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Capitolo 4 Le legislazioni attuate fino ad oggi

4.3 Il Womenomics

4.3.2 Limitazioni all’efficacia del Womenomics

In questo paragrafo verrà riportato un elenco dettagliato di tutti quegli elementi che rappresentano un ostacolo alla piena realizzazione delle iniziative del Womenomics. 1. Corporate Culture:

Uno degli elementi che più di tutti rappresenta un ostacolo alla realizzazione di alcune prospettive del Womenomics è la cosiddetta “corporate culture”, ossia la cultura aziendale delle imprese giapponesi. In base a questo sistema, il lavoro all’interno di un’azienda giapponese riporta caratteristiche quali lunghi turni di lavoro, lavoro straordinario o nei weekend, limitata flessibilità, gerarchia basata sull’anzianità di servizio, lealtà e totale disponibilità all’azienda, avanzamento di carriera e promozioni basate sull’impiego continuo, e così via. Questo tipo di sistema è molto difficile da far combaciare con la vita familiare, sia per le donne che per gli uomini. Esso si basa sul principio per cui gli uomini occupano il ruolo di lavoratore e sostenitore finanziario della famiglia, mentre le donne hanno il ruolo di curatrici della casa e dei figli. Tuttavia, negli ultimi anni il numero di famiglie in cui entrambi i genitori guadagnano uno stipendio ha superato il tradizionale nucleo familiare che prevedeva la presenza di un unico lavoratore. Questo sistema è, quindi, datato e non rispetta lo sviluppo sociale ed economico del paese. Di conseguenza, la realizzazione della proposta di Abe di aumentare il numero delle donne che partecipano alla forza lavoro e che ricoprano posizioni manageriali è abbastanza difficile. Come può una donna ottenere una posizione elevata se già all’ingresso nel mondo del lavoro viene inserita in un percorso generale dove ricopre posizioni d’ufficio (ippanshoku)? E come può poi da quest’ultimo avere un avanzamento di carriera considerando che spesso viene privata della formazione e delle esperienze di rotazione all’interno dell’azienda? Infine, come può sperare in una promozione quando l’ottenimento di quest’ultima è basato sull’impiego continuo, minato dal periodo di congedo per maternità qualora una donna abbia un figlio? E poi, come ci si aspetta che gli uomini utilizzino il congedo parentale sapendo che anche loro avranno un deterioramento delle proprie competenze e saranno impossibilitati a continuare la propria carriera, oltre che a generare l’ostilità dei colleghi e dei datori di lavoro che non li considereranno abbastanza leali all’azienda? Questo sistema di “corporate culture” non fa altro che incoraggiare da un lato gli uomini a lavorare duramente per ottenere un salario elevato in modo da mantenere la famiglia qualora la moglie non lavori o lavori solo part-time, dall’altro le donne a non

perseguire sogni di carriera futura e a lasciare il lavoro per occuparsi delle proprie responsabilità domestiche. Finché questo sistema non verrà modificato al suo interno, è difficile che le politiche del Womenomics riescano ad avere un’efficacia completa323. 2. Pressioni e norme sociali:

Ancora oggi sono molte le pressioni sociali poste nei confronti delle donne per quanto riguarda la maternità. Come visto nei capitoli precedenti, le donne sono considerate il genitore che deve occuparsi da solo della casa e dei figli, in quanto possiedono un’innata capacità e predisposizione. Le norme sociali incoraggiano le donne a mantenere questo ruolo, in relazione anche al “Mito dei tre anni”, per cui le madri devono prendersi cura in prima persona dei propri figli almeno fino all’età di tre anni se vogliono evitare che quest’ultimi subiscano dei danni nella crescita. A ciò si unisce la scarsità di strutture pubbliche di assistenza infantile, come citato sopra, in particolare in aree metropolitane come Tokyo e Osaka324.

3. Utilizzo del Child Care Leave:

Abbiamo già introdotto la problematica dello scarso utilizzo del Child Care Leave da parte degli uomini che hanno figli. Tuttavia, la proposta del Primo Ministro Abe con il suo Womenomics è quella di espandere ulteriormente il Child Care Leave da uno a tre anni di congedo. Questa proposta, seppur positiva, può originare più ostacoli che altro. Infatti, un aumento della durata del congedo fino a tre anni non fa altro che rinforzare l’idea che le madri debbano prendersi cura dei propri figli fino all’età di tre anni come prevede il mito sopracitato. Inoltre, il prolungamento rende ancora più difficile per gli uomini utilizzare il congedo parentale, poiché rappresenta un totale distacco dai principi della “corporate culture”. Allo stesso modo, anche per le donne sarebbe ancora più complicato rientrare al lavoro di prima dopo tre anni di congedo. Dunque, l’idea di aumentare la durata del Child Care Leave potrebbe in realtà portare ad un minor utilizzo di quest’ultimo325.

