4 CASO STUDIO
4.1 ESPlICItAzIONE DEllA MEtODOlOGIA
4.1.2 RIFERIMENTI METODOLOGIC
La pratica della Landscape Architecture si basa sul progetto, pertanto una specificità
della ricerca scientifica è quella di includere una combinazione di ricerca e progetto. Sanda Lenzholzer, Ingrid Duchhart e Jusuck Koh nell’articolo Research through desi- gning in landscape architecture [2013] identificano tre relazioni tra il progetto e la ricerca:
• research for design1: ricerche per migliorare la qualità e l’affidabilità del manu-
fatto progettato;
• research-on-design(ing): ricerche condotte su progetti conclusi (substantial) o
sul processo progettuale (procedural);
• research-by-design / research as design / research through design (RTD): l’attivi- tà progettuale è impiegata come metodo di ricerca.
La presente ricerca fa riferimento al research-on-design(ing) e prende come esem- pio la “case study research analysis” portata avanti da Mark Francis per conto della LAF - Landscape Architecture Foundation [Francis 1999; 2003]. Francis [1999] defini- sce il caso studio come una ben documentata e sistematica disamina del processo, dell’attività decisionale e dei risultati di un progetto o di una questione di paesaggio che può informare la pratica futura, le politiche, le teorie e/o l’insegnamento. Tra le tre tipologie di caso studio individuate da Francis, questa ricerca fa riferimento al caso studio “place-based”, analizzando e descrivendo uno specifico luogo attra- verso analisi di informazioni come ad esempio ricerche storiche, ruolo dei differenti partecipanti al progetto, aspetti finanziari, obiettivi di progetto, progetto, processo decisionale.
La scheda di analisi predisposta per i casi studio parte dall’impostazione di Mark Francis [1999; 2003] e integra altri importanti contributi come quelli di Lucia Nucci [2012], Jan Gehl [2004; 2004b; 2005; 2009; 2010; 2013; 1990; 1994; City of Copenha- gen, 2009; City of Melbourne and Gehl Architects, 2004] e Palazzo e Steiner [2012]. Particolarmente importante ai fini dell’analisi dei casi studio è stata la “Post-Occu- pancy Evaluation” (POE). Preiser et al [1988] definiscono la POE «the process of evaluating buildings in a systematic and rigorous manner after they have been built and occupied for some time2». Questa analisi è stata applicata anche agli spazi pub-
blici [per primo Newman, 1972] e il suo strumento fondamentale è la capacità di os- servare. La tesi fa riferimento all’osservazione diretta di primo grado portata avanti
1 Nota: tutti i termini utilizzano il termine “design” senza specificare se venga utilizzato come verbo o come so- stantivo. Siccome il verbo denomina meglio un’attività, utilizzeremo il termine “designing” nella nostra definizione.
2 “La POE è il processo di valutazione degli edifici in modo sistematico e rigoroso dopo che sono stati costruiti e occupati per un certo tempo” (traduzione dell’autore).
Figura 254. Tracce lasciate nella neve a Town Hall Square, Copenhagen, Danimarca [Gehl, 2013].
Figura 255. Come tutti gli altri, gli studenti di architettura prendono la strada più diretta. The Royal Danish Academy of Fine Arts, School of Architecture, Copenhagen, Danimarca [Gehl, 2013]. Figura 256. MFO Park, le persone solitamente attraversano lo spazio in diagonale, scegliendo così la via più breve per arrivare alla stazione dei treni @DC.
dalla scuola di Berkeley e da Jan Gehl3. Sono ricorsa anche a osservazione diretta e
interviste, tenendo in considerazione delle critiche che la scuola di Berkeley rivolge a questa metodologia di ricerca4.
