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I BISOGNI DEGLI UTENT

3.4 AFFERRARE LA POETICA Il QuID IN PIÙ

3.4.2 SENSE OF PLACE: LA NOSTRA IMMAGINE DEL LUOGO

«Politici ed economisti tendono [...] a liquidare i problemi attinenti all’immagine del- la città come preoccupazioni superficiali e transitorie. [...] Si discute della visione che i cittadini hanno della propria città facendo riferimento al successo delle squadre di calcio o di baseball, alla crescita o al calo del tasso di criminalità, alle visite ufficiali di re o presidenti e a eventi di pubblica risonanza, mentre qualsiasi discorso sulla forma materiale della città viene in genere considerato troppo antiquato, troppo «esteti- co» e di conseguenza troppo frivolo per meritare una seria attenzione» [Rykwert, 2003, p. 12]. «...la mia polemica non prende di mira la città disordinata, sia pure caotica, ma la città anonima e alienante così come si è sviluppata nel corso del XIX e del XX secolo» [Rykwert, 2003, p. 22].

Quando si parla di immagine del luogo, il primo riferimento da assumere è Kevin Lynch. L’Immagine della città «concerne l’aspetto delle città, l’importanza che esso può avere e la possibilità di alterarlo. [...] Esso suggerisce un metodo attraverso il quale si potrà cominciare a trattare la forma visiva alla scala delle città ed offre alcuni primi principi per il disegno urbano78» [Lynch, 1960, ed. 2009, p. 21].

78 «L’Immagine della città suggerisce che, attraverso alcune procedure analitiche e sulla base di un certo nume-

Ciò di cui si occupa Lynch è soprattutto ciò che si potrebbe chiamare l’“immagine pubblica”79, «il quadro mentale comune che larghi strati della popolazione di una

città portano con sé: aree di consenso che ci si può attendere insorgano nell’inte- razione tra una singola realtà fisica, una cultura comune e una eguale costituzione fisiologica» [Lynch, 1960, ed. 2009, p. 29].

La città è sperimentata «in base ad adiacenze, sequenze di eventi e memoria del- le precedenti esperienze, e la sua immagine è imbevuta di memorie e di significati [Lynch, 1960, ed. 2009, p. 23-34]. Come già anticipato nel precedente paragrafo, «La città è [...] il prodotto di innumerevoli operatori che per motivi specifici ne mutano costantemente la struttura. Benché nei suoi grandi lineamenti essa possa mantener- si stabile per qualche tempo, nei dettagli essa cambia senza posa. [...] Non vi è alcun risultato finale, solo una successione continua di fasi» [Lynch, 1960, ed. 2009, p. 24]. I motivi che indussero Lynch a intraprendere lo studio sull’immagine della città [Lynch, 2011] erano principalmente:

• un interesse nei collegamenti tra la psicologia e l’ambiente urbano;

• lo studio dell’estetica del paesaggio cittadino, considerata allora una “questione di gusti” e quindi di bassa priorità;

• il modo di valutare cosa sia la città e la possibilità di progettarla su scala urbana; • indurre i pianificatori a prestare maggiore attenzione agli abitanti di un luogo,

alla reale esperienza umana di una città e al modo in cui questa dovrebbe in- fluenzare le politiche urbane.

La tesi di Lynch è che sia possibile sviluppare la nostra immagine dell’ambiente sia attraverso un processo interiore di conoscenza che attraverso l’alterazione della for- ma fisica esterna80. «L’ambiente suggerisce distinzioni e relazioni, l’osservatore - con

grande adattabilità e per specifici propositi - seleziona, organizza, ed attribuisce si- ro di criteri di lettura, si possa dare un’interpretazione di come gli abitanti di una città la percepiscono [...] ma anche elaborare alcuni indirizzi metodologici e indicare alcuni contenuti che possano guidare una migliore progettazione dell’ambiente urbano» [Ceccarelli, 2009, p. 11].

79 «In un contesto come quello americano, la costruzione di un linguaggio comune, basato su elementi che abbiano almeno un minimo significato per tutti, è un problema assolutamente cruciale, da risolvere in termini molto diversi da quelli della nostra cultura. [...] Non solo nelle città americane la storia è del tutto marginale, ma nella maggior parte dei casi è incomprensibile a chi ci vive, e a molti ricorda piuttosto eventi negativi connessi alla domi- nazione di pochi e allo sfruttamento senza scrupoli degli altri» [Ceccarelli, 2009, p. 10].

80 «Poiché lo sviluppo dell’immagine è un processo reciproco tra osservatore e cosa osservata, è possibile rafforzare l’immagine attraverso artifizi simbolici, attraverso la rieducazione di colui che percepisce o attraverso la ristrutturazione del suo ambiente. [...] La nostra tesi è che noi possiamo ora sviluppare la nostra immagine dell’ambiente sia attraverso l’alterazione della forma fisica esterna attraverso un processo interiore di conoscenza» [1960, ed. 2009, pp. 33-34].

gnificati a ciò che vede. [...] Come manipolatori dell’ambiente fisico, gli urbanisti si interessano principalmente dei fattori esterni nell’interazione che produce l’imma- gine ambientale. Ambienti diversi ostacolano o facilitano il processo di formazione dell’immagine. [...] Ogni individuo crea e porta con sé un’immagine che gli è propria, ma sembra esservi notevole accordo tra i membri di uno stesso gruppo. Sono queste immagini di gruppo, che raccolgono il consenso tra larghi strati di popolazione, che interessano gli urbanisti, i quali aspirano a modellare un ambiente che sarà usato da molte persone» [Lynch, 1960, ed. 2009, pp. 28-29].