4. Tassa matrimoniale:

Uno degli elementi che influenza particolarmente la presenza delle donne nel mondo del lavoro è la tassa matrimoniale, che, come già spiegato in precedenza, prevede la possibilità di designare la moglie come dipendente dal marito e di essere esenti dalla tassa sul reddito qualora la moglie ottenesse un salario annuale pari o inferiore a 1.03 323MACNAUGHTAN, Womenomics for Japan…, cit., p. 13., MATSUI, Womenomics 3.0…, cit., pp. 17-21.,

CHANLETT-AVERY, NELSON, Womenomics In Japan…, cit., pp. 6-7.

324MACNAUGHTAN, Womenomics for Japan…, cit., p. 13. 325MACNAUGHTAN, Womenomics for Japan…, cit., p. 14.

milioni di yen. Questo sistema è tuttavia anacronistico con il corrente sviluppo sociale ed economico del paese, in quanto si basa su un sistema familiare che presenta un unico membro dotato di un guadagno all’interno della coppia. Oggigiorno, invece, sono sempre di più le coppie in cui entrambi i genitori lavorano e mantengono finanziariamente la famiglia. Questo sistema perciò incoraggia le donne a cercare una posizione lavorativa che permetta loro di guadagnare un salario inferiore alla cifra sopraindicata, in particolare divenendo impiegate part-time. Inoltre, incoraggia gli stessi datori di lavoro a mantenere bassi i salari medi e a sfruttare al massimo i lavoratori part-time grazie ai minori costi. Infine, la tassa matrimoniale incentiva gli uomini a ottenere un percorso di carriera che permetta loro di avere un salario abbastanza alto da sostenere economicamente la propria famiglia, ponendo su di loro una grossa pressione e riducendo il supporto pratico alla moglie nella gestione dei figli e della casa. Finché questo sistema non subirà una vera e propria riforma in modo da divenire al passo con i tempi, rappresenterà sempre un disincentivo per l’avanzamento delle donne nei luoghi di lavoro regolari326.

5. Clima politico:

Anche l’ambiente politico non è privo di ostacoli. Anzi, nelle elezioni della Dieta del 2012, solamente 78 posti su 722 furono assegnati a delle donne. Sembra quasi che lo stesso partito del Primo Ministro Abe non abbia incoraggiato l’inserimento di un maggior numero di donne in parlamento durante la sua rielezione. Anzi, il numero di donne in posizioni governative in realtà è diminuito con la vittoria nella Camera Bassa dell’LDP, il partito di Abe Shinzō. Inoltre, nell’arco del suo mandato, il primo ministro ha nominato solamente due donne in posizioni ministeriali (Masako Mori come Ministro della Parità di Genere e Tomomi Inada come Ministro della Riforma Amministrativa) ed entrambe non sembrano avere ruoli particolarmente rilevanti. Infine, nel 2011 le donne elette in qualità di sindaco di città del Giappone sono unicamente lo 0,8%, per cui la loro rappresentanza locale è ancora più ridotta. Il target di Abe posto all’ottenimento del 30% delle donne in posizioni di leadership sia nel settore privato che in quello pubblico sembra essere di difficile realizzazione se il Primo Ministro stesso non apporta modifiche all’interno del suo governo327.

6. Rigidità delle leggi di immigrazione:

326MACNAUGHTAN, Womenomics for Japan…, cit., p. 15, MATSUI, Womenomics 3.0…, cit., pp. 16-17. 327CHANLETT-AVERY, NELSON, Womenomics In Japan…, cit., p. 7.

L’ultimo elemento che ha la potenzialità di rendere complicata l’implementazione delle iniziative proposte nel Womenomics è costituito dalla rigidità delle leggi d’immigrazione giapponesi. Infatti, nonostante l’ingresso di stranieri potrebbe sanare la carenza di manodopera del paese e garantire un maggiore supporto alle madri di famiglia grazie al servizio di domestiche, infermiere, baby-sitter o maestre d’asilo, il Giappone rimane il paese dell’OECD con il più basso numero di stranieri presenti al suo interno. Il problema risiede non solo nell’ottenimento del visto per poter entrare nel paese, ma anche nelle richieste successive all’ingresso. Per esempio, molte delle donne provenienti dalle Filippine o dall’Indonesia sono costrette, una volta entrate in Giappone, a seguire un corso di lingua giapponese per almeno sei mesi, seguito da tre o quattro anni di training formativo nel luogo di lavoro, nonostante possiedano già il certificato di infermiere, badanti o maestre dal proprio paese. Inoltre, per rimanere in Giappone, devono passare un duro esame nazionale di lingua giapponese e, se falliscono, sono costrette a ritornare nel proprio paese. Secondo i dati dell’MHLW, su 257 candidate giunte in Giappone nel 2008, solo 3 hanno passato tale esame. Nonostante, dunque, sia molto elevata la domanda di queste figure per supportare le strutture di assistenza pubblica giapponese, il numero di persone che effettivamente riescono ad entrare e a rimanere stabilmente nel paese è molto limitato. Affinché il Womenomics possa avere una funzionalità a lungo termine, è necessario che il governo giapponese cominci ad applicarsi più seriamente nell’apertura del paese all’ingresso di immigrati, eliminando l’insieme di regole e requisiti non necessari che ne ostacolano la permanenza nel paese328.