La Confede-razione ha effettivamente funzionato come tavolo di concertazione della rete dove far convergere le proposte più interessanti e avanzare una piattaforma di interventi di livello nazionale.

Alla base di una corretta progettazione di una greenway c’è ovviamente un approfondito studio mirato a prendere dimestichezza con il territorio, a conoscerlo, a viverlo per cercare di comprenderne le criticità e le risorse che esso può offrire. Ancora prima di agire sul campo esplorando l’area di studio, è stato necessario svolgere una serie di ricerche “a distanza”, utilizzando i numerosi strumenti di con-divisione dati che la rete offre. Dapprima è stato studiato il territorio nel suo complesso, inquadrandolo nel contesto in cui si inserisce per

12 http://www.fiab-onlus.it/comodo

Logo di Co.Mo.Do.

La strategia

1.6

(19)

19

poi svolgere un’analisi storica mirata a comprendere l’evoluzione a cui quest’area è stata soggetta e a conoscere gli aspetti ancora caratteriz-zanti il paesaggio. Successivamente lo studio ha riguardato gli aspetti normativi e vincolistici, evidenziando le prescrizioni insistenti sull’area alle quali si terrà conto durante la fase progettuale. Per finire, sono state realizzate delle carte tematiche che evidenziassero gli aspetti in-frastrutturali, naturalistici, ambientali, storici e architettonici che guide-ranno il progettista nel disegnare il tracciato che valorizzerà tutti questi elementi.

(20)

20

Il Panorama delle Aree Naturali

2.0

(21)

21

La legge 394/91 definisce la classificazione delle aree natura-li protette e istituisce l’Elenco ufficiale delle aree protette13 nel quale

vengono iscritte tutte le aree che rispondono ai criteri stabiliti dal Co-mitato nazionale per le aree protette. L’aggiornamento di tale elenco è a cura di questo Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare. Attualmente è in vigore il 6° aggiornamento, approvato con Delibera della Conferenza Stato-Regioni del 17 dicembre 2009 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del 31 maggio 2010 che classifica le aree protette come segue.

Parchi Nazionali (24)

I Parchi nazionali sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o più ecosistemi intatti o anche par-zialmente alterati da interventi antropici, una o più formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche, di rilievo internazionale o nazionale per valori naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi tali da richiedere l’intervento dello Stato ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future.

Le aree marine protette (27)

Le aree marine protette sono istituite ai sensi delle leggi n. 979 del 1982 e n. 394 del 1991 con un Decreto del Ministro dell’ambiente che contiene la denominazione e la delimitazione dell’area, gli obiet-tivi e la disciplina di tutela a cui è finalizzata la protezione. Sono co-stituite da ambienti marini, dati dalle acque, dai fondali e dai tratti di costa prospicienti, che presentano un rilevante interesse per le caratte-ristiche naturali, geomorfologiche, fisiche, biochimiche con particolare riguardo alla flora e alla fauna marine e costiere e per l’importanza scientifica, ecologica, culturale, educativa ed economica che rivesto-no.

Riserve naturali statali e regionali (147+365)

Le Riserve naturali sono regionali costituite da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono una o più specie naturali-sticamente rilevanti della flora e della fauna, ovvero presentino uno o più ecosistemi importanti per la diversità biologica o per la

conserva-13 Informazioni consultabili su:

http://www.minambiente.it/pagina/classificazio-ne-delle-aree-naturali-protette

Localizzazione delle aree marine protette italiane Localizzazione dei Parchi Nazionali e Regionali italiani

Le aree naturali protette in Italia

2.1

(22)

22

zione delle risorse genetiche. Le riserve naturali possono essere statali o regionali in base alla rilevanza degli elementi naturalistici in esse rappresentati.

Altre aree naturali protette nazionali e regionali (3+171)

Altre aree naturali protette sono aree (oasi delle associazioni ambientaliste, parchi suburbani, ecc.) che non rientrano nelle prece-denti classi. Si dividono in aree di gestione pubblica, istituite cioè con leggi regionali o provvedimenti equivalenti, e aree a gestione privata, istituite con provvedimenti formali pubblici o con atti contrattuali quali concessioni o forme equivalenti.

Parchi naturali regionali e interregionali (134+1)

I Parchi naturali regionali e interregionali sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali ed eventualmente da tratti di mare prospi-cienti la costa, di valore naturalistico e ambientale, che costituiscono, nell’ambito di una o più regioni limitrofe, un sistema omogeneo, indi-viduato dagli assetti naturalistici dei luoghi, dai valori paesaggistici e artistici e dalle tradizioni culturali delle popolazioni locali.

Zone umide di interesse internazionale14

Le Zone umide di interesse internazionale sono costituite da aree acquitrinose, paludi, torbiere oppure zone naturali o artificiali d’acqua, permanenti o transitorie comprese zone di acqua marina la cui profondità, quando c’è bassa marea, non superi i sei metri che, per le loro caratteristiche, possono essere considerate di importanza internazionale ai sensi della convenzione di Ramsar. La Convenzione di Ramsar è stata ratificata e resa esecutiva dall’Italia con il DPR 13 marzo 1976, n. 448 e con il successivo DPR 11 febbraio 1987, n. 184 che riporta la traduzione in italiano, non ufficiale, del testo della Conven-zione internazionale di Ramsar.

Aree di reperimento terrestri e marine

Le Aree di reperimento terrestri e marine indicate dalle leggi 394/91 e 979/82, che costituiscono aree la cui conservazione attra-verso l’istituzione di aree protette è considerata prioritaria.

