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I BISOGNI DEGLI UTENT

3.3.6 lA GIuStA DIMENSIONE

«Ovunque si getta lo sguardo si notano nuove manifestazioni di una scala fuori pro- porzione che contribuisce alla segregazione sociale. [...] Forse questi megaprogetti sono inevitabili segni dell’epoca della globalizzazione, ma ci si chiede se i committenti e i loro architetti sono stati consapevoli di quanto la progettazione di tali forme sia causa di un deterrente alla socializzazione» [Ingersoll, 2013, p. 313]. Ingersoll riporta l’esempio della piazza sotto le torri di Tange (1974): si dispone di uno spazio simile in grandezza a Piazza Maggiore (100 per 50 metri), ma leggermente rialzato dalla quota della strada civica. «Il fatto di cambiar quota nel posizionamento di una piazza, dalla Piazza del Campidoglio a Roma in poi, ha sempre inibito l’accesso del pubblico. [...] La sua scarsa vitalità è dovuta alla mancanza di quell’ingrediente sociale che il sociologo americano William T. Whyte chiamava “triangolazione”. Cioè, la dinamicità di uno spazio pubblico si può misurare secondo la sua capacità di alternare utenze di tre o piú obiettivi diversi (per esempio: qualcuno che va al lavoro, qualcuno che va al bar, qual- cuno che porta un bambino a scuola). Per chi lavora nelle torri, il parcheggio resta die- tro la piazza e quindi non c’è bisogno di attraversare lo spazio per entrare negli uffici. Le bianche torri di Tange sorgono con l’imponenza di un castello medievale, e alla fine questo é il messaggio simbolico che viene percepito» [Ingersoll, 2013, pp. 315-316]. Nell’analisi della piazza della Fiera di Bologna, Ingersoll introduce molti elementi im- portanti oggetto di questa trattazione: la dimensione dello spazio, la scala umana, la triangolazione (paragrafo 4.7.2) e il messaggio simbolico (paragrafo 4.6.5). Ci soffer- meremo ora sulla scala dello spazio pubblico, data dalla combinazione tra altezza degli edifici prospicienti, larghezza della strada, distanze relative, permeabilità e senso di grandezza o intimità dello spazio. «Human scale refers to a size, texture, and articula- tion of physical elements that match the size and proportions of humans and, equally important, correspond to the speed at which humans walk52» [Karen et al, 2010, p.

29].

Montgomery afferma che non ci sono regole rigide e veloci riguardanti queste dimen- sioni, se non che edifici alti tendono a richiedere strade più larghe, se non altro per accedere a luce naturale e ventilazione adeguate. Anche questa regola, che sembra banale, è smentita da luoghi come Bairro Alto a Lisbona, un luogo affascinante e com- plesso con edifici alti e vicoli stretti [Montgomery, 1998, p. 107]. In generale, Montgo- mery consiglia spazi aperti che siano attraversabili a piedi in meno di dieci minuti e

52 La scala umana si riferisce alla dimensione, alla texture e alla articolazione degli elementi fisici che corrispon- dono alle dimensioni e alle proporzioni umane e che, ugualmente importante, corrispondono alla velocità a cui un essere umano cammina.

Figura 94. Valencia, Città delle Arti e delle Scienze, un complesso di 350.000 m2 che ha completamente ridise-

gnato un brano di città @DC.

Figura 95. Bosselmann compara le relazioni spaziali attraverso lo spazio percorso in 4 minuti a piedi: 5. Strøget, Copenhagen, Danimarca; 9. Piazza Navona, Roma, Italia; 4. Time Square, New York City; 6. Pennsylvania Ave- nue, Washington DC; 7. Old quarter, Toronto, Canada; 8. Old part of Kyoto, Japan; 10. Trafalgar Square, London, England; 11. Marais, Paris, France; 12. La Rambla, Barcelona, Spain.

con un grande numero di intersezioni. Secondo Ingersoll i minuti scendono a tre: «La forma della piazza non deve essere troppo grande. Lo spazio può essere misurato in tempi, cioè non più di 3 minuti a piedi come per attraversare Pz. S. Marco a Venezia53.

Le architetture, anche quando sono monumentali, devono avere qualche particolare che riporta alla scala umana: gradini, panche, bugnato, colonnati, statue, fontane, archi, e così via» [2008].

