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La percentualizzazione dello Stato Patrimoniale

4. La riclassificazione economica dello Stato patrimoniale

1.1. La percentualizzazione dello Stato Patrimoniale

Questa operazione, nello Stato Patrimoniale, viene effettuata affiancando, per ciascun impiego e per ciascuna fonte, al valore assoluto la percentuale esprimente il peso dell’impiego e della fonte sul relativo totale.

Quindi, la percentualizzazione dello Stato Patrimoniale mette in evidenza da una parte, il peso percentuale degli impieghi sul capitale investito e dall’altra il peso percentuale delle fonti, Ciò è possibile attraverso la determinazione di indici-quozienti denominati indici di composizione.

Gli indici di composizione degli impieghi mettono in evidenza la composizione del capitale investito attraverso il peso percentuale delle varie tipologie di impieghi.

Gli indici di composizione delle fonti invece mettono in evidenza la composizione del capitale finanziario attraverso il peso percentuale delle varie tipologie di fonti.

La struttura patrimoniale dell’azienda comprende la sezione degli impieghi e la sezione delle fonti: la prima comprende l’attivo fisso (Af) e l’attivo circolante (Ac); la seconda comprende i mezzi propri (Mp), le passività consolidate o a medio – lungo termine (Pml ) e le passività correnti o a breve termine (Pb).

L’attivo fisso comprende le immobilizzazioni tecniche materiali (Itm), le

immobilizzazioni tecniche immateriali (Iti) e le immobilizzazioni finanziarie (If ).

L’attivo circolante comprende il magazzino (M), le liquidità differite (Ld) e le liquidità immediate (Li).

E’ possibile quindi costruire, per ogni sezione, i relativi indici di composizione.

Per gli impieghi si avranno:

i

Per le fonti invece si avranno:

i

Gli indici che esprimono il rapporto tra gli impieghi si ottengono rapportando ciascun impiego a ciascuno degli impieghi rimanenti:

c

Gli indici che esprimono il rapporto tra le fonti si ottengono rapportando ciascuna fonte a ciascuna delle fonti rimanenti:

ml

Gli indici che mettono in evidenza il peso degli impieghi o delle fonti hanno tutti un valore compreso tra zero e uno:

- il valore è pari a zero quando l’impiego o la fonte considerati non esistono;

- il valore è pari a uno quando esistono esclusivamente l’impiego o la fonte considerati.

In realtà, è molto difficile che gli indici raggiungano questi valori estremi; è possibile affermare, in definitiva, che il valore dell’indice si muove in un intervallo di

variabilità compreso tra zero e uno, senza toccare quasi mai gli estremi.

Invece gli indici che mettono in evidenza il rapporto tra gli impieghi o tra le fonti hanno un valore compreso tra zero e infinito:

- il valore è pari a zero quando non esiste l’impiego (o la fonte) posto al numeratore del rapporto;

- il valore è pari a infinito quando non esiste l’impiego (o la fonte) posto al denominatore.

Anche in questo caso il valore dell’indice si muove in un intervallo di variabilità compreso tra zero e infinito, senza toccare quasi mai gli estremi.

Gli indici che mettono in evidenza il peso sono considerati quozienti strutturali semplici (in quanto basati su di uno soltanto degli impieghi o su una soltanto delle fonti), quelli che mettono in evidenza il rapporto sono considerati quozienti

strutturali composti (in quanto basati su di una coppia di impieghi o su di una coppia di fonti). Sono entrambi quozienti “strutturali” perché permettono l’analisi della struttura patrimoniale dell’azienda.

Da questi indici deriva un’analisi verticale, ovvero un’analisi basata sul confronto tra valori appartenenti alla medesima sezione.

Lo scopo degli indici relativi agli impieghi è di analizzare il grado di elasticità del capitale investito. L’elasticità della gestione è una condizione fondamentale per l’equilibrio economico e consiste nella capacità della gestione di riadattarsi in modo conveniente, con facilità e in tempi brevi, alle mutevoli condizioni ambientali. Questa capacità di continuo adattamento è anche influenzata dalla possibilità di sostituire i fattori produttivi ormai “obsoleti” con i fattori produttivi adatti alle nuove necessità. I fattori produttivi che influiscono maggiormente sul grado di rigidità della gestione sono i fattori pluriennali, ovvero quelli che costituiscono l’attivo fisso (soprattutto le immobilizzazioni tecniche materiali).

In particolar modo gli impianti costituiscono in genere la parte preponderante di questa categoria di fattori produttivi e sono caratterizzati da costi elevatissimi, con tempi di recupero a volte anche molto lunghi. Per ovviare ai problemi che può comportare una maggiore rigidità della gestione, si punta sulla sostituzione dei

cosiddetti “fattori rigidi” o parte di essi con fattori elastici equivalenti, come il ricorso alla locazione degli impianti o l’affidamento a terzi di determinate produzioni.