(23)

23

Natura 200015 è il principale strumento della politica

dell’U-nione Europea per la conservazione della biodiversità. Si tratta di una rete ecologica diffusa su tutto il territorio dell’Unione e istituita ai sensi della Direttiva 92/43/CEE “Habitat”16 per garantire il mantenimento

a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario. È costituita dai Siti di Interesse Comunitario (SIC), identificati dagli Stati Membri e successivamen-te designati quali Zone Speciali di Conservazione (ZSC), o Zone di Protezione Speciale (ZPS), quest’ultime istituite ai sensi della Diret-tiva 2009/147/CE “Uccelli”17concernente la conservazione degli

uc-celli selvatici. In queste perimetrazioni l’attività umana non è esclusa, la “sfida” lanciata dalla direttiva è quella di proteggere gli ambienti naturali salvaguardando anche le esigenze economiche, sociali e cul-turali della popolazione. La Direttiva riconosce il valore di tutte quel-le aree nelquel-le quali la secolare presenza dell’uomo e delquel-le sue attività tradizionali ha permesso il mantenimento di un equilibrio tra attività antropiche e natura, e viene specificato l’obiettivo di conservare non solo gli habitat naturali ma anche quelli seminaturali (come le aree ad agricoltura tradizionale, i boschi utilizzati, i pascoli, ecc.).

In Italia, i SIC, le ZSC e le ZPS coprono complessivamente cir-ca il 19% del territorio terrestre nazionale e quasi il 4% di quello marino.

Il Diploma Europeo delle Aree Protette18 è un prestigioso

ri-conoscimento internazionale conferito sin dal 1965 ad aree natura-li, semi-naturali e paesaggi di particolare importanza europea dal punto di vista della conservazione della diversità biologica, geologica e paesaggistica. Esso viene assegnato dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ad Aree Protette in virtù delle loro notevoli qualità scientifiche, culturali o estetiche; questi siti devono, inoltre, essere og-getto di un adeguato regime di tutela eventualmente associabile con

15 http://ec.europa.eu/environment/nature/index_en.htm

16 Risorsa disponibile su: http://www.minambiente.it/pagina/direttiva-habitat

17 Risorsa disponibile su: http://www.minambiente.it/pagina/direttiva-uccelli

18

http://www.coe.int/it/web/bern-convention/european-diploma-for-protected-a-reas

Simbolo del Diploma Europeo per le aree protette Simbolo della rete Natura 2000

La rete Natura 2000

Il Diploma Europeo delle Aree Protette

2.2

(24)

24

un programma di sviluppo sostenibile. Al momento il Diploma è stato conferito a 71 aree distribuite in 26 paesi europei; in Italia ne sono stati consegnati sette.

Il sistema toscano dei parchi e delle aree protette, istituito con legge regionale 11 aprile 1995, n. 49, è attualmente disciplinato dalla legge regionale n.30 del 19 marzo 2015, Norme per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturalistico-ambientale regiona-le. Circa il 10% del territorio regionale è coperto da parchi ed aree protette, escludendo le aree a mare, si tratta di 230mila ettari. Oltre a tre Parchi Nazionali e trentacinque Riserve Naturali Statali (di cui ventotto non ricomprese nei Parchi) la regione ospita anche tre Parchi Regionali e tre Provinciali, quarantasei Riserve Naturali Provinciali e cinquantanove Aree Naturali Protette di Interesse Locale (ANPIL).

La legge regionale 11 aprile 1995, n. 49 fornisce all’articolo 2 le seguenti definizioni:

• I parchi sono sistemi territoriali che, per il loro particolare valore naturale, scientifico, storico-culturale e paesaggistico, necessitano di una gestione unitaria per consentire un’efficace conservazione, ripristino e miglioramento dell’ambiente natu-rale e la salvaguardia delle specie selvatiche. I parchi opera-no altresì per lo sviluppo delle attività ecoopera-nomiche ecocom-patibili e per la gestione delle risorse faunistiche e ambientali. • Le riserve naturali sono territori che, per la presenza di particolari specie di flora o di fauna, o di particolari ecosiste-mi naturalisticamente rilevanti, devono essere organizzati in modo da conservare l’ambiente nella sua integrità.

• Le aree naturali protette di interesse locale sono quelle inserite in ambiti territoriali intensamente antropizzati, che ne-cessitano di azioni di conservazione, restauro o ricostituzione delle originarie caratteristiche ambientali e che possono esse-re oggetto di progetti di sviluppo ecocompatibile.

Localizzazione delle aree protette in Toscana

(25)

25

3.0

Introduzione all’area di studio: il

Parco Regionale di Migliarino,

San Rossore, Massaciuccoli

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Il parco è stato istituito dalla Regione Toscana nel 1979 e rien-tra, insieme al Parco delle Alpi Apuane e il Parco della Maremma, nella categoria dei parchi regionali. Si estende a ridosso delle coste del mar ligure della Toscana, occupando tutta la fascia costiera a nord del Comune di Livorno fino al Comune di Viareggio. Otre a questo, altri quattro comuni possono vantare di estendersi dentro i confini del par-co: sempre della provimcia di Lucca è il comune di Massarosa, mentre i Comuni di Vecchiano, di San Giuliano Terme e di Pisa, nell’omonima provincia. I limiti del territorio del parco sono individuabili nella costa marittima ad ovest, nel canale Scolmatore a sud, nelle infrastrutture e dall’andamento di canali più o meno grandi ad est, mentre a nord la riserva assume una forma a forcella che include il padule di Massa-ciuccoli e la fascia boschiva lungo la costa, mentre mira ad escludere il centro abitato di Torre del Lago. Il lago di Massaciuccoli e il suo padule sono fra i pochi specchi d’acqua resistiti all’attività umana, che nel corso dei secoli ha bonificato vaste porzioni di territorio. Fitta è infatti la rete di canali a vario andamento realizzati per le opere di bonifica o per le attività agricola, mentre i tre corsi d’acqua più impor-tanti, il fiume Arno, Serchio e Morto, attraversano il territorio da est ad ovest, andando a sfociare in mare. La rete autostradale, la linea della ferrovia e la via Aurelia, tutte che attraversano il parco con un anda-mento pressoché nord-sud, costituiscono una ferita per il territorio, e un ostacolo per che rende difficoltosa le connessioni ovest-est. Nella parte meridionale sono anche presenti due basi militari che occupano una superficie estesa di aree boscate, ovviamente non accessibili. Pos-siamo definire il Parco un territorio fortemente antropizzato, lontano dall’immaginario comune di parco naturale inteso come un’area in-contaminata dall’attività umana e lontana dai centri urbani. Si pensi alle numerose opere di bonifica che hanno prosciugato gran parte del territorio nel corso dei secoli, alla pressione urbana esercitata da centri come quelli di Pisa, Livorno e Viareggio, ma anche l’attività turistica che nel periodo estivo anima le coste. Le grandi infrastrutture “garan-tiscono” poi un passaggio continuo di mezzi di locomozione, e attività cantieristiche come quelle svolte dai Porti di Viareggio, di Livorno e del Canale dei Navicelli si trovano, se non all’interno, a ridosso dell’area protetta.