«Quando lo spazio è limitato, porta le persone a stare più vicine le une alle altre e più vicine alle facciate degli edifici, il ché dà luogo a un ambiente ricco di stimoli sensoriali. Edifici stretti hanno l’effetto positivo di rendere le strade più interessanti, perché lotti stretti significano molte porte e molte porte funzioni diverse alle quali guardare an- che in una breve camminata attraverso la città. [...] Buone facciate al piano terra sono una caratteristica importante in una città. Rendono una città interessante per passarci attraverso, interessante da guardare, da toccare e da starvi dentro. Le attività dentro gli edifici e quelle nelle strade possono arricchirsi vicendevolmente. [...] Al contrario, muri ciechi sottolineano l’inutilità di visitare la città fuori dagli orari di lavoro» [Gehl, Gemzoe, 1996, p. 32].

Whyte ribadisce più volte l’importanza degli spazi piccoli: «Io, insomma, sto chieden- do luoghi piccoli e pieni di gente» [1988, p. 172], saranno poi le persone, con il loro senso del numero, a evitare che diventino sovraffollati. Lo studio sulle plazas [1988] dimostrò che la dimensione di per sé è un fattore sostanzialmente indifferente, spazi urbani di piccolissima scala richiamavano moltissima gente, e molti spazi di grande scala pochissima gente. Dello stesso parere anche Rykwert: «Non è di inebriamento e magniloquenza che oggi abbiamo bisogno, ma di sobrietà ed efficacia. Perciò, questo è il mio consiglio, fate piccoli progetti, e fatene tanti» [Rykwert, 2003, p. 307].

La scala di uno spazio influenza il senso di territorialità: ad esempio, i pedoni si sento- no più a loro agio in spazi pubblici a scala umana, maggiormente in difficoltà in aree più vaste, dove non riescono a sviluppare un senso di appartenenza. Per questa ragio- ne, uno spazio pubblico non dovrebbe essere fuori scala: la sua dimensione comples- siva, la misura dei suoi arredi e dei suoi spazi dovrebbero corrispondere alla quan- tità degli utenti previsti e al tipo di attività che lì avranno luogo. Uno spazio di scala

53 Peter Bosselmann arricchisce la comparazione grafica con ulteriori strumenti di analisi. Per esempio disegna in tratteggio su ogni mappa il percorso che un uomo che cammina a piedi per 4 minuti a una velocità media, e poi restituisce graficamente la sequenza attraverso 39 piccoli schizzi prospettici, ordinati come fotogrammi di un film. La varietà dell’esperienza viene rappresentata in modo efficace. Alcuni percorsi di 4 minuti vengono percepiti come più lunghi a causa della diversa esperienza. «La dimensione e la posizione degli elementi urbani influenza la percezione del tempo» [Bosselmann, 1988, pp. 49-61].

Figura 96. Gehl, How to study public life [2013]: lo studio delle distanze è importante anche nella sua componente verticale.

appropriata avrà più probabilità di essere “adottato” da residenti e utenti, che se ne cureranno e lo proteggeranno da utilizzi inopportuni e vandalismo: tutte condizioni che prevengono degrado, inciviltà e atti criminali [European Commission, 2008]. Il contributo di Stevan “Gli spazi pubblici nel tempo della globalizzazione” [1997] propone il tema da un punto di vista completamente differente. «Qual è il carattere e la dimensione che si possono attribuire a uno spazio pubblico in una società glo- bale che si avvia a concepire come normali incontri di centinaia di migliaia di perso- ne [da Woodstock in poi]? Deve essere pensato e progettato questo spazio o, visto che per tali eventi ogni spazio più o meno architettonicamente connotato, purché di adeguate dimensioni, risulta proponibile, non è più il caso di preoccuparsi della sua definizione architettonica? La sommatoria di piccoli spazi pubblici tradizionali può sostituire il progetto di spazi concepiti per questa nuova e del tutto inusitata dimensione della rappresentazione? I raduni di folle, sempre più sterminate, sono eventi eccezionali o saranno l’unico vero modo di incontro e di scambio interperso- nale a scala adeguata al nuovo modo di intendere e di sentire il sociale, il pubblico e il collettivo nell’era della globalizzazione, unici momenti unificanti entro un quadro complesso in cui convivono molteplici e contrastanti modelli organizzativo-sociali?» [Stevan, 1997, p. 67].