Si possono considerare “impieghi rigidi” quelli appartenenti alla categoria dell’attivo fisso e “impieghi elastici” quelli appartenenti alla categoria dell’attivo circolante.

Il rapporto tra attivo fisso e capitale investito è detto indice di rigidità degli

impieghi, mentre il rapporto tra attivo circolante e capitale investito è detto indice di elasticità degli impieghi.

Ovviamente l’analisi non si limita a considerare l’attivo fisso e l’attivo circolante, ma considera anche le loro componenti, calcolando i relativi indici di composizione.

Gli indici di composizione, per quanto riguarda l’attivo fisso, pertanto, vengono calcolati anche su immobilizzazioni tecniche materiali, immateriali e finanziarie; per quanto riguarda l’attivo circolante su disponibilità di magazzino, liquidità differite e immediate.

Un’idea sul grado di rigidità della gestione è data anche dal rapporto tra l’attivo fisso e l’attivo circolante; tale indice prende il nome di quoziente di rigidità degli

impieghi:

c f

A A

All’aumentare di questo valore, a parità di condizioni, aumenta la tendenza alla rigidità.

Dopo aver determinato gli indici occorre interpretarli, ovvero comprendere se la rigidità (o l’elasticità) evidenziata dagli indici è da ritenere funzionale o

antifunzionale. Infatti, fino ad un determinato livello, la rigidità è necessaria e quindi da considerare funzionale; oltre un certo livello invece è da considerare

antifunzionale, ed è compito dell’analista identificare il punto di transizione dalla

“funzionalità” all’ “antifunzionalità”.

Lo scopo degli indici relativi alle fonti è invece di analizzare il grado di indebitamento del capitale finanziario.

Una prima idea del grado di indebitamento della gestione deriva dalla determinazione del peso percentuale del capitale di rischio e del capitale di credito sul capitale di finanziamento. L’indice che esprime il peso del capitale di rischio (rapporto tra

capitale di rischio e capitale di finanziamento) è detto indice di non indebitamento o indice di autonomia finanziaria; l’indice che esprime il peso del capitale di credito (rapporto tra capitale di credito e capitale di finanziamento) è detto indice di

indebitamento o indice di dipendenza finanziaria.

Per un’analisi maggiormente particolareggiata si calcolano anche gli indici di

composizione relativi alle passività correnti e alle passività consolidate. Il capitale di rischio rappresenta una fonte stabile di finanziamento e spesso viene accomunato con le passività consolidate, in modo da costituire un’unica categoria, denominata

passivo permanente.

Le fondamentali componenti del capitale di rischio sono il capitale sociale e le riserve. Queste ultime rappresentano un elemento di protezione del capitale sociale rispetto ai rischi di gestione. Quanto più elevato è il peso delle riserve sull’importo complessivo del capitale di rischio, tanto maggiore è la protezione. Il grado di protezione è messo in evidenza dall’indice di protezione del capitale sociale, che può essere calcolato in due modi:

- in base al capitale di rischio:

Mp

R

- in base al capitale sociale:

Cs

R

Questo indice è detto anche indice di solidità patrimoniale in quanto mette in evidenza il peso delle riserve rispetto al capitale sociale.

Un’idea sul grado di indebitamento della gestione è data anche dal rapporto tra il passivo complessivo (ovvero la somma tra il passivo corrente e il passivo

consolidato) e il capitale di rischio. Questo rapporto è dato dal quoziente di indebitamento, la cui formula è:

(Pml + Pb) / Mp

Esiste anche un altro quoziente, che è dato dal rapporto tra passività consolidate e passività correnti, denominato quoziente di consolidamento del passivo:

Pml / Pb

Anche in questo caso in seguito alla determinazione degli indici si ha la fase dell’interpretazione, al fine di comprendere se il grado di indebitamento messo in evidenza dagli indici è funzionale o antifunzionale.

L’altezza del capitale di rischio dipende, nelle aziende di minori dimensioni, dalle possibilità del titolare o dei soci; nelle aziende di maggiori dimensioni invece dipende dalle condizioni del mercato finanziario e dalla capacità di attrazione dei capitali da parte delle aziende stesse. Nelle società di capitali esiste un minimo legale (per le società per azioni è pari a 100.000 €), al di sotto del quale verrebbe messa a rischio l’autonomia finanziaria e si formerebbero elevati oneri finanziari che si

ripercuoterebbero in modo negativo sul conto economico. L’analista deve quindi giudicare se la proporzione tra le fonti finanziarie fondamentali sia conveniente dal punto di vista della gestione aziendale.