Se da un lato si registra una forte permeabilità alle attività umane, dall’altro si riscontra la presenza di aree dove l’accesso delle persone è controllato e ristretto e altre dove è prioritaria la conserva-zione dell’ecosistema. La Tenuta di San Rossore è chiusa al pubblico e

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accessibile solo in parte in orari stabiliti e visitabile quasi per intero solo accompagnati da una guida ambientale, mentre le sedici Riserve Na-turali, che coprono il 10% del territorio, garantiscono la conservazione di particolari specie di flora e fauna

L’estensione del parco è di poco più di 23.000 ettari, di cui 14.200 classificati come area interna e 8.800 come area contigua19.

Prima che fosse istituito il Parco con la L.R. 61/1979, il territorio vede-va la presenza di Tenute e Fattorie quali enti organizzativi del territo-rio. Tale suddivisione interna è stata mantenuta ed è presente ancora oggi: andando da sud verso nord incontreremo la Tenuta di Tombolo, di Coltano, di San Rossore, di Migliarino, la fattoria di Vecchiano, la tenuta Borbone e quella di Massaciuccoli e Padule. La proprietà del Parco è per il 55% in mano privata (Migliarino e Coltano sono intera-mente private), la proprietà dell’Ente Parco è limitata a soli 270 ettari (nelle zone di Padule e lungo il lago di Massaciuccoli), mentre il resto è di proprietà pubblica della Regione.

Già dall’epoca romana il territorio del parco era caratterizza-to dalla presenza di macchie, di foreste e della regione deltizia dei fiumi Arno e Serchio. L’azione delle correnti marine (la linea costiera si trovava molto più ad est che attualmente), unita all’instabilità del corso dei fiumi, formava lunghi cordoni sabbiosi che furono a causa della formazione di impaludamenti e lagune. Per molti secoli, infatti, il territorio fu inospitale agli abitanti delle città vicine, e fu oggetto di numerosi interventi di bonifica che ne favorirono un certo livello di ur-banizzazione. Il passaggio della Repubblica Pisana sotto la domina-zione Fiorentina nel 1406, segnò l’inizio di un interessamento sempre maggiore di queste terre da parte di ricche famiglie disposte anche a impegnarsi economicamente per la riconversione del territorio.

L’influenza fiorentina provocò una forte depressione dell’econo-mia pisana ed una notevole migrazione di popolazione verso le colline.

19 Si tratta di aree istituite con la L.R. 42/91 che modifica la legge istitutiva del

parco. Tali aree, denominate dalla legge “aree esterne funzionalmente connesse” assu-mono con la L.R. 24/94 la denominazione di aree contigue. All’interno di tali aree, per essendo ammessa la caccia, valgono le stesse norme del territorio del parco.

Cenni Storici

3.2

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La fascia costiera, e quindi la relativa rete idrica, fu la prima ad essere abbandonata, con il conseguente incremento delle aree paludose già abbondanti. Da Firenze giunsero anche ricche famiglie che si appro-priarono dei territori pisani appartenuti a nobili della città e al patri-monio ecclesiastico. Questo fenomeno, che vide particolarmente atti-va la famiglia dei Medici, fu alla base della suddivisione che ancora oggi caratterizza il parco. Proprio fra il ‘400 e gli inizi del ‘500, infatti, risale l’istituzione della tenuta Salviati a Migliarino, delle tenute medi-cee di San Rossore, Coltano e Castagnolo, e le fattorie di Vecchiano, Casabianca e Collesalvetti. Tenute e fattorie erano alla base dell’orga-nizzazione delle proprietà granducali, quest’ultime suddivise appunto in autonome unità produttive. Le tenute comprendevano quelle por-zioni di territorio che potevano essere sfruttate senza eccessivi impieghi di capitale, senza cioè procedere ad ingenti lavori di bonifica, messa a coltura e divisione in poderi. Il podere è infatti assente nella struttura organizzativa della tenuta, dove è presente un’unica unità ammini-strata da un ministro alle cui dipendenza lavorava un certo numero di provvisionati fissi o temporanei. Le attività che si svolgevano nella tenuta erano dunque quelle di taglio della legna, di sfruttamento delle praterie per il pascolo, di caccia e di pesca. Le fattorie presentavano invece un’organizzazione totalmente opposta, basata sul podere a conduzione mezzadrile in cui il fattore esercitava il potere amministra-tivo. I poderi venivano concessi tramite contratti parziari a contadini residenti nei villaggi circostanti che inizialmente si occuparono della bonifica e della messa a coltura dei terreni. Nel 1568 nelle tre fattorie i poderi risultavano essere quindici, mentre nel 1740 raggiunsero quota trentasette. La produzione principale era quella cerealicola, che arrivò costituire il 30% di tutto il frumento prodotto nelle numerose fattorie granducali; in secondo piano vi era la produzione di legumi.

Il destino di queste proprietà sarà poi nelle mani del Grandu-ca Pietro Leopoldo, che dalla seconda metà del ‘700 prenderà la decisione di alienare parte del patrimonio. Fattorie come quella di Collesalvetti e di Casablanca verranno allivellate (divise in piccoli lotti separati e cedute a chi era disposto a coltivarli) o vendute, portando nel primo caso allo sviluppo del centro urbano di Collesalvetti e nel secondo alla totale scomparsa della fattoria. A Vecchiano, invece, la fattoria fu venduta ai duchi Salviati. Le tenute rimasero invece fra i possedimenti granducali, ma vennero convertite, almeno in parte, per svolgere attività di rappresentanza e di svago, portando all’istituzione di riserve di caccia. Dopo la prima guerra mondiale la tenuta di San

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Rossore passò in mano ai Savoia, e si ebbe la donazione di Coltano all’Opera dei combattenti (1919), con la successiva attività di bonifica e appoderamento, segnando così il passaggio da tenuta a fattoria.