«È possibile dire molto di una città o di un quartiere solo osservando. [...] Non sarà possibile dire tutto quello che ci sarebbe voluto conoscere intorno a queste que- stioni, ma se ne può dire un bel po’. [...] In maniera crescente, negli ultimi anni, dati quantitativi e inchieste statistiche, studi di traffico, sondaggi e simili sono usati per valutare le condizioni esistenti nell’ambiente costruito. Senza nulla togliere all’im- portanza o alla validità di queste tecniche di ricerca noi pensiamo sia ugualmente importante sviluppare le nostre capacità di osservazione. [...] È possibile, noi pensia- mo, sviluppare il processo di lettura dell’ambiente urbano in una deliberata tecnica di studio» [Jacobs A. B., 1982, p. 10]. In Looking at cities, Allan B. Jacobs afferma la necessità di ricominciare a guardare la città, a osservarla in modo intelligente ma in qualche maniera ingenuo, a fidarsi della pura capacità della forma fisica di raccon- tare la vita che negli spazi ha luogo: «L’osservazione consapevole, attenta e diretta, accompagnata dal continuo interrogarsi sul significato di ciò che uno vede, può dire molto su una città o un quartiere. L’osservazione può dire sulla storia e sulle sue di- namiche in corso in un’area: quando e per chi fu costruita, quali cambiamenti fisici, sociali ed economici sono intervenuti; chi ci vive ora; quali sono i principali problemi; se l’area sia soggetta a rapidi cambiamenti e, se sì, di quale tipo. Si può vedere come un’area è relazionata al contesto più ampio; e si può addirittura prevedere quali cam-
3 «[...] l’area vera e propria dell’Osservazione emerge negli anni Sessanta con il testo seminale di Jane Jacobs
The Death and Life..., prosegue con un numero di lavori di Oscar Newman, William H. Whyte, Clare Cooper-Marcus,
Donald Appleyard, Raquel Ramati, nei Settanta e negli Ottanta, e sta continuando ad arricchirsi con i contributi di Peter Bosselmann, Allan B. Jacobs, Jan Gehl e Lars Gemzöe. È notevole in questa area la presenza di più d’una gene- razione di berkeleyani, da Southwarth, Appleyard e Cooper-Marcus, fino all’attuale gruppo di urban design condotto da Allan B. Jacobs e Peter Bosselmann. [...] Ciò che interessa sono i comportamenti nello spazio e le relazioni che intercorrono tra questi e le forme fisiche, disegnabili, dello spazio stesso» [Porta, 2002, pp. 25-26].
4 «Chi ha fatto un’osservazione di primo grado, diretta, dei comportamenti nello spazio (Gehl, Newman, Whyte e in parte Cooper-Marcus) è diffidente verso l’intervista, strumento principale dell’analisi della percezione [Zeisel, 1981]. Per esempio Whyte avverte sul fatto che i newyorkesi amano riferire il loro odio per l’affollamento dei mar- ciapiedi, salvo poi andare deliberatamente a spendere il loro tempo nelle zone più dense. Solo i più forti, sembrano dire, ce la possono fare [Whyte, 1977, p. 2]. Ancora, Whyte sostiene che se si va a chiedere alla gente dove stanno le coppie di fidanzati, ci si sentirà rispondere che si appartano nelle zone poco visibili dello spazio, mentre esse, di fatto, si mettono felicemente nel mezzo della folla o nelle parti più esposte. Allo stesso modo Gehl mette in rilievo l’impor- tanza delle attività che durano meno di un minuto, oltre il 50% dell’intero ammontare delle attività osservate, piccole attività quotidiane che spesso non vengono percepite dagli stessi soggetti che le producono. È poco probabile che eventi come questi sarebbero stati colti attraverso interviste o simili tipi di inchieste sociologiche, perché la maggior parte delle persone non ne avrebbero tenuto conto o non se ne sarebbero ricordate affatto, o non avrebbero attri- buito ad essi alcuna importanza. Essi potevano probabilmente essere colti soltanto attraverso l’osservazione, come in questo studio [Gehl, 1987, p. 17]» [Porta, 2002, pp. 36-37].
biamenti ci si può attendere. L’osservazione non può dire tutto su un’area, ma di si- curo può dirne un bel po’» [Jacobs A. B., 1985, p. 6]: come gli uomini si divertono, se stanno bene o no nell’ambiente, se hanno cura dello spazio, se sono territorializzati. La diagnosi visiva è uno strumento importante per tante discipline: i medici, gli ar- cheologi, i geologi, gli ingegneri strutturisti, gli scienziati forestali. La posizione di Allan B. Jacobs è quella di chi intende recuperare uno strumento di lavoro importan- te e per diverse ragioni5 espulso ormai stabilmente dalla disciplina, con l’obiettivo
di affiancarlo agli strumenti più consolidati. L’operazione deve essere fatta a piedi, possibilmente con una mappa della zona in mano. «Solo a piedi infatti è possibile re- alizzare una completa esperienza sensoriale dell’ambiente, un’esperienza che com- prenda gli stimoli in almeno quattro dei cinque sensi umani, una vera immersione nel contesto» [Porta, 2002, p. 175].
