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Capitolo 4 Le legislazioni attuate fino ad oggi

4.3 Il Womenomics

4.3.1 La situazione prima del Womenomics

Come visto nel paragrafo precedente e in maniera più dettagliata nel Capitolo 3, la condizione lavorativa femminile è migliorata molto nell’arco degli anni grazie all’evoluzione sociale e alle varie riforme in merito. Tuttavia, permangono alcune problematiche non irrilevanti, che tuttora limitano la permanenza al lavoro di una buona parte delle donne che decidano di sposarsi e creare una famiglia. Nel presente paragrafo verranno introdotti vari dati statistici e percentuali relative alla situazione economica, 304CHANLETT-AVERY, NELSON, Womenomics In Japan…, cit., pp. 4-5.

sociale e lavorativa precedente al Womenomics, così da comprendere meglio da quale punto di partenza siano state sviluppare le iniziative di questa politica e quale sia l’effettivo cambiamento apportato da quest’ultima.

Per prima cosa possiamo affermare che dagli anni Ottanta c’è stato un aumento del numero di donne nella forza lavoro, che ha portato al raggiungimento nel 2009 del 60% di donne tra i 15 e i 64 anni partecipanti alla forza lavoro giapponese (Figura 17)305.

Figura 17: Il grafico mostra l’andamento crescente della percentuale di partecipazione delle donne giapponesi alla forza lavoro. Nel 2009 ha raggiunto il suo massimo con un 60% di impiego femminile306.

Tuttavia, la partecipazione delle donne nella forza lavoro giapponese mantiene un andamento che ancora corrisponde alla sopracitata curva a M. Sicuramente si può notare in Figura 18 un miglioramento di tale curva, la quale oltre ad essersi spostata verso l’alto, dato che indica una maggiore quantità di donne lavoratrici, si è anche spostata verso destra, indicando un ritardo nell’ingresso al lavoro e nel periodo dedicato al matrimonio e ai figli. Come già detto in precedenza, questo è in parte dovuto alla continuazione degli studi universitari da parte di sempre più donne, che così facendo accedono al primo posto di lavoro più tardi, e al fatto che molte di queste cerchino poi di raggiungere un buon livello di carriera, rimandando così l’età del matrimonio e della maternità a più avanti307.

305MATSUI, Womenomics 3.0…, cit., p. 7. 306 ibid.

Infatti, la percentuale di donne non sposate con un’età compresa tra i 25 e i 29 anni ha raggiunto il 59% nel 2005, mentre nel 1985 era solo il 30%308.

Figura 18: il grafico in figura mostra la curva a M, ossia l’andamento della partecipazione femminile nella forza lavoro giapponese in base all’età, nel suo processo di sviluppo avvenuto dal 1980 al 2009309.

Un ulteriore influenza su questi cambiamenti della curva a M è dovuta ad un forte aumento delle donne impiegate in lavori irregolari, soprattutto in mansioni part-time. Si tratta, in particolare, di donne che dopo aver lasciato la carriera di lavoratrici regolari full- time per gestire la casa e i figli, una volta che quest’ultimi sono cresciuti, decidono di tornare al lavoro, ma sempre dovendo avere il tempo di occuparsi delle proprie responsabilità domestiche. Questo favorisce il loro impiego in lavori part-time, che nonostante non garantiscano benefici, promozioni o alti stipendi, perlomeno concedono loro orari flessibili, necessari allo svolgimento delle mansioni familiari310. Infatti, mentre nel 1990 la percentuale di donne impiegate in lavori part-time era del 28%, nel 2009 ha raggiunto il 43,1%, come mostrato in Figura 19311.

308MATSUI, Womenomics 3.0…, cit., p. 8. 309 ibid.

310MACNAUGHTAN, Womenomics for Japan…, cit., pp. 7-9. 311MATSUI, Womenomics 3.0…, cit., p. 8-9.

Figura 19: il grafico in figura mostra l’andamento crescente della percentuale relativa al numero di donne giapponesi che partecipa alla forza lavoro tramite un impiego part-time312.

Nonostante questi dati rappresentino un miglioramento della partecipazione alla forza lavoro delle donne giapponesi, restano ancora molti gli elementi che ostacolano il pieno raggiungimento della parità di genere sul luogo di lavoro. Per esempio, come notiamo in Figura 20, il Giappone è ancora uno dei paesi appartenenti all’OECD con un basso tasso di partecipazione al lavoro femminile. Infatti, il 60% del Giappone risulta indietro rispetto, per esempio, alle percentuali di paesi quali la Norvegia (75%), gli Stati Uniti (66%) e la Germania (64%). Ciò avviene in particolare a causa della ridotta partecipazione delle donne giapponesi che hanno tra i 30 e i 44 anni, ossia l’età attualmente corrispondente al matrimonio e al periodo di maternità. Nel 2010 sono ancora il 70% le donne che, in particolare in questa fascia d’età, decidono di lasciare il lavoro quando partoriscono il loro primo figlio313.

312 ibid.

Figura 20: il grafico in figura mostra la percentuale di partecipazione femminile alla forza lavoro di vari paesi appartenenti e non all’OECD, nel 2009. Il Giappone si posiziona, con il suo 60%, tra gli ultimi tre paesi, seguito solo dalla Corea e dall'Italia314.