Diversa era invece la situazione del territorio nella Repubblica Lucchese, in cui erano presenti due tipologie di strutture organizza-tive. Le «6 Miglia», presenti in pianura e nei pressi della città, erano suddivise in poderi per lo più di proprietà di nobili mercanti lucchesi, e venivano affittate a contadini per la coltivazione. Le «Vicarie», che comprendevano le zone collinari e quelle costiere si organizzavano per piccole proprietà di privati e per terreni collettivi utilizzati per lo sfrutta-mento comune di pascoli e castagneti. Tale struttura durerà nel tempo, e solo ai primi dell’800 la macchia viareggina vedrà la formazione della tenuta Borbone.

Il territorio era caratterizzato dalla presenza di querce, lecci e ontani che dalla costa si sviluppavano all’incirca fino alla fossa delle venti, per poi lasciare spazio alla padule, quest’ultima estesa fino alla base delle colline massarosesi. Dal 1488, istituita la Società della Ma-ona, vennero realizzati interventi sul territorio che portarono alla costi-tuzione di canali, necessari per limitare l’estensione del padule e per il trasporto di merci da Viareggio verso i porti lacustri de La Piaggetta e di Massaciuccoli. L’espansione di quest’ultimo centro subì una bat-tuta di arresto nel ‘600, a causa delle epidemie di peste e dall’incuria delle opere di bonifica che avevano permesso il passaggio dal borgo della via consolare romana. Testimonianza di questo passaggio sono ancora oggi i resti delle terme romane di Massaciuccoli. In generale, tutto il territorio dal mare al padule, sfruttato per la caccia e per la pesca, era scarsamente popolato. Nel Settecento ci fu un’inversione di tendenza sulla scia degli interventi voluti dal matematico Bernardino Zendrini, indirizzati a risolvere i problemi alla salute della popolazione. Vennero realizzate delle cateratte sul canale della Burlamacca (princi-pale scolo del lago), da utilizzare durante le mareggiate per impedire all’acqua salata di mescolarsi con quella dolce e venne disboscata una vasta porzione di macchia. Si riteneva infatti che i boschi non per-mettevano l’evaporazione di acque stagnanti considerate l’origine di

La macchia lucchese, il padule di Massaciuccoli e

la tenuta Borbone

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miasmi malefici; vennero dunque tagliate delle quercete ed in alcune zone reintegrate con pinete. Il territorio disboscato venne suddiviso in poderi, previa realizzazione di canali e strade, e dato in sorte a nobili lucchesi. All’inizio dell’800, durante il principato Baciocchi, vennero piantati altri pini per fronteggiare il ritiro del mare e proteggere le colture dai venti marini. Di visione opposta furono i Borboni quando, nel 1825, decisero di aprire nelle pinete le vie di Comparini, Lecciona e Guidicciona, in contrasto con il volere dei contadini. Già nel 1819 Maria Luisa di Borbone aveva annesso la selva allo Stato realizzando così la tenuta, ed incaricato l’architetto Nottolini della sistemazione della stessa. Nel 1822 viene dunque terminata Villa Borbone, quel-lo che rimane di un progetto monumentale non portato a termine a causa della prematura morte della Duchessa di Lucca e per lo scarso interesse dei suoi successori. Nel 1850 si procedette ad un ulteriore disboscamento delle pinete a monte del viale dei Tigli, necessario per

Pianta dimostrativa il territorio parte lucchese e parte pisano, contenuto tra Serchio mare, strada di Viareggio detta di Montramito, e Strada Longo Monte da Montramito fino al rio di confine detto di Castiglioncello (...) 1769, 112x44,5 Archivio Storico di Lucca

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sfruttare in modo produttivo i terreni circostanti. Dello stesso periodo è la costruzione, sul lago, di villa Orlando, villa Ginori e villa Puccini. Attualmente villa Borbone è di proprietà del comune, e ospita uffici e sale per convegni. Il nucleo principale vede inoltre la presenza di una chiesa, una limonaia, le stalle, la casa del fattore, il granaio e la cantina vinicola. Il resto della tenuta è mantenuta a coltivazione per cento ettari, occupata da campeggi è costituita da terreni incolti. A monte della villa, il territorio è stato occupato dall’espansione urbana dei centri vicini, ed in parte è utilizzato per attività agricole o vivaisti-che; in ogni caso è sempre riscontrabile un forte frazionamento delle proprietà dovuto alle vicende storiche. Il rapporto che legava queste terre alle zone paludose, è stato ridimensionato dalla costruzione della rete autostradale e dal nuovo tratto della via Aurelia, che separano nettamente i due diversi ambienti.

Costituita nel ‘500, la tenuta inizialmente si estendeva dal fiu-me Serchio fino alla fossa Montione, e successivafiu-mente si espanse fino a raggiungere a nord il confine con lo stato lucchese. L’espansione continuò fino alla metà del settecento nonostante la famiglia Salviati non era ben vista dalla popolazione locale, che si vide limitare notevol-mente i diritti di pascolo, caccia e pesca in un territorio fino ad allora di uso collettivo. La tenuta, nel settecento, era dunque limitata a nord dal confine con lo stato lucchese, ad est dal lago di Massaciuccoli, dalla fossa Magna e dai fossi della Traversagna e della Storrigiana, a sud dall’argine del fiume Serchio e ad ovest dalla costa, spostata di quattrocento metri verso monte rispetto alla posizione attuale. Il bosco era costituito da lecci, querce, farnie e cerri, ed era attraversato per tutta la sua lunghezza da lame (dei Binepri, Larga, Torta, il Fiumaccio) e da zone umide (Ugnone, Bozzone e Fiumaccio). La via di Pietra-santa attraversava tutta la tenuta longitudinalmente, e da questa si giungeva, attraversato il Serchio, alla torretta che segnalava l’ingresso nella proprietà Salviati. La villa come appare oggi è stata realizza-ta nella seconda metà dell’Ottocento e comportò lo sposrealizza-tamento del tracciato della via Aurelia; si trova vicino a quello che ancora oggi è il centro produttivo dell’azienda. Da questo piccolo nucleo di edifici partono una serie di percorsi che si adattano alla conformazione delle