Tuttavia anche Stevan mette in guardia da spazi di dimensione disumana. «Quello che oggi è importante individuare sono gli spazi pubblici in cui possa rappresentarsi, nella sua essenza e nella sua estensione, questa nuova società mondiale, a partire dal punto fermo che indietro non è dato di tornare e che pertanto con questa nuova dimensione del sociale anche l’architettura sarà chiamata a misurarsi. Di questo ri- chiamo, che consegue alla globalizzazione, bisogna riuscire a leggere i segni premo- nitori. [...] Vecchie città da Barcellona a Singapore hanno tentato un adeguamento attraverso il rinnovamento dei propri spazi pubblici. Accanto alla riproposizione a volte nostalgica di spazi pubblici riferiti al «locale”, come si amava dire “a dimensio- ne umana”, è tempo di avviare una estesa sperimentazione di progetti architettonici legati ai grandi spazi pubblici (possibilmente non disumani) riferibili al “globale”» [Stevan, 1997, pp. 67-68].

Dimensioni e distanze

Non esistono ovviamente regole fisse, come già ribadito più volte il contesto è tutto. Alcuni autori però hanno fornito dati dimensionali utili a fornire un termine di rife- rimento. Ad esempio Lynch [1971] afferma che 20-25 metri è il range dimensionale dello spazio a vocazione pubblica; questo dato è ripreso da Gehl all’interno del tema

sulle “distanze sociali” [Gehl, 1987, 2010, 2013]. Questo dato è confermato dalla ri- cerca RUROS [2004] che indica 24 metri come la distanza massima perché le persone si possano riconoscere. RUROS aggiunge che per percepire la facciata di un edificio nel suo insieme, le persone dovrebbero guardarla con un angolo inferiore o pari a 27° sopra il piano dell’altezza-occhi. Questo è il requisito per persone che stanno ad una distanza maggiore o uguale a due volte l’altezza dell’edificio.

La prossemica è la disciplina semiologica che si occupa - tra le altre cose - dello stu- dio dello spazio e delle distanze. «“Prossemica” è il termine che ho coniato per le osservazioni e le teorie che concernono l’uso dello spazio dell’uomo, inteso come una specifica elaborazione della cultura» [Hall, 1966, ed. 1968, p. 11]. «La prossemica ci aiuta dunque a capire il significato dello spazio» [Eco, 1968, p. XII].

In La dimensione nascosta, Hall sottolinea l’importanza dello spazio cinestetico, «un fattore importante nella vita quotidiana, che architetti e progettisti dovrebbero te- ner ben presente» [Hall, 1966, ed. 1968, p. 78]. La pubblicazione dimostra «che la scala è un fattore chiave nella pianificazione e nella progettazione di città, quartieri e complessi edilizi. È inoltre di fondamentale importanza che la scala urbana sia coerente con la scala etnica, dal momento che ogni gruppo etnico sembra avere la propria» [Hall, 1966, ed. 1968, p. 225]. La dimensione nascosta illustra con numerosi esempi come la percezione dello spazio e delle distanze influenza le nostre vite, e apre la strada a numerose esplorazioni, che dovrebbero aiutarci a costruire ambienti migliori. Hall fa l’esempio dei grattacieli (distanza verticale): «Una mamma non può sorvegliare i suoi bambini, se stanno giocando quindici piani sotto di lei; e così può accadere che vengano picchiati dai teppisti» [Hall, 1966, ed. 1968, p. 224].

Hall continua inoltre i riferimenti su Piazza San Marco, esempio molto indagato dal- la letteratura: «La sensazione di spaziosità che si può trovare nelle grandi piazze è strettamente legata alla possibilità di camminarvi liberamente: la piazza San Marco a Venezia è così stimolante, non solo in virtù del suo disegno e delle sue proporzioni, ma anche perché ogni suo centimetro può essere percorso a piedi» [Hall, 1966, ed. 1968, p. 79].

Per far comprendere quanto sia complessa la percezione delle distanze, Hall riporta l’esempio di come questa varia al cambiare della temperatura: «La temperatura è strettamente connessa all’esperienza personale dell’affollamento. Quando il calore comincia a crescere, e il luogo è troppo affollato perché si possa dissipare, si mette in moto una specie di reazione a catena. Per mantenere il medesimo grado di relativo benessere e comodità, evitando l’eccessivo coinvolgimento, una folla ha bisogno di

più spazio col caldo che col freddo» [Hall, 1966, ed. 1968, p. 83].