La parte principale di Looking at cities è composta da un capitolo intitolato Clues (indizi); l’elenco non viene presentato come esaustivo. Questa lista rappresenta tut- tavia in modo molto preciso il complesso delle attenzioni che Allan B. Jacobs rivolge all’ambiente fisico, attenzioni la cui rilevanza si radica ovviamente in un quadro con- cettuale molto definito. «La selezione degli indizi, la loro analisi, il significato che si attribuisce loro, sono tutte operazioni altamente soggettive. La natura destrutturata 5 «L’osservazione [...] è stata ritenuta troppo soggettiva come base per un’azione concreta in confronto a metodi più quantificabili, di natura statistica. [...] Pianificatori urbani e progettisti interessati alla miriade di possibilità creati- ve inerenti una comunità urbana hanno bisogno di un’esperienza diretta del luogo. L’osservazione aiuta a richiamare alla mente altri posti, selezionando così idee sui modi possibili di perseguire i cambiamenti desiderati. [...] Vedere le persone e il loro ambiente è cosa ben diversa dal raccogliere su di loro informazioni di seconda mano» [Jacobs A. B., 1985, pp. 7-8].
«Noi non possiamo osservare con oggettività. [...] La questione però non è risolvibile con la rinuncia all’osservazione. [...] L’uomo osserva per natura [...] Rinunciare all’osservazione non è altro che osservare in modo inconsapevole, senza la necessaria cultura dell’osservazione. Osservare in maniera consapevole significa attribuire significati agli indizi esposti dall’ambiente fisico e allo stesso tempo essere ben avvertiti sulla natura soggettiva dell’intera operazione, una natura che pone limiti alla certezza delle conclusioni e che, specialmente, richiede di attivare alcune precauzioni. [...] La componente soggettiva non è un semplice pericolo: essa è un arricchimento straordinario del quadro informativo, e dev’essere continuamente perseguita, coltivata, rinnovata. L’esperienza personale dell’osservatore, che si alimenta della cultura tecnica, di classe, di gruppo etnico, è una fonte inesauribile di associazioni, confronti, soluzioni possibili. Il processo di composizione, scomposizione, ricomposizione delle esperienze passate e memorizzate con il caso in questione non è descrivibile in termini oggettivi, né sarebbe desiderabile che lo fosse. Esso è spesso, se non sempre, un processo intuitivo. Non basta dare delle raccomandazioni ben informate, delle guidelines, per esempio sul buon disegno delle strade, poiché nessuna buona strada può essere disegnata senza la creazione di qualcosa di indefinibile e sottile, di puramente umano, che Jacobs non ha paura di chiamare magic, incanto» [Porta, 2002, p. 178 ]. Esistono metodi di oggettivazione delle osservazioni come utilizzare differenti strumenti, condurre osservazioni sul campo insieme ad altre persone, la comparazione sistematica dei casi (nel caso di Great Streets è comparazione grafica alla stessa scala e in riferimento alla stessa estensione di territorio).
dell’interazione con gli abitanti non mira a validare alcunché, aggiunge anzi informa- zioni altamente soggettive. [...] Allan Jacobs è perfettamente consapevole di questo. Egli rende anzi conto delle acquisizioni della psicologia sociale e dell’antropologia culturale: di come queste discipline avessero già ampiamente strutturato il campo dell’analisi ambientale con il relativismo della percezione, anche e specialmente del- la percezione specialistica» [Porta, 2002, p. 176]. Allan B. Jacobs sottolinea che spes- so i planners hanno avviato operazioni di tabula rasa nei confronti di intere comu- nità urbane a causa della percezione visiva dell’ambiente, piuttosto che per qualche patologia sociale documentata. «Se non si ha coscienza di questo, noi traduciamo un’osservazione visiva che ci ha causato fastidio in problemi economici e sociali, e così procediamo a risolvere questi problemi distruggendo l’ambiente che ci offende» [Jacobs A. B., 1985, p. 10].
Clare Cooper-Marcus all’osservazione affianca interviste e, prima di tutto, l’analisi delle tracce, nel tentativo di far emergere il complesso dei desideri degli utenti, ben oltre i bisogni [1998].