La Tenuta Salviati di Migliarino

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lame e conducono ai cascinali nell’ansa del Serchio, nati in seguito alle bonifiche effettuate all’inizio dell’Ottocento. Percorrendo il viale Isabella si giunge all’Isola, di proprietà della Mensa Arcivescovile fino al diciannovesimo secolo ed attualmente occupata da cave di sabbia aperte durante la costruzione dell’autostrada Firenze-mare. Un’altra strada, infine, porta fino al mare di Marina di Vecchiano. Contem-poraneamente alla realizzazione della villa, sotto la direzione del tec-nico forestale tedesco Keller, si iniziò ad impiantare esemplari di Pino domestico finalizzato alla produzione di pinoli. Si procedette anche alla realizzazione di una fitta rete di strade e di canali per limitare la presenza di acqua che ancora oggi caratterizzano il territorio. Questi interventi portarono a essere Migliarino, agli inizi del Novecento, il maggior centro di produzione di pinoli a livello nazionale, innestando una serie di edifici che ancora oggi custodiscono preziosi macchinari.

Gli interventi di sistemazione dei fiumi attuati dalla fine del XIII secolo conferirono al territorio compreso fra il lago di Massaciuccoli e il fiume Serchio quelle caratteristiche che si mantennero costanti fino al primo dopoguerra: da una parte l’area paludosa, dall’altra una fascia lungo il fiume che vide in epoca comunale l’inserimento delle comunità di Avane, Nodica, Vecchiano e Malaventre. Nella stessa epoca si pro-cedette anche alla realizzazione di alcuni fossi, in particolare di fossa Barra e Magna, necessari per limitare l’estendersi della palude e che favorirono lo svilupparsi della caccia e della pesca. Nel Cinquecento iniziò ad insediarsi la famiglia dei Medici, acquistando possedimenti di privati e della comunità di Vecchiano, operazione che poi sfociò nella costituzione della fattoria e dell’appoderamento. Nel Seicento si procedette ad un’azione più organica di bonifica della palude, ma risultata essere difficile e costosa, venne deciso di vendere parte delle proprietà all’ingegnere olandese Van deer Street. Questi tentò un’ulte-riore bonifica realizzando numerosi fossi e costruendo mulini a vento, ma dopo la sua morte l’atto di vendita fu annullato e i possedimenti tornarono in mano al granduca. I tentativi di riconversione del terri-torio diminuirono, e si cercò di introdurre la coltivazione del riso per aumentare la produttività della fattoria, ma non si ebbero i risultati

La fattoria di Vecchiano e il Padule Meridionale

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sperati. Nel Settecento, la superficie totale della fattoria arrivava a novecento ettari, di cui seicento settanta erano paludosi.

Il padule si estendeva in una vasta area limitata a nord dal lago di Massaciuccoli, ad est dal canale della Magna e dunque dalla tenuta Salviati, e si dirigeva ad est assumendo una forma triangolare terminando alla base delle colline di Avane. Il territorio, suddiviso in Padule Grande, Padule delle Prese e Padule del Bellino, era costituito per lo più da erbe palustri e percorso da canali navigabili da piccole imbarcazioni e fossi. Non era presente nessun tipo di costruzione, e le strade che si addentravano all’interno erano percorribili solo d’e-state. Questo ambiente si estendeva per circa tre chilometri dal lago, percorsi i quali iniziavano i terreni appoderati destinati alla coltivazio-ne di saggina e alla pastura del bestiame. Nel Settecento il nume-ro di costruzioni all’interno del padule rimase sempre limitato. Nella cartografia storica si individuano una serie di cascine destinate alla lavorazione del riso e successivamente all’essiccazione del granturco, realizzate fra la Traversagna e il padule, mentre nelle zone collinari tali strutture venivano utilizzate per la produzione di olio. In pianura la coltura principale era quella cerealicola, ma si produceva anche lino e si allevavano anche un discreto numero di animali destinati alle lavo-razioni e al consumo alimentare. Sotto la reggenza di Pietro Leopoldo fu avanzato un progetto per il prosciugamento del lago di Bientina e del padule di Massaciuccoli utilizzando un nuovo canale che da Bientina avrebbe sfociato in mare. Anche se tale intervento avrebbe comportato un aumento nelle produzioni agricole, non convinse total-mente il granduca, tantomeno i contadini, e non si procedette mai alla sua fase realizzativa. Nel 1748, durante il periodo delle allivellazioni, la fattoria fu venduta in blocco ai duchi Salviati. Questi si fecero ca-rico di svariati interventi di bonifica, prosciugando nel 1863 il lago di Bientina; tuttavia lo stato dei luoghi rimase per lo più inalterato fino agli anni trenta del Novecento, quando venne costituito il Consorzio di bonifica ed inizio la bonifica meccanica integrale. In totale vennero riconvertiti 550 ettari nel sotto bacino di Massaciuccoli e 1100 ettari in quello di Vecchiano. Un tentativo di popolamento di queste aree fallì negli anni ’40, visto il costo elevato delle opere di fondazione degli edi-fici.. Attualmente, delle zone paludose rimane solamente una piccola striscia intorno al lago, che racchiude il laghetto della Gusciona; poco distante dal quale nel punto più basso, si trova l’impianto idrovoro principale.