Inoltre, sempre comparando il Giappone con altri paesi esteri, anche la percentuale delle madri con figli al di sotto dei sei anni che lavorano e dunque partecipano alla forza lavoro rimane bassa. Nel 2001, in Giappone la percentuale è del 34%, da confrontare con quella di altri paesi come Svezia (76%), Stati Uniti (61%), Regno Unito (55%) e Germania (53%). Come visibile in Figura 21, il Giappone si posiziona, dunque, ultimo all’interno di questa classifica realizzata dall’OECD ed è superato anche da paesi con una simile tendenza di scarsa partecipazione generale delle donne nella forza lavoro, ad esempio l’Italia e la Spagna315.

314 ibid.

Figura 21: il grafico in figura è stato realizzato dall’OECD nel 2001 e rappresenta le percentuali di vari paesi relative alla quantità di donne che, pur avendo figli al di sotto dei 6 anni, partecipa ugualmente alla forza lavoro del proprio paese316.

In aggiunta a ciò, vediamo che l’aumento della partecipazione alla forza lavoro delle donne giapponesi non corrisponde ad un miglioramento della loro condizione lavorativa. Infatti, le donne rimangono considerevolmente sottorappresentate nelle posizioni di leadership e manageriali, così come al governo in posizioni parlamentari e ministeriali. Per quanto riguarda quest’ultime, la percentuale di presenza delle donne nella Camera Bassa del governo giapponese nel 2009 è dell’11%. Allo stesso modo, nel settore privato le statistiche del 2008 mostrano che la rappresentazione femminile in posizioni elevate resta fermo al 9,3%, una percentuale molto bassa se si considerano quelle di paesi come gli Stati Uniti (42,7%), Regno Unito (34,6%) e Germania (37,8%), come in Figura 22317.

316 ibid.

Figura 22: il grafico mostra la percentuale di presenza femminile in ruoli di leadership o manageriali nel settore privato di quattro paesi: Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Giappone. Le figure in bianco e nero rappresentano la percentuale del 2003, mentre quelle a colori rappresentano la percentuale raggiunta nel 2008318.

Un ulteriore dato che conferma la necessità di implementare nuove politiche in favore di una maggiore parità di genere sul luogo di lavoro è la differenza salariale tra uomini e donne. Come già presentato nel Capitolo 3 e come è visibile in Figura 23, nonostante la legislazione EEOL impedisca ogni forma di discriminazione in base al sesso in campi quali il reclutamento, l’impego, la promozione e così via, e nonostante valga il principio di uguale paga per uguale lavoro secondo la Labor Standard Law, le donne vengono spesso pagate considerevolmente meno degli uomini. In particolare, nonostante la differenza salariale in base al genere sia una caratteristica propria di molti paesi, nel 2008 il Giappone si posiziona tra gli ultimi paesi, con una differenza salariale molto evidente. Le donne giapponesi, infatti, guadagnano mediamente un terzo in meno della paga dei loro colleghi uomini, all’incirca il 67,8%. Ciò rappresenta un incentivo per le donne a lasciare il lavoro durante la maternità, vista la discriminazione salariale e professionale che subiscono319.

318 ibid.

Figura 23: Il grafico in figura mostra la percentuale media del salario femminile in relazione a quello maschile nel 2008 per vari paesi dell’OECD. In Giappone le donne guadagnano circa il 67,8% dello stipendio di un collega uomo e il paese si classifica dunque come uno di quelli con la più alta disparità salariale in base al genere320.

Infine, un altro problema si presenta in relazione ai servizi di assistenza infantile. Nonostante il Giappone abbia un sistema di asili, scuole e doposcuola molto ben organizzato e sviluppato, il numero di bambini che tenta di entrare in queste strutture pubbliche finanziate dal governo è molto maggiore rispetto alla loro effettiva capacità. Molti di questi bambini restano, dunque, in lista d’attesa per mesi o addirittura non riescono proprio ad accedere a tali servizi, per cui le madri sono costrette o a pagare cifre esorbitanti per le strutture private o a rimanere a casa dal lavoro per occuparsi dei propri figli da sole. Consapevole di queste problematiche, già il precedente Primo Ministro Koizumi Jun’ichirō propose l’aumento degli asili del 9% entro il 2009, iniziativa che venne effettivamente applicata e portata a termine. Nonostante ciò, tuttavia, il problema non venne risolto, molti bambini rimasero ancora esclusi dall’ingresso a queste strutture e la partecipazione femminile al lavoro non aumentò quanto sperato. Come si può notare in Figura 24, la capacità degli asili ha avuto un evidente aumento dal 2003 al 2010, ma nel 2009 e nel 2010 i bambini in lista d’attesa sono aumentati di conseguenza e i posti disponibili rimangono insufficienti321.

320 ibid.

Figura 24: il grafico in figura mostra il numero di bambini in lista d’attesa per l’ingresso agli asili pubblici dal 2003 al 2010, mentre la riga in blu rappresenta l’andamento della capacità all’interno di queste strutture322.

Questi sono in generale gli elementi che descrivono la situazione economica e sociale nel Giappone precedente al secondo mandato del Primo Ministro Abe e al suo Womenomics. Considerando questo insieme di problematiche, le quali si ricollegano a loro volta ad ulteriori dilemmi sociali quali il calo delle nascite, l’invecchiamento della popolazione e il calo della manodopera, nel 2012 il Primo Ministro tentò l’avanzamento della sua nuova politica, diretta alla maggior partecipazione delle donne nella forza lavoro, al miglioramento della loro condizione lavorativa e del supporto loro garantito in caso di maternità e al conseguente rialzamento dell’economica giapponese. Questa politica, tuttavia, presenta anche delle limitazioni che possono minare l’efficacia del suo operato.