Un’immagine ambientale può venir analizzata in tre componenti, che compaiono sempre assieme:

• identità: riconoscimento, distinzione rispetto ad altre cose, individualità o uni- cità;

• struttura: relazione spaziale o schematica dell’oggetto con l’osservatore e con altri oggetti;

• significato per l’osservatore, pratico o emotivo.

La forma ideale «avrà uno schema complesso, continuo e unitario, ma tuttavia intri- cato e mobile. Essa deve essere plasmabile alle consuetudini percettive di migliaia di cittadini, aperta a mutamenti di funzione e di significato, ricettiva per la formazione di un nuovo patrimonio di immagini. Deve invitare chi la vede ad esplorare il mon- do. Vero è che noi abbiamo bisogno di un ambiente che non sia semplicemente ben organizzato, ma anche poetico e simbolico. [...] chiarezza di struttura e vividezza di identità sono i primi passi verso lo sviluppo di forti simboli. [...] Se fosse leggibile81,

automaticamente visibile, allora paura e confusione potrebbero venir rimpiazzate dal godimento della ricchezza e della potenza della scena. Nello sviluppo dell’imma- gine, l’educazione a vedere sarà altrettanto importante che il rimodellare ciò che è visto [...] l’educazione visiva induce il cittadino ad intervenire sul suo mondo visivo, e questa azione lo fa vedere ancor più nitidamente. Un’arte del disegno urbano al- tamente sviluppata è legata dalla creazione di un pubblico attento e criticamente attivo. Se arte e pubblico cresceranno insieme, le nostre città diverranno fonte di 81 Secondo Kevin Lynch la leggibilità del paesaggio urbano è «la facilità con cui le sue parti possono venire riconosciute e possono venire organizzate in un sistema coerente» [1960, ed. 2009, p. 24]. Un ambiente ordinato può funzionare come un ampio sistema di riferimento, può organizzare le attività, le opinioni, la conoscenza. Un’im- magine chiara di ciò che ci sta intorno è quindi una base utile alla formazione individuale. Una scena visiva vivida ed integrata, capace di produrre un’immagine distinta, offre la materia prima per i simboli e le memorie collettive della comunicazione di gruppo. Un ambiente distintivo e leggibile offre sicurezza, ampia la profondità e l’intensità possibili all’esperienza umana. Un ambiente che sia precisamente e staticamente ordinato fino al dettaglio può inibire nuovi schemi d’attività: non cerchiamo un ordine definitivo, ma un ordine aperto, capace di un continuo sviluppo ulteriore [1960, ed. 2009, pp. 24-28].

godimento quotidiano per milioni di abitanti» [Lynch, 1960, ed. 2009, p. 130]. Kaveh Fattahi e Hidetsugu Kobayashi [2011] affermano che è sorprendente che si possano ancora utilizzare i criteri di Lynch. L’immagine della città oggi è sempre più arricchita e costruita dall’esposizione ai media visivi, piuttosto che attraverso l’espe- rienza sensoriale diretta degli spazi urbani. Pertanto dobbiamo occuparci sia degli aspetti fisici che di quelli virtuali degli ambienti in cui viviamo. La ricerca di Fattahi e Kobayashi si fonda su due domande: 1. quale dovrebbe essere la relazione tra lo spazio pubblico fisico e quello virtuale? 2. L’era dell’informazione può conferire qualità digitali allo spazio fisico? È l’architettura che unisce i tre principali ambienti spaziali nei quali e con i quali viviamo oggi: la mente, il mondo e i networks [Kerckho- ve, 2001]. «Ogni nuova era offre infrastrutture particolari che, se adeguatamente comprese, possono essere usate per migliorare le nostre città. Consideriamo, per esempio, il processo di infosferizzazione. Come ha osservato lucidamente Senegala, che cosa accadrebbe se riuscissimo ad ampliare il nostro modo di vedere, sentire, toccare e percepire le informazioni nella nostra era? Se riuscissimo a staccare le per- sone dagli schermi per un maggior numero di ore al giorno, distribuendo l’interfaccia nell’ambiente architettonico? Che cosa accadrebbe se i muri, i pavimenti, i sistemi di illuminazione e di ventilazione e altri elementi dell’ambiente architettonico ini- ziassero a comunicare informazioni agli utenti? Che cosa accadrebbe se l’architettu- ra nel suo complesso diventasse una gigantesca interfaccia nella quale immergersi per inviare e ricevere informazioni? Se, come ha proclamato Heidegger, l’abitare è l’imperativo etico primario degli esseri umani, l’architettura deve essere portata nel mondo con la missione cruciale di collegare, rispazializzare e temporalizzare un mon- do che si sta rapidamente disgregando in tanti granelli di sabbia» [Fattahi, Kobayashi, 2011, p. 130].

Nel 2011 anche Lynch riconsidera L’immagine della città, puntualizzando come le sue ricerche sono state comprese e impiegate. Come elemento di positività, le ricerche hanno rilevato che l’esistenza e il ruolo dell’immagine di un luogo, i suoi elementi di base e le tecniche per ottenerla e analizzarla sembrano straordinariamente simili in culture e regioni molto diverse tra loro. Si può presumere che un’immagine forte di un luogo contribuisca a consolidare l’identità di gruppo, mentre un ambiente anoni- mo priva di importanti soddisfazioni emotive. Il tema secondario dell’orientamento della città è stato sviluppato come tema dominante e frainteso: le categorie di nodo, riferimento, quartiere, margine e percorso sono state viste come formule magiche, capaci di far prevedere ai progettisti l’immagine pubblica di una città senza il bisogno di coinvolgere gli abitanti.