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Pianta delle quattro Tenute di Migliarino, di San Rossore, di Tombolo e Arnovecchio, di Coltano e Castagnolo, XVIII, 57x127, Archivio Storico di Firenze. R. Possessioni 524

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Come le altre, anche questa tenuta venne istituita a cavallo fra ‘400 e ‘500 con l’acquisto da parte della famiglia dei Medici di terre-ni dalla Mensa Arcivescovile e mediante requisizioterre-ni e soprusi. Il nome ha origine dalla deformazione lessicale di Lussorio, un martire cristia-no ucciso in Sardegna sotto Diocleziacristia-no, i cui resti furocristia-no trasportati in una chiesa che sorgeva presso l’attuale località di Cascine Nuove. Dalla cartografia dell’epoca si evince l’esistenza di un vialone che dal centro di Pisa giungeva, superato la fossa Cuccia, ad alcune cascine dove probabilmente oggi sorgono le Cascine Vecchie, e da qui si giun-geva fino al mare. Nei pressi dell’Arno sorgiun-geva una fornace utilizzata per la realizzazione delle nuove costruzioni, mentre a nord del fiume Morto si nota la presenza della torre Riccardi, a quel tempo vicina al mare, e del cascinale di Palazzetto, a est del bosco omonimo. La tenuta veniva principalmente sfruttata per le sue selve e per il pascolo: agli inizi del ‘600 si contavano 1100 capi bovini e alcune decine di cavalli bradi, mentre nel 1622 Ferdinando II introdusse i dromedari, utilizzati come animali da soma nelle zone sabbiose. I primi interventi sul territorio riguardarono la sistemazione dei corsi dei fiumi che at-traversavano la tenuta. Fu eseguito in Arno il «Taglio Ferdinando», con il quale venne spostata la foce dell’Arno più a nord per timore dell’insabbiamento del porto di Livorno. Nel 1568 il fiume Morto fu deviato nel Serchio per evitarne l’insabbiamento, ma dopo l’apertura del canale di Ripafratta, nel ‘600 fu riaperto lo sbocco in mare. Pietro Leopoldo mise in opera una riorganizzazione generale della tenuta. Nel 1759 furono impiantati querce, querciole ed olmi nelle zone più basse ed umide, e lecci e pini domestici sulle dune. La realizzazione di alcune colmate permise di aumentare le aree destinate al pascolo, e particolare attenzione venne posta nella creazione di una struttura viaria all’interno della tenuta. L’accesso principale avveniva, come ac-cade oggi, da viale delle Cascine, mediante il quale si giungeva alle Cascine Vecchie. Un accesso secondario era posto nei pressi delle Ca-scine Nuove, che si raggiungevano percorrendo la via di Barbaricina. All’interno vennero realizzati due viali paralleli al mare distanti fra di loro circa tre chilometri e collegati da un percorso che percorreva la te-nuta trasversalmente. A questa spina dorsale si aggiungevano poi una fitta rete di viottoli che conducevano alle cascine e ai luoghi di lavoro. Da Cascine Vecchie, sede amministrativa, si poteva giungere alle Ca-scine Nuove dirigendosi verso sud, dove vi erano vari alloggi, centri per la produzione casearia e stalle. In direzione nord, invece, si arrivava sulle sponde del Serchio nella zona del Marmo, dove un piccolo porto

La Tenuta di San Rossore

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smistava verso Pisa il marmo proveniente da Carrara. Dalle Cascine Vecchie si poteva imboccare anche via del Gombo, che conduceva, passando in mezzo si boschi, alla torre del Gombo. La strada di Ma-rina percorreva invece la tenuta in tutta la sua lunghezza, passando dalla Palazzina nei pressi dell’Arno, dalla torre Riccardi (ricordo della linea costiera cinquecentesca) fino a raggiungere il Fortino nei pressi di Bocca di Serchio. Dopo una breve parentesi di dominazione francese, durante la quale molti animali furono destinati a sfamare le truppe, tornò ad occuparsi della tenuta la famiglia dei Lorena. Leopoldo II procedette anche alla ristrutturazione del Monastero di San Lussorio, alla costruzione della Villa di Cascine Vecchie (nel 1829) e a quella di un villino presso il Gombo, tutte strutture rase al suolo il secolo successi-vo durante la seconda guerra mondiale. Particolare attenzione venne data alla funzione rappresentativa che rivestiva la tenuta, e vennero realizzati ampi viali rettilinei che univano i punti centrali delle attività e le zone più importanti. Fu tracciato il nuovo viale del Gombo, il viale dal ponte alla Sterpaia alla torre Riccardi, il viale da Cascine Nuove alla Palazzina e a Bocca d’Arno, la via delle Cateratte e il nuovo viale delle Cascine. Nel 1854 fu inaugurato l’ippodromo, mentre dopo l’U-nità d’Italia i Savoia costruirono le stalle reali alla Sterpaia e rifecero completamente le Cascine Nuove. Volontà di quest’ultimi fu di chiu-dere la tenuta all’accesso del pubblico, e la realizzazione di un ponte che da Cascine Nuove collegasse con la tenuta di Tombolo. Il Ponte delle Cascine o Ponte Vittorio Emanuele II vide tre delle otto arcate distrutte dalla piena del 1920; distrutto e ricostruita una passerella in ferro, venne poi fatto saltare durante la seconda guerra mondiale.

Giovanni Gronchi, neoeletto Presidente della Repubblica, riuscì a far annettere la tenuta alla dotazione del Capo dello Stato, e intra-prese un’opera di riordinamento della stessa che culminò nella realiz-zazione della Villa del Gombo. Questa fu realizzata sulle macerie del-la Vildel-la Reale realizzata a metà Ottocento. Nel 1979 del-la Tenuta entra a far parte del Parco naturale di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli, istituito per legge regionale, insieme al lago di Massaciuccoli e alle pi-nete del Tombolo, di Migliarino e della Macchia Lucchese. Infine, nel 1999 il Presidente Oscar Luigi Scalfaro ha donato la proprietà di San Rossore alla Regione Toscana, che ne demanda la gestione all’Ente Parco Migliarino San Rossore Massaciuccoli.

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Le terre a sud del fiume Arno furono interessate fino all’Alto Medioevo dalla presenza di lagune, quando iniziarono a ridursi a pa-ludi per l’interrimento dei fiumi e l’abbandono delle opere idrauliche. Tale situazione orografica spinse la Repubblica Pisana a localizzare il suo porto in una laguna più meridionale, in una zona riparata dall’a-vanzata della spiaggia. Tuttavia, già nel ‘400 la palude raggiunse questi luoghi, e il porto perse la sua funzione di avamposto pisano, funzione poi esercitata dalla nascente città di Livorno. Fino a metà dell’Ottocento la proprietà di questi territori, che andavano dall’Arno a Livorno, fu della Mensa Arcivescovile. Questa non incise particolar-mente sullo stato dei luoghi, sia per la scarsa volontà di sfruttare in maniera vantaggiosa questi possedimenti, sia per l’impossibilità di ef-fettuare interventi complessi. In seguito alle allivellazioni della fattoria di Casabianca, di cui oggi non si riesce a definire una localizzazione certa, alla fine del XVIII secolo si costituì la tenuta di Arnovecchio, in un’area di forma triangolare prossima a bocca d’Arno. Proprio per la sua vicinanza alla foce, tale area risultò paludosa e soggetta ad alla-gamenti fino alla realizzazione degli impianti idrovori. Nel Settecento l’ambiente della tenuta era disegnato dall’alternanze di zone dunose asciutte, i tomboli, e zone depresse umide. Il bosco, che andava da San Piero a Grado fino a Calambrone, era composto da pini, lecci, querce e cerri, e vedeva la presenza di ampie lame parallele alla linea di costa. Nella prima metà dell’Ottocento furono impiantate pinete e realizzati fossi che limitarono, anche se di poco, le zone umide. A fine del secolo, invece, furono tracciati i viali rettilinei diretti al mare, seguendo i quali fu poi organizzata un’azione di bonifica dagli anni venti in poi. Questa avvenne grazie all’installazione di due idrovore nelle zone più basse di Arnovecchio e della Cornacchia, e di una serie di canali accessori. Di questi anni è anche l’intervento che conferì al canale dei Navicelli un andamento rettilineo, dopo diversi interventi di ampliamento dei secoli precedenti. Tale canale fu voluto da Cosi-mo I dei Medici, aperto nel 1574, metteva in collegamento la Porta a Mare di Pisa con la fortezza vecchia di Livorno, favorendo non solo gli scambi commerciali ma permettendo l’attraversamento delle ampie zone paludose che separavano i due centri. Dopo la bonifica di inizio secolo, che vide l’abbattimento di un’ampia fascia boccata, furono messi a cultura i terreni prosciugati, e iniziò il sempre più massiccio sfruttamento della costa con lo sviluppo dei centri di Marina di Pisa, Tirrenia e Calambrone. A est di questi centri si trova la fascia più am-piamente boscata che vede la presenza di due zone militari, mentre

La Tenuta di Tombolo e Arnovecchio

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Giovanni Caluri, Pianta della pianura pisana e delle sue adiacenze compresa nel Dipartimento del Mediterraneo, 1811, 125x150, Archivio Storico di Firenze. Rappresentazione dell’area nel periodo di dominazione francese, con la suddivisione della Toscana in tre dipartimenti. R. Possessioni 508

Pianta della macchia di Migliarino e della pianura tra il fiume Serchio e il confine di Lucca nel territorio pisano, XVIII, 57x75, Archivio storico di Firenze. Il bosco di migliarino attraversato da lunghe lame acquose prima dell’intoroduzione del pino e della suddivisione in rettangoli. R. Rendita 63

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parte della tenuta viene attualmente utilizzata dall’Università di Pisa per attività didattiche e di ricerca.

Gli acquisti da parte dei Medici che portarono alla costituzione della tenuta di Coltano iniziarono nel Quattrocento, per continuare nel corso dei secoli di pari passo agli scontri con i duchi Salviati. Di questi si riscontra ancora nel ‘700 la proprietà di una piccola isola nel padule di Stagno, all’interno della proprietà granducale. I confini erano dettati a ovest dal Canale dei Navicelli, che nei pressi di San Piero si piegava a gomito limitando la tenuta anche a nord; a est dalle «prata di Montacchiello e di campo d’Olmo» e dal fosso del Caligi; a sud dalla fossa Chiara oltre la quale si sviluppava la fattoria di Collesalvetti, verso le colline livornesi. Il territorio era caratterizzato dalla presenza di zone paludose separate da larghe strisce di terreno che costituivano delle vere e proprie isole e penisole. Il «padule Mag-giore» occupava la parte nord della tenuta ed era anche il più grande che caratterizzava questi luoghi. Una stretta metteva in collegamento questo padule con quello della Ballerina che costeggiava il canale dei Navicelli, fino ad unirsi al padule di Stagno, che dominava quasi tutta la parte meridionale della tenuta e dove elevava l’Isola di proprietà dei Salviati. Questa era probabilmente occupata da un fitto bosco, ma nel ‘700 risultava destinata alla coltivazione di vigneti. La tenuta

Mappa corografica della pianura meridionale di Pisa tra l’Arno e le colline, XVIII, 66x100, Archivio di Stato di Firenze. Miscellanea 203

La fattoria di Coltano e Castagnolo

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di Castagnolo si trovava a all’estremo nord, divisa dal resto del terri-torio dalla succitata stretta fra i peduli Maggiore e della Ballerina. I primi miglioramenti si riscontrarono dopo la realizzazione nel ‘500 del fosso Reale nelle terre meridionali, mentre nel ‘700 Pietro Leopoldo ordinò una serie di opere di canalizzazione che resero coltivabili vaste superfici a sud di Coltano e di proprietà della fattoria di Collesalvetti. All’interno della tenuta, invece, gli interventi furono indirizzati a limi-tare la presenza dell’acqua in alcune zone e soprattutto nei periodi estivi, in quanto le attività principali erano quelle di caccia, pesca e allevamento. La via di accesso principale era costituita da una strada che da via Livornese, all’altezza di San Piero, si dirigeva verso la tenu-ta di Castenu-tagnolo, per poi raggiungere un ponte che segnava l’ingresso nella tenuta di Coltano. Dopo un fitto bosco, la strada tagliava verso est raggiungendo la zona dei Palazzi, dove aveva sede il centro dire-zionale e organizzativo della tenuta: la villa Medicea, voluta nel ‘500 da Don Antonio de’ Medico e realizzata da Bernardo Buontalenti.

All’Unità d’Italia i terreni di Coltano furono inclusi nei beni della Corona, e dopo la prima Guerra Mondiale furono ceduti all’Opera nazionale dei combattenti. Nel 1920 si dette inizio ad un processo di bonifiche che vide, oltre alla sistemazione di fossi e canali, all’instal-lazione di tre impianti idrovori nelle zone più depresse (Ragnaione, Paludella, San Guido); con la successiva realizzazione di strade, ponti e argini, si dette inizio all’appoderamento de terreni.

Nel 1911, Guglielmo Marconi installò poco lontano dal Palazzo Mediceo la celeberrima Stazione Radiotelegrafica, allo scopo di col-legare Roma alle colonie italiane ed ai paesi europei. L’impianto fu poi potenziato per poter essere utilizzato anche per le comunicazioni intercontinentali e radiofoniche.

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Carta topografica del Compartimento lucchese eseguita d’ordine di Sua Ecc. il Sig. Ten. Generale, Cav. G. de Laugier Conte di Bellecour, Ministro della guerra, 1850, Istituto geografico militare di Firenze. La realizzazione si basò sui rilevamenti effettuati per le mappe catastali, con successive ricognizioni generali per imprimere al terreno rilevato la configurazione orografica

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stato istituito con la Legge Regionale Toscana n.61 del 13 dicembre 197920, risultando essere uno dei primi parchi regionali istituiti in Italia.

La legge, oltre al territorio e all’ambito di competenze, attribuisce al Consorzio del Parco Naturale Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli (formato dalle due Province e dai cinque comuni) il ruolo di gestore del Parco. L’Articolo 1 recita: “[…] Scopo del parco è la tutela delle carat-teristiche naturali ambientali e storiche, del litorale Pisano e Lucchese, in funzione dell’uso sociale di tali valori, nonché la promozione della ricerca”. La legge individua i perimetri del parco, composto da aree interne e da aree contigue, e stabilisce che il consorzio dovrà dotarsi di un piano territoriale riguardante queste perimetrazioni.

Il Piano Territoriale del Parco Naturale di MSRM, approvato con la Delibera Regionale n. 51 del 19 dicembre 198921, è stato

origina-riamente redatto sotto il coordinamento dell’Arch. Pier Luigi Cervellati. Il Piano detta le norme generali e strutturali per il territorio protetto, e dal 1994 (con la legge regionale che ha definito il Parco come ente) ha assunto le valenze non solo di Piano ambientale ma anche di Piano paesistico ed urbanistico, sostituendo tutti gli altri strumenti di pianifi-cazione del territorio. Viene definito il quadro conoscitivo, territoriale ed ambientale, del territorio protetto individuando sette ambiti deno-minati Tenute, Fattorie o Comparti che comprendono indistintamente aree interne e contigue. Per ciascun ambito viene redatto uno specifico Piano di Gestione22. Questo ha valenza di piano particolareggiato che

specifica la disciplina territoriale generale in funzione delle peculiari caratteristiche ambientali e morfologiche della porzione di territorio in esame. Il Piano definisce il territorio nelle rispettive zone in funzio-ne delle peculiari caratteristiche ambientali morfologiche e naturali, e, per ciascuna zona, individua le possibilità d’uso, le modalità di in-tervento e di conservazione. Il piano individua anche tutti i riferimenti strutturali ed infrastrutturali funzionali al Parco ed al territorio protetto. La filosofia del piano fu quella di prevedere egli interventi e delle for-me di gestione indirizzate a restituire al territorio l’aspetto di fine del ‘700, riconoscendo come non corretti gli interventi di bonifica avve-nuti nel corso dei secoli. Il piano dunque prevedeva l’allagamento di

20 Risorsa disponibile su: www.parcosanrossore.org/ammnistrazione-trasparente/

disposizioni-generali/atti-generali

21 Risorsa disponibile su: www.parcosanrossore.org/ammnistrazione-trasparente/

disposizioni-generali/atti-generali

22 Risorsa disponibile su: www.parcosanrossore.org/ammnistrazione-trasparente/

disposizioni-generali/pianificazione-e-governo-del-territorio

Il Piano del Parco e i Piani di Gestione

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circa 1500 ettari di territorio (non solo terreni incolti, ma anche aree di agricoltura produttiva e insediamenti rurali) con l’intento di attuare un restauro territoriale. La cartografia del P.T.C. risultò non essere tanto difforme dalle antiche mappe settecentesche.23

I piani di Gestione attualmente in vigore sono:

• della Tenuta Borbone e Macchia Lucchese, compren-dente territori in Comune di Viareggio, approvato con Deli-bera del Consiglio Direttivo del Parco n. 53 del 27.4.2009; • del Padule settentrionale e Lago di Massaciuccoli, com-prendente territori nei Comuni di Viareggio e Massarosa, approvato con Delibera del Consiglio Direttivo del Parco n. 227/20 del 25.10.1999 e varianti parziali di cui alle Delibere n. 15 del 16.2.2004 e n. 142 del 30.11.2009;

• della Tenuta di Migliarino e Fattoria di Vecchiano, com-prendenti territori in Comune di Vecchiano, approvato con De-libera del Consiglio Direttivo del Parco n. 360 del 24.12.1997 e modifica con Delibera n. 215/8 del 13.9.1999;

• della Tenuta di San Rossore, comprendente territori nei Comune di San Giuliano T. e Pisa, approvato con Delibera del Consiglio Direttivo del Parco n. 214 del 13.9.1999;

• delle Tenute di Tombolo e Coltano, comprendente terri-tori in Comune di Pisa, approvato con Delibera del Consiglio Direttivo del Parco n. 18 del 10.5.2002 e variante parziale di cui alla Delibera n. 41 del 6.4.2009.

Il piano di gestione della Tenuta Borbone e Macchia Lucchese, all’articolo 24, tratta dei “percorsi pedonali o ciclabili”, “Comprende tutti i tracciati nei quali è interdetto in modo assoluto il transito degli autoveicoli e di qualsiasi altro mezzo non a trazione umana o ani-male, ad eccezione, laddove fattibile, degli automezzi in servizio per la vigilanza del parco e dei mezzi di soccorso/servizio specificamen-te autorizzati; tali tracciati sono destinati all’esclusivo uso pedonale/ ciclabile per la fruizione e la visita del parco, come specificato nei successivi commi” (comma 1). Il piano individua e classifica quattro tipologie di percorsi per i quali vengono fornite prescrizioni indirizzate al miglioramento di queste infrastrutture. Come indicato in cartogra-fia, i percorsi sono così distinti: percorsi nelle pinete, percorsi per la

23 Cavalli S., Lambertini M. Il parco Naturale Migliarino-San

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